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Tunisia: verso le elezioni, aspettando il vero cambiamento

cartina della Tunisia

cartina della Tunisia

Oltre 5 milioni di cittadini andranno alle urne il 26 ottobre e il 23 novembre. Ma il Paese, considerato l’unico successo delle primavere arabe, è alle prese con problemi economici, una disoccupazione da record, una corruzione diffusa e i retaggi del vecchio regime.

È iniziato sabato scorso il conto alla rovescia per la duplice tornata elettorale che tra ottobre e novembre darà ai tunisini un nuovo Parlamento e un nuovo capo dello Stato. Una campagna elettorale che rischia di essere segnata dall’allerta sicurezza per la presenza di formazioni islamiste, che premono alle frontiere con Algeria e Libia e hanno proprie cellule nel Paese. Ma la Tunisia è alle prese soprattutto con problemi economici, con una disoccupazione da record, con una corruzione diffusa e con i retaggi del vecchio regime che, senza clamore, frenano il cambiamento.

Ne sono un sintomo l’impunità con cui continuano ad agire le forze di sicurezza, denunciata di recente da Human Rigths Watch; la clemenza delle Corti verso i responsabili della repressione nelle giornate rivoluzionarie di dicembre 2010 e di gennaio e febbraio 2011, e, di converso, la riabilitazione di personaggi del vecchio regime; gli arresti di decine di giovani per reati contro l’ordine pubblico durante le proteste contro l’ex presidente Ben Ali (condannato all’ergastolo in contumacia); la scelta di una politica economica che non ha rotto con il passato. Il governo tecnico uscente ha stretto accordi con Unione europea e Fondo monetario internazionale (Fmi), ha rinnovato le concessioni minerarie e pare avere intrapreso la strada delle libertà economiche più che di quelle politiche. Su Tunisia in Red, Santiago Alba Rico aveva fatto notare che l’esecutivo tunisino avrebbe potuto evitare manovre economiche dure per i cittadini rifiutandosi “di pagare gli interessi su un debito che lo stesso Parlamento europeo ha definito, due anni fa, illegittimo”.

Tuttavia, le politiche del 26 ottobre e le presidenziali del 23 novembre sono considerate elezioni storiche. Una tappa fondamentale del processo di transizione politica in atto dall’inverno 2011, quando la Tunisia si è sollevata contro un regime decennale e ha inaugurato la stagione delle primavere arabe. Rivolte che agli occhi di molti analisti hanno preso una piega democratica soltanto in questo Paese nordafricano, che adesso è alla prova del voto per la seconda volta in quattro anni e per la prima volta, invece, eleggerà il suo presidente con lo scrutinio diretto. In Tunisia, infatti, non si è tornati alla dittatura: lo scorso gennaio è stata ratificata una Costituzione considerata un esempio di laicità tra quelle del mondo arabo e c’è una maggiore libertà dopo il 2011, ma i conti con il passato non sono stati chiusi del tutto e chi è sceso (e continua a farlo) in piazza sperando di ottenere democrazia – ma anche lavoro, servizi, giustizia, equità – è rimasto deluso.

Gli ultimi quattro anni sono stati segnati dall’ascesa alla guida del Paese del partito islamico Ennahda, un tempo fuorilegge. Nelle prime elezioni libere ha conquistato la maggioranza dei seggi nell’Assemblea nazionale (un Parlamento transitorio) ed è il favorito anche nell’imminente tornata elettorale, ma il suo mandato è stato bagnato dal sangue di due esponenti dell’opposizione uccisi da militanti islamisti: Chokri Belaid (assassinato a febbraio del 2012) e Mohammed al-Brahmi (25 luglio 2013). Due omicidi di cui è stato ritenuto moralmente responsabile Ennahda, che hanno scatenato un ritorno delle proteste e la fine del governo islamico con un accordo raggiunto grazie alla mediazione del potente sindacato tunisino Ugtt, da cui è nato un governo tecnico di transizione, più gradito alle potenze occidentali.

Il 26 ottobre circa 5,2 milioni di cittadini torneranno alle urne per eleggere 217 deputati tra circa 13.000 candidati che concentreranno la loro corsa elettorale sulle questioni economiche e sociali. Lo scorso mese la Banca Mondiale ha puntato il dito contro l’eccesso di burocrazia e un sistema bancario in rovina, invocando riforme radicali. A novembre, invece, sarà la prima volta dei tunisini nell’elezione diretta del proprio presidente. Sono 27 i candidati passati alle selezioni della Commissione elettorale (ISIE) che ha respinto 41 candidature. Il voto sarà monitorato da oltre 5.500 osservatori internazionali.

di Sonia Grieco
Roma, 6 ottobre 2014, Nena News