Ordinato vescovo il 30 ottobre 1982, fece il suo ingresso nella diocesi di Molfetta – Ruvo – Giovinazzo – Terlizzi il 21 novembre dello stesso anno.
Il suo ministero pastorale si distinse per il coraggio profetico con cui fu capace di indicare le strade per la costruzione di una pace che non sfuggisse alle ragioni della nonviolenza cristiana. Non mancano in lui, a partire da una visione della pace che sa sempre coniugarsi con il servizio e la solidarietà ai più poveri, una visione di Chiesa che si informa più strettamente al Vangelo.
Rimane famosa la sua definizione della “chiesa del grembiule”, di una comunità cristiana che sa chinarsi umilmente sui piedi degli uomini senza tralasciare di analizzare in profondità le cause delle nuove povertà.
Il suo servizio, pur non rifuggendo l’azione particolare, anzi privilegiando quella “teologia del volto” che vuol dire incontro e accoglienza dell’altro, conosce le fasi della denuncia e dell’annuncio come momenti dinamici di una stessa missione che si propone all’intera comunità. D’altra parte a ragione si potrebbe oggi parlare di una ecclesiologia fondata sul Vangelo del servizio e della pace che egli ha proposto ed incarnato negli ambiti pastorali cui è stato chiamato a servire.
I discorsi pronunciati in occasione dell’annuale Messa crismale ed il Progetto Pastorale approntato per la sua diocesi sono un esempio di quella prospettiva e costituiscono un utile approfondimento al riguardo.
Nel 1985 col consenso della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana fu chiamato a succedere a Mons. Luigi Bettazzi vescovo di Ivrea, nella guida di Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace. Anche qui fece subito intendere che avrebbe guidato il Movimento con la testimonianza coraggiosa di vita e con la parola carica di calore umano e di profezia. La sua azione ha sempre tratto energia, vita e motivi da una spiritualità saldamente ancorata alla Parola di Dio. Forse anche per la sintonia con la spiritualità francescana (faceva parte dell’Ordine Francescano Secolare) egli amava lasciarsi guidare dal vangelo “sine glossa”, senza sconti sulla verità né diluizioni o prudenze carnali. Con una delle sue originali ed appropriate intuizioni linguistiche egli tracciava le linee per una spiritualità di quello spessore definendola “contemplattiva”.
Pur così radicate nella Parola, le sue riflessioni hanno trovato accoglienza e comprensione anche presso persone di culture e formazione ideologica differenti tanto da farne apprezzare la proposta franca e l’azione profetica ben oltre i confini della chiesa cattolica. Non è per nulla facile riuscire a definire ciò che ha caratterizzato il suo spendersi per la pace ma ci pare di poter raccogliere lo stile inaugurato dalla sua testimonianza nella politica, nella profezia e nella poesia della pace.
La beatitudine evangelica degli operatori di pace diventa ben presto il discrimine per valutare e promuovere azioni concrete, mai approssimate ma sempre frutto di una lettura attenta della realtà. In questo senso vanno lette le sue prese di posizione nel corso di conflitti armati come quelli del Golfo e della ex-Jugoslavia, l’organizzazione della protesta contro l’ipotesi del trasferimento degli aerei F 16 nella base di Gioia del Colle, la lotta contro il tentativo di sottrarre migliaia di ettari di terreno a contadini ed allevatori della Murgia barese per farne un enorme poligono di tiro, la sua appassionata adesione al cartello “Contro i mercanti di morte” che portò nel 1990 all’approvazione della Legge 185 che regola in maniera restrittiva e democratica il commercio delle armi italiane e tante altre azioni nella direzione dell’affermazione e della crescita di una cultura di pace.
Molti dei gesti che hanno accompagnato la vita di questo vescovo hanno le caratteristiche della profezia in quanto partono da una condivisione autentica delle contraddizioni e delle miserie della nostra epoca, riescono a leggere nella profondità e nella trasparenza degli avvenimenti della micro come della macro storia, ma al contempo sono capaci di indicare una strada da seguire. In questo senso l’accoglienza in diversi tempi di sfrattati, albanesi e africani immigrati nella sua casa, così come gli interventi e le omelie che accompagnano e scandiscono il cammino della Diocesi, la riflessione in occasione di eventi drammatici (l’uccisione del sindaco di Molfetta, l’assassinio di una guardia campestre, la commemorazione di Mons. Romero ed altri…) segnano una strada per cristiani ed uomini di buona volontà. Inoltre in don Tonino Bello risalta la capacità di strappare alla banalità ogni avvenimento fino a coglierne la filigrana più intima.
La modalità del profeta la si scorge anche nel momento in cui egli accarezza la figura biblica della sentinella che, scrutando l’orizzonte, riesce a cogliere prima degli altri l’incalzare dell’alba sin dalla prima stella del mattino. Infine alcune considerazioni sul linguaggio. La sua parola assume tonalità poetiche, oseremmo dire liriche. Per la verità forse non c’è genere letterario e forma di linguaggio che in don Tonino non abbia trovato luogo.
Rimangono toccanti e provocatorie nello stesso tempo alcune pagine di fraterno dialogo con i personaggi biblici, come l’immaginario epistolario con persone che emergono dalla realtà come spine nel fianco debole della storia.
Le sue riflessioni sulla figura e le virtù di Maria e le preghiere da lei ispirate e a lei rivolte riescono ad essere comprensibili a tutti pur nell’eleganza del linguaggio. Non di meno egli ricorre alla metafora e alla coniazione di nuovi termini quando non al gioco dei vocaboli, nel momento in cui deve parlare della pace e proporne le strade concrete. A questo proposito arriva ad esaltare l’arte, la musica e la poesia come forme privilegiate dell’annuncio della pace. (vedi dialogo con Saul).
Intuizione, profezia e coraggio nel proporre una pace mai disincarnata ma sempre coniugata con la giustizia, con la verità, la salvaguardia del creato, la nonviolenza, gli valsero non poche incomprensioni sia nel mondo laico come nel contesto ecclesiale che spesso gli rimproverava ingenuità o spregiudicatezza.
Alla prova dei fatti, come al vaglio del tempo, la storia che mostra gemme di primavera pur tra le fatiche e i dolori della gestazione, dà ragione delle sue prese di posizione e degli orizzonti intravisti.
Il 20 aprile 1993 a soli quattro mesi di distanza dalla partecipazione alla missione di pace a Sarajevo (missione di cui era stato anche l’ispiratore), un cancro indomabile lo ferma, i poveri e gli operatori di pace lo piangeranno sinceramente certi di aver perso troppo prematuramente (era nato ad Alessano in provincia di Lecce il 18 marzo 1935) un testimone della pace intesa, e solo in parte realizzata, come “convivialità delle differenze”.
Tonio Dell’Olio
Fonte: “Bello Mons. Antonio”, Dizionario di Teologia della pace, Bologna, Edizione Dehoniane, 1997