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“Autonomia Differenziata” fa rima con ” premierato”

Una amara, circostanziata, riflessione sulla pericolosa deriva per l’unità del paese introdotta dal disegno di legge governativo sulla cosiddetta ” autonomia differenziata”; argomento affrontato anche in sede di Assemblea nazionale di Pax Christi dello scorso 20-21 aprile 2024 (dal Comunicato Stampa conclusivo: ” Riteniamo grave e assolutamente non condivisibile il disegno di legge sulla cosiddetta “autonomia differenziata”, già approvato al Senato. E’ inconciliabile con una visione di giustizia, equità e fraternità.”https://www.paxchristi.it/?p=25335)

Disegno di legge su “Autonomia Differenziata”

(riflessione a cura di Antonio De Lellis e Filippo Severino)

Il disegno di legge sulla cosiddetta “autonomia differenziata”, come attualmente formulato e già approvato al Senato, contrasta gravemente con i valori di equità, giustizia e fraternità che pervadono il nostro impegno di Movimento per la pace.

L’art. 5 della Costituzione italiana promuove autonomia e decentramento, ma si premette che questo avvenga a partire da una Repubblica “una e indivisibile”, unità che, invece, è sostanzialmente compromessa dall’attuale formulazione del ddl Calderoli (AC1665, recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”). Va poi considerato tutto lo scenario costituzionale all’interno del quale l’autonomia deve essere realizzata. E già nei precedenti artt. 2 e 3 la Repubblica “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” (art. 2) e riconosce come suo compito “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3). Nella carta costituzionale sì va così ad evidenziare quanto anche la dottrina sociale della Chiesa richiama e, cioè, che il principio di sussidiarietà va indissolubilmente coniugato con il principio di solidarietà.

Una prima evoluzione in peggio – nel senso di una maggiore disuguaglianza territoriale, che fa da premessa all’autonomia differenziata – è stata già la riforma del Titolo V (legge costituzionale 3 del 2001). L’art. 119, infatti, garantisce a ciascuna Regione una compartecipazione al gettito proveniente dai propri territori. Questo significa che una parte dei tributi spettanti allo Stato vengono distribuiti da quest’ultimo alle Regioni in proporzione alla ricchezza dei loro contribuenti; quindi, le Regioni più ricche ricevono più di quanto ricevano quelle svantaggiate.

In questo quadro, l’autonomia differenziata rappresenta un ulteriore passo di una tendenza già in atto, ma anche un salto di qualità di questa tendenza. Già dal 2001 esiste una nuova norma in Costituzione, secondo cui «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119». Si tratta dunque di un progetto che tende ad aggravare la situazione di disuguaglianza presente in Italia, perché crea delle regioni ‘più autonome’ delle altre, attribuendo loro alcune funzioni che non spettano alle altre Regioni. Ciò avviene attraverso delle intese, regolate dalla legge, tra lo Stato e le Regioni che richiedono condizioni di maggiore autonomia (prevalentemente quelle più forti). Si realizzerebbe così un processo discriminatorio in base alla residenza, foriero di contrasti nella popolazione, che porterebbe ad acuire i privilegi dei cittadini di un territorio a discapito dei cittadini di altro territorio e genererebbe, in una sostanziale spaccatura del Paese, la creazione di “regioni-stato” con competenza in circa cinquecento funzioni di ben ventitré materie (la sanità, l’istruzione, l’ambiente, l’energia, … e perfino la sicurezza del lavoro e i rapporti internazionali e con l’unione europea).

Quel che più preoccupa, dunque, sono gli effetti che tale riforma genererà sulle risorse, alla luce di come l’attuazione dell’autonomia differenziata è regolata nel ddl Calderoli. Infatti, l’intesa prevede che le funzioni cedute alla regioni siano finanziate attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale. In base a questa norma, si stima che il 30% in più delle risorse erariali affluiranno alle regioni del nord che hanno chiesto l’autonomia differenziata. Nonostante la norma affermi che ciò non toglierà risorse alle altre regioni, questo non è francamente credibile, specie se si considerano i limiti posti alla spesa pubblica dal patto di stabilità.

Dal punto di vista procedurale, poi, il ddl Calderoli preoccupa ulteriormente, perché lascia uno spazio davvero ridotto al Parlamento, che è l’organo direttamente eletto. Infatti, il Parlamento interviene soltanto con degli atti di indirizzo, laddove le intese – che dicono la sostanza di quali competenze e quali risorse sono attribuite alle regioni differenziate – sono negoziate in primo luogo tra il Governo e le Regioni. Uno spazio, quindi, decisamente ridotto per i territori più poveri.

Ma nemmeno il settentrione del Paese sarebbe esente da conseguenze nefaste. Rompendo il patto di solidarietà sociale, e realizzando nei fatti il principio che chi più ha avrà ancora di più, pure al Nord sarebbero i cittadini più deboli a soffrirne ed aumenterebbero sacche di povertà. Inoltre, presentando un’Italia divisa, anche le regioni privilegiate avrebbero minore incisività nell’Unione Europea e nei rapporti con le altre nazioni. Il documento della CEI “Chiesa e Mezzogiorno, per un Paese solidale” già nel 2010 affermava che “il Paese non crescerà se non insieme”. E da qui è la recente esortazione del card. Zuppi affinché “non venga meno un quadro istituzionale che possa favorire uno sviluppo unitario, secondo i principi di solidarietà, sussidiarietà e coesione sociale” (Consiglio permanente della CEI, 18-3-2024).

E se ci sono un Nord e un Sud che viaggiano a due velocità, come l’ISTAT annualmente evidenzia, il divario va colmato prima di ogni processo di autonomia. Fondamentali appaiono, perciò, alcune considerazioni a proposito dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) previsti per tutti i cittadini del Paese dal riformato Titolo V della Costituzione:

  • I LEP andavano formulati con chiarezza, senza fumosità, prima di avviare il processo legislativo sull’autonomia.
  • La Commissione per la formulazione dei LEP ha visto diverse defezioni di autorevoli membri che hanno considerato folle la linea che si stava assumendo.
  • E’ stato calcolato che per l’attuazione dei LEP occorrerebbero circa cento miliardi di euro e queste risorse economiche non ci sono. Anche in quanto si preferisce accrescere la spesa militare piuttosto che quella sociale.
  • Se pure il Paese disponesse di quelle risorse economiche necessarie per la realizzazione dei LEP, non è detto che sarebbero utilizzate bene, perché non vi è un reale interesse alla ridistribuzione da parte di governi sostenuti soprattutto dai ceti abbienti, prevalentemente collocati al nord.

Infine, bisogna evidenziare il legittimo sospetto sulla reale, e scandalosa, motivazione che ha portato all’attuale formulazione della legge sull’autonomia differenziata: essa appare merce di scambio all’interno delle forze politiche della maggioranza governativa per ottenere l’approvazione del “premierato”.

(foto @ansa)