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Autonomia Strategica dell’Unione Europea: c’è il Riarmo, manca il Disarmo

Marco Pezzoni

Quando si analizza la politica estera e di difesa dell’Unione Europea, ci si è per lungo tempo lamentati del fatto che non ci sia quasi mai una posizione comune tra gli Stati membri al punto che Washington non saprebbe quale numero di telefono chiamare. Immagine giornalisticamente efficace per denunciare la debolezza e le divisioni interne alla U.E. ma che rimane alla superficie del rapporto che esiste dal 1945 ad oggi tra le due sponde dell’Atlantico: rapporto di altalenante ma continuata sudditanza alla superpotenza USA sia come Comunità Economica Europea durante la Guerra fredda sia successivamente alla caduta del Muro di Berlino come Comunità Europea e poi Unione Europea. Insomma a Washington quello che importa da sempre non è tanto l’unità politica degli Stati europei quanto la loro distanza da Mosca e la loro fedeltà all’Alleanza Atlantica.

Certo il processo di integrazione europea è andato faticosamente avanti a piccoli passi e occorre ammettere che è stato un percorso problematico ma sostanzialmente positivo anche se ha seguito l’approccio gradualista di Jean Monnet piuttosto che la visione federalista di Altiero Spinelli. L’allargamento ai Paesi dell’Est Europa dell’Unione Europea ne ha ulteriormente accentuato il carattere intergovernativo, confederale più che federale, strettamente legato all’allargamento della Nato.

L’attuale guerra in Ucraina ha fatto il resto: gli spazi di relativa autonomia conquistati da alcuni Stati in varie direzioni velocemente azzerati. Pensiamo all’Ostpolitik della Germania, alle aperture al mondo arabo e alla causa palestinese dell’Italia, alla orgogliosa presunzione di grandezza della Francia, alla neutralità di Svezia e Finlandia.

Contemporaneamente in questi ultimi anni l’Europa è chiamata ad affrontare sfide globali lasciate latenti per troppo tempo: il cambiamento climatico, i limiti dello sviluppo, le migrazioni, il rapporto con le Potenze emergenti e con il Sud del mondo, la rivoluzione energetica e quella digitale. Soprattutto stanno cambiando gli equilibri geopolitici mondiali e l’Unione Europea invece di caratterizzarsi come grande potenza civile interessata al multipolarismo e al nuovo ordine internazionale si sente richiamata ai propri doveri di vassallaggio dalla superpotenza statunitense tuttora concentrata sulle proprie ambizioni egemoniche.

Ed è quello che purtroppo sta accadendo sia nell’incapacità di opporsi alla continuazione della guerra in Ucraina sia nel prendere una posizione autonoma e coraggiosa nei confronti di Israele dichiarando ufficialmente di riconoscere lo Stato palestinese.

La posta in gioco delle elezioni europee 2024

In questo quadro si colloca la posta in gioco delle prossime elezioni europee del 6-9 giugno 2024 e una prospettiva di notevole rilevanza ma per ora poco approfondita dai media e dagli stessi partiti italiani. Per quanto riguarda la posta in gioco è evidente il rischio di un cambio delle maggioranze alla guida delle Istituzioni europee con l’ascesa della destra in Italia, Olanda, Svezia, Ungheria e con lo slittamento a destra degli elettorati in Francia e in Germania dove l’estrema destra è seconda nelle recenti elezioni in Baviera e Assia. Fanno ben sperare la tenuta elettorale in Spagna con la riconferma al governo di Gonzales e la sconfitta del PiS in Polonia con Tusk nuovo premier. Per quanto riguarda la prospettiva da prendere in seria considerazione e da approfondire anche a livello   italiano è la possibile Riforma dei Trattati fondativi dell’Unione Europea perché si indirizzi nel senso di una maggiore integrazione politica e “autonomia politica strategica”.

In questi ultimi mesi di vita il Parlamento Europeo ha elaborato una proposta organica di riforma dei Trattati che, se approvata anche dal Consiglio europeo, dovrebbe dare vita nel 2024 ad una Convenzione che coinvolgerà sulle principali riforme da attuare in Europa il futuro Parlamento Europeo insieme a Parlamenti nazionali, Comitati regionali e società civile dei 27 Stati che fanno parte della U.E.

 Il Rapporto dei 5 co-relatori sulla riforma complessiva da apportare ai Trattati della U.E. è stato approvato dal Parlamento Europeo con una maggioranza trasversale appena sufficiente che potrebbe mutare con le elezioni del giugno 2024. Maggioranza composta da gran parte dei Gruppi parlamentari di PPE, Verdi, Liberali, Socialdemocratici, Sinistra.

Tra le proposte più interessanti e innovative quello di superare il vincolo dell’unanimità per passare al voto a maggioranza su quasi tutte le materie di competenza dell’Unione Europea andando oltre il processo decisionale del Voto a Maggioranza Qualificata già promosso nel 1997 dal Trattato di Amsterdam , quello di affidare al Parlamento Europeo pieno potere di iniziativa legislativa, quello di liberare la Commissione Europea da un condizionamento troppo forte da parte dei Governi nazionali rappresentati dentro il Consiglio europeo. C’è di più: mentre Liberali e Democratici europei di orientamento federalista insistono giustamente sull’unione fiscale, posizione condivisa dai tecnocrati quali Draghi e Monti, mentre i Verdi e i Socialdemocratici propongono opportunamente di rafforzare le politiche ambientali ed energetiche comuni, la Sinistra è riuscita ad inserire nel Rapporto l’indicazione di assumere “il pilastro sociale” nel diritto primario europeo: se questa posizione verrà inserita nella formulazione dei nuovi Trattati, accanto al mercato interno, che già esiste, si svilupperà una legislazione europea comune sulle politiche sociali, sul lavoro e i suoi diritti, attualmente in mano ai singoli Stati membri con la possibilità quindi di ridurre e contrastare gli indirizzi neoliberisti e la loro presa sulle nostre società.   

Unione Europea senza autonomia in politica estera?

Quello che manca a questa proposta, che pare al momento la più avanzata possibile a livello europeo, è purtroppo la politica estera comune, una politica estera coraggiosa che faccia dell’Unione Europea un attore geopolitico internazionale attivo per la pace e il disarmo.

 Del resto la PESC, Politica Estera e di Sicurezza Comune, sin da quando è stata istituita nel 1993 dal Trattato dell’Unione Europea (TUE) è sempre stata costretta entro due vincoli stringenti: il potere reale di decisione rimasto saldamente in mano ai singoli Governi nazionali che non hanno mai ceduto alle Istituzioni europee alcuna sovranità in materia di politica estera e di difesa; il quadro del sistema di alleanze internazionali mai sviluppato in senso paritario all’interno dell’Alleanza Atlantica.

 Ci sono stati piccoli passi che hanno istituito novità come quello nel 1999 dell’Alto Rappresentante della PESC che è anche Vicepresidente della Commissione Europea o come quello della istituzione con il Trattato di Lisbona del 2009 della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) che in breve tempo da parte integrante della politica estera europea ne sta diventando la parte più dinamica e predominante. Ad esempio l’Alto Commissario Joseph Borrell presiede il Consiglio “Affari Esteri” ma sotto questa definizione la riunione più importante è quella dei Ministri della Difesa che rappresentano l’organo decisionale della PSDC e formulano proposte in materia agli Stati membri.

Di fatto la politica estera è posta al traino della politica di difesa e la politica di difesa attuale e futura della U.E. è posta al traino di una concezione improntata esclusivamente sulla militarizzazione della sicurezza, cioè sull’aumento delle spese militari e sull’industria bellica europea, sulla Deterrenza nucleare e convenzionale estesa fino agli attuali confini della Russia e, attraverso la Nato globale, fino al contenimento sul fronte del Pacifico della Cina.

Così l’importante prospettiva dell’autonomia strategica viene ridotta al rafforzamento delle politiche di sicurezza e di difesa, allo sviluppo di armamenti comuni e della cybersecurity, al potenziamento dell’industria legata agli apparati militari, alla creazione di un futuro vero esercito europeo di cui adesso esiste solo una piccola Forza di Intervento Rapido.

Insomma per dare una prospettiva unitaria al rilancio dell’integrazione europea l’unica strada da percorrere sembrerebbe quella di riprendere il cammino della CED, la Comunità Europea di Difesa, fallita negli anni ’50 con l’ipotesi delle sue sei divisioni poste sotto la direzione politica di un futuro Ministro della Difesa europeo e sempre in stretta collaborazione con la Nato.

Non ci siamo! Non ci siamo proprio! Possibile che i partiti politici che agiscono in Europa, che i Governi dei 27 Paesi che fanno parte dell’Unione Europea non si rendano conto della deriva pericolosa che sta prendendo la ripresa della corsa agli armamenti compresi quelli nucleari? Possibile che non si rendano conto che gli Accordi internazionali sui missili nucleari a corto e medio raggio, che riguardavano proprio la sicurezza dell’Europa, sono saltati per volontà sia degli Stati Uniti con Trump sia della Russia con Putin?

Certo, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è una gravissima ferita aperta e rischia di causare la morte di una reale autonomia strategica dell’Unione Europea schiacciata com’è sulle posizioni iperatlantiste della NATO. Se si vuole lavorare con il Parlamento Europeo si prendano contatti con i 5 co-relatori della proposta di riforma dei Trattati, tra i più sensibili sui temi dei principi costituzionali: Guy Verhofstadt (Renew), Sven Simon (PPE), Gabriele Bischoff (S&D), Daniel Freund ( Verdi), Helmut Scholtz (GUE/NGL).  Mentre tra loro prevale un sincero interesse a rafforzare l’integrazione europea e a contenere le spinte nazionalistiche, non c’è altrettanta sensibilità verso le posizioni pacifiste. Voce abbastanza isolata quella di Helmut Scholz, europarlamentare tedesco del gruppo La Sinistra e del Consiglio direttivo del Gruppo Spinelli, che afferma: “L’Europa è un progetto di Sinistra! L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin ci ha fatto arretrare di decenni. Più difficile di prima costruire un’alternativa di pace e per la pace”.

Finalizzare l’autonomia strategica a pace e disarmo

No! Non bisogna arretrare. Bisogna reagire, riprendere il filo di un’idea avanzata di Europa, non più prigioniera della logica di blocco politico-militare: altrimenti che autonomia strategica è?

Per questo sarebbe opportuno assumere le seguenti iniziative per tentare di cambiare il corso degli avvenimenti assegnando alla politica estera dell’Unione Europea uno respiro e uno spessore strategico autonomo e multilaterale, relativizzandone la dipendenza dalle logiche NATO:

  1. Aprire un confronto sia a livello di Parlamento europeo sia ai vari livelli nazionali perché la possibile riforma dei Trattati Istitutivi dell’Unione Europea ricomprenda un’idea e una prospettiva più ampia e nobile di autonomia strategica: per essere in grado di affrontare i profondi cambiamenti geopolitici in corso e preparare in modo adeguato i prossimi otto  allargamenti, tra cui quello dell’ingresso dell’Ucraina,  la pace e il disarmo devono essere adottati e inseriti nei Trattati come obiettivi strategici irrinunciabili secondo il principio “Se vuoi la pace, prepara la pace”.
  2. Sostenere lo strumento della Convenzione come metodo democratico per coinvolgere nella discussione e decisione sul futuro dell’Unione Europea il maggior numero di cittadini e di organizzazioni e associazioni come già proposto dalla CoFoE, Conferenza sul Futuro dell’Europa, compresa l’idea di istituire come strumento di partecipazione il Referendum europeo.
  3. Non delegare alla NATO il problema irrisolto della sicurezza nazionale ed europea. In particolare è indispensabile un’autonoma iniziativa della U.E. sul tema del riarmo nucleare e convenzionale in atto sul territorio europeo ormai privo da anni della garanzia degli Accordi sul reciproco controllo in materia di missili a corto e medio raggio stipulati da Stati Uniti e Russia e oggi cancellati. Questi negoziati, attivati anche su proposta europea, potrebbero aiutare nel portare ad una soluzione politica la guerra in Ucraina ed essere inseriti in un quadro più ampio come quello di una riedizione della Conferenza di Helsinki, dunque comprendendo la Russia, per definire le condizioni di un Patto condiviso di sicurezza e pace dall’Atlantico al Pacifico.
  4.  Esiste un mondo fuori dall’Europa con decine di Stati che hanno aderito e ratificato il TPNW, Trattato multilaterale per la proibizione delle armi nucleari promosso da una Conferenza internazionale dell’ONU nel 2017 ed entrato in vigore il 22 gennaio 2021 con la ratifica dei primi 50 Stati. Non è possibile che l’U.E. non guardi con favore a questa scelta che è dalla parte del disarmo e della pace e che preferisce destinare risorse alla lotta alla fame, alla povertà, ai cambiamenti climatici, alle disuguaglianze. Non è possibile che gli Stati Europei non partecipino tutti, almeno come osservatori, alle periodiche riunioni organizzate a livello mondiale per rafforzare il TPNW. Per questo sarebbe opportuno promuovere una Campagna “Europa ripensaci!” già nei mesi che ci porteranno alle elezioni europee.  Una Campagna sullo stile di “Italia Ripensaci” ma sviluppata in tutta Europa sia coinvolgendo città, associazioni e territori in tutti e 27 Stati dell’Unione che le Istituzioni rappresentative regionali, nazionali e sovranazionali. Sarebbe interessante a livello giuridico e politico transnazionale costituire un gruppo di lavoro che preveda per l’Unione Europea e persino per i singoli Stati europei più convolti nell’ospitare basi nucleari operative sul proprio territorio i passaggi intermedi di fuoriuscita dalla deterrenza nucleare collegati a forme di disarmo reciproco e bilanciato con l’ipotetico avversario. Ridurre e poi distruggere un numero concordato tra le parti di ordigni nucleari è possibile visto che di questo si sono occupati con qualche risultato i Trattati Salt, Start e INF.
  5. Tutto è possibile se c’è la volontà politica e la coerenza con i valori più autentici dell’Occidente: quelli del primato del Diritto internazionale, quelli della libertà e dell’autodeterminazione dei popoli, quelli della universalità e inalienabilità dei diritti umani. Per questo andrebbe promossa la cultura della pace, del disarmo e della nonviolenza in ogni ambito sociale, educativo, istituzionale. Per questo tutte le culture aperte e tutte le religioni dovrebbero lavorare insieme, anche in Europa, per elaborare una “Costituzione della Terra”, come propone Luigi Ferrajoli. Per questo dovremmo noi europei rilanciare il ruolo dell’ONU come mediatore di pace sottraendolo alla logica di potenza dei vari nazionalismi e degli Stati più arroganti: il rilancio della centralità dell’ONU e la compiuta realizzazione degli Articoli dello Statuto delle Nazioni Unite rimasti sulla carta dal 1945 ad oggi   come quello della creazione di un Corpo di Polizia internazionale per prevenire o sanare conflitti ed evitare repressioni e apartheid  sarebbero la risposta più efficace alla crescente disunità del Mondo.

Per cercare di raggiungere questi obiettivi, accogliendo l’appello di papa Francesco con l’Enciclica “Laudate Deum”, dovremmo mettere in campo con ogni energia quel “multilateralismo dal basso” unico forse in grado di aprire prospettive nuove.