Una missione militare per presidiare il Canale di Sicilia? Esiste già, da oltre dieci anni. Sotto la bandiera della Nato decine di navi ed aerei da guerra con radar potentissimi pattugliano tutto il Mediterraneo, in collegamento diretto con i satelliti spia: nel 2009 sono arrivati a controllare “il 60 per cento” delle acque, percentuale aumentata negli ultimi anni. Senza però dare un contributo alla lotta contro i trafficanti di uomini.
L’operazione si chiama Active Endeavour (traducibile con “impegno attivo”) ed è decisamente costosa. L’Italia ha contribuito finora con circa 230 milioni di euro. E l’ultimissimo decreto per le missioni all’estero ha stanziato altri cinque milioni da spendere entro dicembre proprio per questa attività, finanziando le spedizioni di corvette e sottomarini. All’inizio la Nato doveva occuparsi delle rotte di Al Qaeda: intercettare eventuali movimenti navali dei fondamentalisti islamici, con un occhio di riguardo per i trasferimenti di armi chimiche o nucleari. Ma nel Mediterraneo di terroristi a bordo non ne sono stati mai scoperti: 155 mercantili sospetti sono stati abbordati dai commandos occidentali, senza risultati. E allora il mandato dell’operazione è stato allargato ai business che arricchiscono i miliziani qaedisti, come il commercio di droga e lo sfruttamento dei migranti. Un aspetto, quest’ultimo, che trova grande enfasi sui siti di alcune delle forze armate coinvolte – come quella britannica o quella tedesca – per dare un volto umanitario all’impegno militare nel Mediterraneo. Peccato che lo schieramento di incrociatori, portaelicotteri, sottomarini e velivoli radar non abbia bloccato un solo peschereccio zeppo di profughi.
Eppure dal 2002 la flotta schierata si è allargata sempre più, coinvolgendo unità di 62 paesi, inclusi russi e ucraini. Il bilancio a quel punto era già impressionante: 100 mila mercantili tenuti sotto controllo. Dal 2008 c’è stata un’ulteriore evoluzione qualitativa: piuttosto che mandare altre navi, viene potenziata la condivisione delle informazioni e il network elettronico della sorveglianza. Uno scambio costante tra radar di mezzi navali, aerei e satelliti con la capacità di monitorare 10 mila imbarcazioni ogni giorno. Tra tante navi spiate o perquisite, possibile che non siano mai state scoperte le ammiraglie degli schiavisti? In fondo, se i terroristi islamici dovessero circolare nel Mediterraneo userebbero gli stessi metodi degli scafisti, navigando su pescherecci o barconi. Ma nei bollettini ufficiali della Nato non ce n’è traccia.
Il dispositivo di Active Endeavour sorveglia anche la zona calda dei viaggi disperati verso la Sicilia. Uno dei quadranti di attività delle cannoniere Nato – chiamato in codice Risdorn – marca proprio il tragitto tra Libia e Sicilia, dove si sono verificate le stragi più gravi. E un settore di pattugliamento aereo dell’Alleanza militare (chiamato Melita W) vigila sulle acque tra Tunisia e Italia: nella mappa è ben evidenziata Lampedusa. Eppure né i radar dei più moderni cacciatorpediniere, orgoglio dell’Us Navy e delle marine europee, né quelli dei ricognitori volanti più sofisticati hanno mai segnalato un barcone in difficoltà o uno scafo di migranti in viaggio. Gli unici interventi noti sono stati realizzati da un dragamine tedesco e una fregata polacca a largo delle coste spagnole, per il resto nulla.