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I piedi di Giuda

Carissimi,
è più facile parlare delle labbra di Giuda che dei suoi piedi.
Tutto a causa di quel bacio, naturalmente.
Dagli affreschi di Giotto alle tele di Salvatore Fiume, infatti, gli artisti, allungandole come due ventose, hanno adoperato quelle labbra come simbolo del tradimento.
Un tradimento che suscita reazioni emotive. Che allude. Una vigliaccata, insomma, che non lascia estraneo nessuno. Un mistero d’iniquità che provoca processi di identificazione e che, comunque, induce a riflettere.
Non c’è che dire: quelle di Giuda sono due labbra scomode per tutti. Se non altro, perché stanno a ricordarti che anche noi ci portiamo sulla bocca la possibilità di darlo ogni giorno, un bacio infame del genere.
I suoi piedi, invece, benché sospesi sul vuoto di un crepaccio, non destano emozioni. Provocano solo ribrezzo. Gonfi nella tragedia del suicidio, sembrano il punto fermo di un discorso che ha finito di coinvolgere l’interlocutore. Più che l’ultima propaggine di un corpo ancora caldo di vita, sono l’epilogo di una esistenza sbagliata. Il fotogramma finale di una storia infelice. L’estremo dettaglio di una prova fallita.
Eppure, quei piedi sono stati lavati da Gesù. Con la stessa tenerezza usata per Pietro, Giovanni, Giacomo. Sono stati asciugati dalle sue mani col medesimo trasporto d’amore espresso per tutti. Senza neppure l’ombra di pose scenografiche che accentuassero i contrasti a beneficio dei posteri.
I piedi di Giuda, come i piedi degli altri. Anche se più degli altri, per paura o per imbarazzo, hanno vibrato sotto lo scroscio dell’acqua. Gesù se n’è dovuto accorgere. Tant’è che qualche istante più tardi ha fatto riferimento a quei piedi: «colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno».
Ebbene, quel calcagno già levato nell’atteggiamento proditorio del calcio, e ciononostante investito dall’acqua ristoratrice del Maestro, rimane per tutti noi l’emblema di un angoscioso bisogno di redenzione che chiede il nostro servizio e non il rigore della nostra condanna.
Non importa quale sia l’esito della lavanda. Così come non importa sapere se il destino finale di Giuda sia stato di salvezza o di perdizione. Sono affari del Signore: l’unico capace di accogliere fino in fondo il mistero della libertà umana e di comporne le scelte, anche le più assurde, nell’oceano della sua misericordia. A noi tocca solo entrare nella logica del servizio, di fronte alla quale non esiste ambiguità di calcagni che possa legittimare il rifiuto o la discriminazione.
Carissimi fratelli, se Giuda è il simbolo di chi nella vita ha sbagliato in modo pesante, il gesto di Cristo curvo sui suoi piedi ci chiama a rivedere giudizi e comportamenti nei riguardi di coloro che, secondo gli schemi mentali in commercio, sono andati a finire sui binari morti di un’esistenza fallimentare.
Di chi è finito fuori strada per colpa propria o per malizia altrui. Di chi ha calpestato i sentimenti più puri. Di chi ha ripagato la tenerezza con l’ingratitudine più nera. Di chi ha deviato dalle rotte di una fedeltà promessa. Di chi ha infranto le regole di un’amicizia giurata. Di chi ha spezzato i legami di una comunione antica. Di chi non ce l’ha fatta a seguire Gesù fino al Calvario. Di chi dai chiarori del cenacolo è precipitato nella notte della strada. Di chi non ha avuto fortuna e ha abdicato, per debolezza o per ingenuità, ai progetti della gioventù.
Sui piedi di questi fratelli, col divieto assoluto di sollevare lo sguardo al di sopra dei loro polpacci, noi, protagonisti di tradimenti al dettaglio e all’ingrosso, abbiamo l’obbligo di versare l’acqua tiepida della preghiera, dell’accoglienza e dell’accredito generoso di mille possibilità di ravvedimento. Lavare e asciugare i piedi di Andrea che se n’è andato con un’altra donna, lasciando moglie e figli senza far sapere più nulla, e ora è disperato. Lavare e asciugare i piedi di Marisa che ha smesso di studiare, è scappata di casa, si buca sistematicamente, si è ammalata di AIDS, e ha prostrato la famiglia nella vergogna. Lavare e asciugare i piedi di Mario che ha fatto un bidone agli amici, e ora che si è pentito non gli crede più nessuno perché bollato come infame per tutta l’eternità. Lavare a asciugare i piedi di Damiano, anzi il piede di Damiano perché uno glielo hanno amputato per cancrena: rubava, si ubriacava, colpiva alle spalle, e ora tutti dicono che ben gli sta.
Purificati da un lavacro d’amore, quei piedi, sia pure per carreggiate sconosciute, non potranno fare a meno di orientarsi verso la casa del Padre.
Ringraziamo il Signore, perché, al cappio della disperazione che stringe la gola, ci fa sostituire il cappio di un asciugamano, che stringe i fianchi col nodo scorsoio della speranza.
Vi saluto

don Tonino Bello

26 febbraio 1989