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“Quale solidarietà per il popolo palestinese?”

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Lucca 29/11/2014

Convegno in occasione della Giornata ONU dedicata ai diritti del popolo Palestinese

“Che giornata straordinaria! è stato veramente interessante e di grande rilievo politico! Io non mi ero mai interessato tanto ma la questione palestinese è diventata parte del mio essere. Ora vedo di riuscire ad organizzare qualcosa nel territorio in cui vivo, mi metterò in contatto con quelli di bocchescucite e vediamo cosa ne esce. Naturalmente metto in programma anche un viaggio in quella terra con i pellegrinaggi di giustizia”.    Questo è uno dei messaggi che abbiamo ricevuto in questi giorni. E’ vero: è stato un convegno che voleva lanciare un forte messaggio politico. Anche le sezioni culturali, come l’intermezzo delle danze ebraiche e palestinesi o come la lettura di brani estratti dal poema “Sotto Assedio” di Mahmud Darwish (tradotto da Wasim Dahmash per le edizioni Q), sono state in realtà fortemente politiche. Nel giorno in cui nel lontano 1947 l’ONU deliberava lo smembramento della Palestina storica per far posto a due stati nazionali, abbiamo voluto dare elementi concreti per una maggiore comprensione delle cause per le quali uno stato palestinese attende ancora di vedere la nascita mentre lo stato di Israele è nato pochi mesi dopo nel maggio del 1948.   Non è infatti di una crisi umanitaria che si tratta, come in altre zone del pianeta dove ancora c’è carenza di cibo o di medicinali. Si tratta infatti di una crisi meramente politica. E questo emerge chiaramente dalle mappe che l’ONU tramite l’ufficio OCHA produce regolarmente sulla situazione dei Territori Occupati (http://www.ochaopt.org/maps.aspx?id=96). E questo emerge chiaramente sia dal ruolo degli USA, schierati univocamente dalla parte israeliana, che da quello dell’Europa, spesso impotente ed inerte se non connivente. Infine anche il ruolo dei cittadini italiani è paradigmatico: Rinaldi, ex-parlamentare europeo, ci ha detto che la maggior parte dei suoi elettori non gli ha mai chiesto conto della situazione e del perché non si proceda concretamente a risolverla.   Il noto giornalista israeliano Gideon Levy, il giorno prima di fronte alle scuole, ha sostenuto come da parte israeliana si tratti più di una barriera psicologica che di muri fisici. Gli ebrei israeliani cioè non considerano i palestinesi come essere umani loro pari. Per questo riescono a vivere quotidianamente in tranquillità, ignorando quello che il loro esercito regolarmente attua a pochi chilometri di distanza a Gaza e in Cisgiordania. Ad esempio, sui giornali israeliani l’esercito non ‘uccide’ mai, sono i palestinesi che ‘trovano la morte’ o semplicemente ‘sono deceduti’. E, mentre i morti palestinesi restano anonimi e relegati ai margini, sui media israeliani perfino i funerali di due cani sono stati riportati in primo piano con lo strazio dei padroni che ricordano quanto fossero bravi e mancasse loro solo la parola.   Non si parla della situazione politica ma si vive come in una bolla. Spesso mi meraviglio dell’ignoranza dei miei compagni, seppur viviamo in un contesto tecnologicamente avanzato”, ha detto pochi giorni fa una giovane italiana a Radio24 che chiamava da Gerusalemme dove si è trasferita per studiare musica.   In questo contesto le parole di Mohammed Khatib, leader della lotta popolare nonviolenta, producono in me un eco enorme. Egli capisce la reazione di alcuni individui che rispondono con la violenza alla colonizzazione sempre più sfacciata di Gerusalemme. Lui che, come la quasi totalità dei palestinesi sotto occupazione, ha scelto un’altra strada. Lui che fa una fatica tremenda a trasmettere le proprie idee ai propri figli, spesso attratti dai combattenti ‘eroi di Gaza’. Khatib rimane però fermo a predicare la resistenza nonviolenta, attiva e creativa contro la demonizzazione e la disumanizzazione di chi vuole presentare i palestinesi solo come terroristi.   Alla fine mi sono ritrovato una volta di più saldo nella certezza che senza la fine dell’occupazione e il ripristino della legalità internazionale, troppo spesso ignorata dalle nazioni che dovrebbero promuoverla, non ci potrà essere la vera Giustizia. E solo quando le barriere fisiche e psicologiche, che ostacolano la conoscenza reciproca e il riconoscimento dell’altro come un proprio simile, saranno rimosse Israele potrà ottenere finalmente la vera Pace.   Franco Dinelli