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Arnesa Buljusmic-Kustura riflette sulla guerra di Israele a Gaza, sul caso della Corte Internazionale di Giustizia e su questo momento storico: abbiamo imparato dal passato o siamo condannati a ripeterlo?
Di Arnesa Buljusmic-Kustura
Per Arnesa, sopravvissuta al Genocidio bosniaco, assistere alla tragedia che si sta svolgendo a Gaza ha fatto riaffiorare ricordi traumatici dell’infanzia.
Alla tenera età di cinque anni, ho preso parte mio malgrado al tragico teatro della guerra e del Genocidio. I proiettili dei cecchini, i bombardamenti incessanti e lo spettro pervasivo della morte hanno costituito il duro sfondo della mia infanzia.
Nata e cresciuta a Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina, sono stata testimone delle profonde conseguenze del nazionalismo etnico, della retorica antimusulmana e dell’odio.
La guerra e il Genocidio in Bosnia, durati dal 1992 al 1996, hanno inciso un capitolo oscuro nella storia con orribile brutalità. Il bilancio delle vittime, che supera le 100.000 persone uccise, costituisce una dura testimonianza della portata di questa tragedia, che lascia innumerevoli altre persone a subire sfollamenti, torture e violenza sessuale.
Questi numeri cessano di essere semplici statistiche; incarnano la portata incalcolabile della sofferenza umana. Massacri, Campi di Concentramento, Campi di Stupro e Torture si sono accumulati nel terribile Genocidio di Srebrenica, dove oltre 8.732 musulmani bosniaci furono sistematicamente giustiziati nel luglio 1995.
Vivere a Sarajevo in quegli anni tumultuosi significava sopportare la privazione dei beni di prima necessità: acqua, elettricità, cibo e aiuti. Significava essere separata dal mondo, trascorrere i miei anni formativi rannicchiata in scantinati bui, sperando di sopravvivere ai bombardamenti quotidiani orchestrati dalle forze dell’Esercito della Repubblica Serba e dall’Esercito Nazionale Jugoslavo.
Ogni colpo alla porta portava con sé il terrore che le forze serbe ci portassero via o portassero la notizia devastante della morte di una persona cara.
Una tragedia colpì la mia famiglia all’inizio del Genocidio bosniaco, quando mio padre fu imprigionato in un Campo di Concentramento. Sebbene lui, per fortuna, sia fuggito e si sia riunito a noi, i massacri Genocidi di Visegrad hanno causato la morte di mio nonno, dei miei zii e di numerosi altri membri della famiglia.
Nel frattempo, nel brutale assedio di Sarajevo, mia nonna ha trovato la sua tragica fine, uccisa dalle forze serbe mentre preparava la colazione per la sua famiglia.
Nei corridoi oscuri della storia, il termine “Genocidio” suona con una risonanza agghiacciante e profonda, che incide cicatrici indelebili su coloro che sopravvivono alla sua malvagità.
Come sopravvissuta al Genocidio bosniaco, sono profondamente in sintonia con gli echi inquietanti di quel capitolo oscuro della storia umana, un capitolo che rifiuta di essere chiuso. Oggi, mentre assisto della tragedia in corso a Gaza, lo spettro del Genocidio riemerge con una toccante familiarità.
Il panorama palestinese, segnato da 75 anni di Occupazione Militare Israeliana, rispecchia le difficoltà affrontate durante la guerra in Bosnia e il Genocidio: sfollamenti, difficoltà economiche e accesso limitato ai beni essenziali.
La campagna di bombardamenti in corso a Gaza aggrava una situazione umanitaria già disastrosa. Questo è più di un conflitto geopolitico; questo è un Genocidio contemporaneo.
In 111 giorni, più di 25.000 palestinesi di Gaza sono stati uccisi da Israele, tra cui almeno 10.000 bambini. Più di 8.000 risultano dispersi, intrappolati sotto le macerie e presumibilmente morti. Altri 63.000 sono feriti e più del 90% dei 2,3 milioni di residenti di Gaza sono sfollati.
I video dei leader israeliani che chiedono la distruzione di Gaza e lo sfollamento forzato dei palestinesi fanno eco ai sentimenti espressi dai responsabili del Genocidio bosniaco.
Nel caso del Genocidio bosniaco, mentre sia i serbi bosniaci che la dirigenza politica serba sapevano che stavano commettendo un Genocidio nei loro piani espansionistici per creare una “Grande Serbia”, pubblicamente tentarono di nascondere i loro crimini per evitare responsabilità.
Il loro Intento Genocida non era così palese o così forte come alcuni dei sentimenti espressi dalla dirigenza politica israeliana.
Tuttavia, il confronto tra il Genocidio bosniaco e l’attuale situazione a Gaza richiede un esame articolato. Sebbene i contesti storici differiscano, gli elementi fondamentali dello sfollamento di massa, della violenza mirata contro i civili e dell’obiettivo generale dello Sterminio di un gruppo specifico sono gli stessi.
Per comprendere il concetto di Genocidio, è fondamentale comprenderne la definizione giuridica e il quadro sociologico. Coniato da Raphael Lemkin dopo l’Olocausto, il termine Genocidio racchiude atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.
Il Genocidio va oltre il semplice atto di uccidere; comprende un tentativo deliberato e sistematico di annientare un gruppo specifico in base alla sua identità.
Il Genocidio è un processo. In Bosnia, non si è verificato semplicemente un giorno nel luglio del 1995, né si è manifestato improvvisamente nell’ottobre del 2023 a Gaza. È un processo che inizia con la disumanizzazione, la discriminazione e la persecuzione.
Lo scopo del Genocidio è certamente quello di distruggere, ma anche di cancellare il tessuto stesso dell’esistenza del gruppo, la sua storia, la sua cultura e, in molti modi, la sua stessa anima.
Vediamo questi criteri nella guerra di Israele a Gaza, un tentativo sistematico di distruggere la popolazione palestinese. Il prendere deliberatamente di mira i civili, la distruzione delle case e le severe restrizioni sulle risorse essenziali contribuiscono alla natura sistematica della violenza. I parallelismi con il Genocidio bosniaco, sia negli intenti che nell’esecuzione, non possono essere ignorati.
Il personale diventa politico quando mi unisco al coro che chiede il riconoscimento della crisi di Gaza come Genocidio. La coraggiosa mossa del Sudafrica di intentare una causa contro Israele per Genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia ha aperto una porta cruciale per la responsabilità internazionale.
Questo caso storico presso la Corte Internazionale di Giustizia, unito agli orrori della guerra a Gaza che si svolgono in tempo reale, fa riaffiorare ricordi traumatici per i sopravvissuti al Genocidio bosniaco come me.
I paralleli tra la risposta della comunità internazionale alla Bosnia e l’attuale situazione a Gaza sono inquietantemente simili, e sottolineano la necessità di un’azione rapida e decisiva per prevenire ulteriori atrocità.
Gli echi di Srebrenica servono a ricordare duramente le conseguenze dell’inazione geopolitica. La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sul Genocidio bosniaco ha stabilito che il Genocidio è avvenuto ma ha assolto la Serbia dall’intento diretto.
Ora, tre decenni dopo, Israele si trova ad affrontare accuse di Genocidio, che ci catapultano in un dibattito famigliare.
Osservare come il mondo permette che si svolga un altro Genocidio sottolinea il fallimento della comunità internazionale nell’attuare misure cruciali nel 1993 in seguito all’appello della Bosnia per un cessate il fuoco. Il ricordo dell’esitazione e del ritardo nell’azione della comunità internazionale durante il Genocidio bosniaco dovrebbe servire da appello ad agire con urgenza.
Riflettendo sulla narrazione della mia esperienza, il tema ricorrente dello sfollamento, della perdita e della violenza mirata diventa palpabile. Le mie esperienze d’infanzia, un tempo confinate nel paesaggio bosniaco, ora trovano una risonanza inaspettata nella tragedia in corso a Gaza.
La narrazione personale non è semplicemente un resoconto del trauma passato, ma un appello a riconoscere l’urgenza del presente.
L’arco narrativo dalla Bosnia a Gaza illumina il filo della sofferenza umana intessuto nella storia. Il Genocidio bosniaco funge da sfondo inquietante sul quale si svolge la tragedia in corso a Gaza.
Oggi ci troviamo al crocevia della storia, pronti a determinare se abbiamo imparato dal passato o siamo condannati a ripeterlo.
Mentre percorriamo questo complesso terreno di memoria e responsabilità internazionale, diventa imperativo affrontare i fallimenti della comunità internazionale. Il Genocidio bosniaco, come molti casi di violenza di massa, ha rivelato una profonda inadeguatezza nella risposta globale alle atrocità.
Le Nazioni Unite hanno vacillato di fronte al Genocidio sistematico e allo sfollamento forzato, sollevando interrogativi sui limiti della nostra responsabilità morale e sull’efficacia delle istituzioni internazionali di fronte allo spettro del Genocidio.
La tragedia di Gaza diventa un crogiolo contemporaneo, mettendo alla prova l’impegno della comunità internazionale nel prevenire il ripetersi di errori storici. L’allarmante bilancio delle vittime, composto principalmente da civili, sottolinea l’urgenza della situazione. L’impatto sulla popolazione civile, in particolare sui bambini, rispecchia le esperienze strazianti dei bambini bosniaci coinvolti nel fuoco incrociato.
La decisione del Sudafrica di portare Israele davanti alla Corte Internazionale di Giustizia per Genocidio segna un momento cruciale nella ricerca delle responsabilità, facendo eco al caso del Genocidio bosniaco. La Corte Internazionale di Giustizia, in quanto sede per giudicare le controversie e affrontare questioni di Diritto Internazionale, svolge un ruolo cruciale in questa ricerca della giustizia. Il caso contro Israele deve essere affrontato con un chiaro impegno a sostenere il Diritto Internazionale e prevenire ulteriori atrocità.
Mentre la Corte Internazionale di Giustizia si prepara a emettere la sua sentenza sulle misure provvisorie proposte dal Sudafrica questo venerdì, l’urgenza si intensifica. Nella speranza di fare la differenza, la scorsa settimana ho inviato una lettera aperta alla Corte Internazionale di Giustizia, firmata da oltre 3.500 sopravvissuti al Genocidio bosniaco in tutta la Bosnia e nel mondo.
La lettera implora il tribunale delle Nazioni Unite di impedire il ripetersi della storia attuando le “misure provvisorie” proposte dal Sudafrica, come un cessate il fuoco, per mitigare il rischio di Genocidio. Israele denuncia queste misure come “inconcepibili”, citando il diritto intrinseco a difendersi.
Questo momento si estende oltre Israele e Gaza; racchiude l’intero quadro del Diritto Umanitario Internazionale. Molti sopravvissuti al Genocidio si uniscono, facendo leva sulle loro esperienze traumatiche per implorare sia la Corte Internazionale di Giustizia che la comunità internazionale in generale di agire con decisione, spezzare il ciclo di inazione e prevenire ulteriori atrocità.
Gli echi dei Genocidi passati sottolineano la responsabilità della comunità globale di imparare dalla storia, garantendo che le tragedie della Bosnia non si ripetano a Gaza a livelli ancora più orribili.
Mentre ci troviamo al bivio della storia, la scelta è chiara: dare ascolto alle lezioni del passato e lottare per un mondo libero dalle catene del Genocidio o soccombere all’inerzia che perpetua cicli di violenza.
L’urgenza non risiede solo nel raccontare gli orrori storici, ma nella responsabilità collettiva di prevenire il ripetersi di tali atrocità. L’arco narrativo dalla Bosnia a Gaza illumina il percorso da seguire, un percorso che deve essere lastricato con un impegno costante per la giustizia, la responsabilità e la preservazione della dignità umana.
Negli echi dei Genocidi del passato, troviamo la responsabilità collettiva di superare l’inerzia geopolitica. Le tragedie della Bosnia non devono ripetersi a Gaza, e la comunità globale deve restare unita nel prevenire ulteriori atrocità.
Mentre aspettiamo la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia e assistiamo alla crisi in corso, non siamo semplici spettatori ma partecipanti attivi nel plasmare un mondo in cui il termine “Genocidio” diventa una reliquia della storia, non una realtà inquietante.
La narrazione dalla Bosnia a Gaza non è solo il racconto di traumi personali; è un appello all’azione, un appello urgente per un mondo in cui l’innocenza dei bambini sia salvaguardata e gli echi del Genocidio siano messi a tacere per sempre.
Arnesa Buljusmic-Kustura è una ricercatrice ed educatrice, scrittrice e attivista sul Genocidio. Il suo lavoro si occupa di nazionalismo etnico, negazione del Genocidio e trauma di bambini e donne nelle zone di guerra. È autrice di “Lettere dalla Diaspora” (Letters from Diaspora) ed ex vicedirettrice di Ricordando Srebrenica. Le sue parole e il suo lavoro sono stati presentati e pubblicati sulla BBC, su The Guardian, The Independent, CNN, The Intercept, tra gli altri. Attualmente fa parte del gruppo di esperti degli studiosi del Genocidio che lavora per elevare la discussione sul Genocidio e ricercare il Genocidio nella Striscia di Gaza.