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IL PUGNO “DURO” DI ALGERI

VENERDÌ 18 GENNAIO 2013
ASSALTO A IN AMENAS, LE REAZIONI

di Laura De Santi, da Algeri

 

«Con i terroristi non tratteremo mai. Ieri come oggi e come domani, davanti al terrorismo, non ci sarà né negoziato, né ricatto, né tregua». Rompe l’abituale silenzio delle autorità algerine, Mohammed Said, neo ministro della comunicazione. In un lungo intervento alla televisione di stato, Entv, ha tentato di giustificare il maxi blitz compiuto dalle forze speciali algerine nel campo gasiero di In Amenas. Spiegazioni, rivolte più alle cancellerie occidentali che alla popolazione algerina abituata, se mai ci si può abituare, alle atrocità del fondamentalismo islamico, al pugno di ferro dei militari algerini impegnati, ormai da 20 anni, in una guerriglia che ha fatto tra i 150 e i 200 mila morti.

Non stupisce quindi la reazione di almeno una parte della società algerina pronta a schierarsi al fianco del Pouvoir e a sostenere «la prova di sé», ha aggiunto Said, che ha dato Algeri rispondendo con «efficacia all’attacco che l’è stato sferrato».

«Siamo abituati a fare da soli, qualche paese straniero si è preoccupato di noi durante gli anni ’90?», afferma Krimo, proprietario di un piccolo negozio di alimentari nel cuore della capitale. E aggiunge: «Che cosa avremmo dovuto fare? Trattare con i terroristi? Hanno massacrato i nostri figli, le nostre mogli e il mondo è rimasto a guardare. Non fraintendetemi, che Allah accolga le anime delle vittime di ieri ma non diamo la colpa all’esercito algerino».

Mentre la classe politica continua a mantenere il più assoluto riserbo sull’operazione, gli algerini hanno affidato ancora una volta ai social network i loro dubbi e le loro paure. «Per essere presa sul serio l’Algeria deve uscire da sola da questo conflitto – commenta Hany – Del resto li abbiamo sempre combattuti da soli». C’è chi arriva perfino ad invocare «una reazione alla Putin: dare l’assalto e sterminarli tutti fino all’ultimo». In molti, anche su Twitter, fanno il parallelo con l’attacco alla scuola di Beslan e al Teatro di Mosca ricordando che «alcuni generali sono stati formati proprio dagli amici russi».

Critiche all’assalto compiuto dalle forze di sicurezza che, secondo alcuni ostaggi liberati avrebbero anche bombardato il campo di Tigantourine con alcuni elicotteri, arrivano invece da buona parte della stampa algerina. El Khabar, il più importante quotidiano arabofono algerino: «Sono i terroristi che hanno acquisito esperienza negli anni, non certo le autorità. Le autorità politiche e militari si dicono ormai esperte nella lotta antiterrorismo, ma hanno fallito la loro guerra al terrorismo». A far temere il peggio, l’obiettivo scelto dagli uomini di Moktar Belmoktar, un luogo considerato «strategico e fondamentale per l’economia del paese». Nemmeno nel decennio nero del terrorismo algerino «era mai stato colpito un campo di estrazione di idrocarburi», una zona militarizzata sotto il controllo del ministero della difesa, off limits per chi non lavora direttamente nei giacimenti. Al-Qaida per il Maghreb islamico «ha dimostrato che può colpire dove vuole e ogni volta che ne avrà l’occasione».

Se per El Khabar a fallire sono stati i militari, il partito d’opposizione Raggruppamento per la cultura e la democrazia (Rcd) aveva ricordato all’indomani dell’attacco francese in Mali che «il conflitto lanciato alle frontiere algerine mostra, ancora una volta, la paralisi della diplomazia algerina». Secondo Otmane Mazouz, portavoce dell’Rcd, il fallimento delle trattative con Ansar Dine (movimento integralista islamico guidati da Iyad Ag Ghali, capo storico tuareg convertitosi al salafismo) condotte proprio da Algeri ha dimostrato «la fragilità umiliante delle autorità algerine».

 

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