Si ripete la stessa operazione mediatica: come per la «guerra umanitaria» in Libia Mentre sulla Siria va avanti il grande gioco diplomatico e dalla Siria continuano ad arrivare versioni contrastanti e contrapposte delle violenze che insanguinano il paese ormai da quasi un anno, vale la pena cercare di rompere l’assedio mediatico e la narrazione a senso unico (in favore degli insorti, ovvio) data da governi e media occidentali. Questo per cercare di fare un po’ di chiarezza ed evitare il ripetersi di uno scenario alla libica. Anche in vista, per chi ne sia interessato, della manifestazione fissata per domenica prossima a sostegno del Consiglio nazionale siriano (Cns) a cui pare abbiano aderito fra gli altri Cgil, Arci, Acli, Libera. Basato in Turchia (ma il suo leader Bhouran Gharioun vive a Parigi da decenni, sostiene però di rappresentare l’80% dei siriani), il Cns, attraverso i suoi «osservatori sui diritti umani» da Londra e i cosiddetti «Comitati di coordinamento locale», è la fonte quasi esclusiva delle notizie pubblicate sui media che accreditano la versione di una «rivolta a mani nude contro il dittatore». A differenza dei settori dell’opposizione favorevoli al negoziato e non alla lotta armata né all’ingerenza straniera, il Cns rifiuta ogni possibile negoziato e mediazione (come il Cnt libico, a suo tempo). Non ne ha bisogno, perché ha trovato molti alleati fra i paesi occidentali e le petro-monarchie del Golfo, ai quali ha chiesto da tempo l’imposizione di una no-fly zone «per la protezione dei civili» (per esempio in ottobre e in gennaio). Del resto come vari analisti hanno spiegato, soprattutto nel caso siriano la no-fly zone non avrebbe senso e dovrebbe piuttosto sfociare in un vero e proprio sostegno aereo anti-Assad. Il Cns ha stretto in dicembre un patto di collaborazione con il cosiddetto “Esercito siriano libero”. Il rappresentante del Cns in Italia (e organizzatore della manifestazione del 19 a Roma) è Mohammed Noor Dachan. Sul sito del Cns risulta affiliato alla Fratellanza musulmana. Lui sostiene che l’Esl è fatto di «soldati, sottufficiali e ufficiali che hanno scelto di rifiutare di sparare alla gente comune disarmata e non è un esercito di guerra, ma ha solo l’obiettivo di difendere le manifestazioni». In realtà l’Esl è responsabile di uccisioni di soldati e civili siriani (ci sono elenchi nominativi documentati) e atti di sabotaggio e terrorismo (di recente decine di morti in esplosioni ad Aleppo). Accanto all’Esl l’intervento armato occidentale e delle petro-monarchie c’è già e da tempo. Non sotto forma di bombardamenti ma di finanziamenti e invio di armi, consiglieri e mercenari. Mentre la Turchia offre la base logistica all’Esl, Qatar e altri paesi non fanno mistero del loro appoggio «diplomatico» e finanziario e in armi; a metà gennaio lo sceicco Bin Khalifa Thani ha dichiarato la volontà di mandare truppe. Inglesi e francesi hanno confermato di aver mandato unità ad assistere i rivoltosi. Sono state scoperte armi inglesi avviate clandestinamente, sul suolo siriano sono già operativi commandos e forze speciali. L’obiettivo è di creare delle«zone liberate» così da legittimare l’intervento «umanitario» esterno. Da tempo l’opposizione siriana ottiene armi. Obama pensa di replicare i successi libici: nessun uomo, nessun morto americano, ma consiglieri e soldi. Indiscrezioni raccolte dal Guardian sulla presenza di reparti speciali britannici e americani al fianco degli insorti. E le voci diffuse dal sito israeliano Debka (vicino al Mossad, ma informato) su truppe inglesi e qatariote con i ribelli a Homs. Poi ci sono i mercenari libici. Dopo un incontro, in dicembre, di Ghalioun a Tripoli con i nuovi leader, centinaia di volontari libici sarebbero partiti per la Siria, sparpagliati tra Homs, Idlib e Rastan. La missione è coordinata dall’ex qaedista Abdelhakeem Belhaj, figura di spicco della nuova Libia, e dal suo vice Mahdi al Harat.
Marinella Correggia