Mail YouTube

« Guerra alla guerra »

Educare alla pace dopo Mazzolari

La Provincia, gennaio 2024

don Bruno Bignami

Il 1° ottobre 1950 don Primo Mazzolari pubblica sul quindicinale Adesso un articolo dal titolo provocatorio: «Guerra alla guerra». La guerra va eliminata dall’umanità, non ha alcun senso di esistere, è strumento di morte inutile, «è il fratricidio scientificamente organizzato, e quando un cristiano si accorge che chi gli è vicino non è contro alla guerra “con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze” ha il dovere di mettersi in allarme».

Tale convinzione era maturata dopo aver attraversato una purificazione del pensiero: da interventista convinto alla vigilia della Grande Guerra, don Primo si era convertito alla pace dopo avere verificato di persona le tragiche conseguenze della guerra sulle coscienze. Abituando a odiare e concentrando le energie sulla volontà di annientare il nemico, la guerra distrugge l’umano. È il contrario del progetto di fraternità di Cristo, che muore in croce in un abbraccio d’amore per tutti.

Negli anni della maturità, il parroco di Bozzolo giunge a promuovere l’obiezione di coscienza in contrasto al mito del dovere, all’obbedienza cieca all’autorità. La celebre Lettera a un aviatore (1941) tocca con puntualità e delicatezza questo nervo scoperto dell’etica del suo tempo. L’obbedienza si deve a Dio e all’ordine morale: se il comando militare contraddice tali riferimenti, la coscienza è tenuta a dire i suoi no. La fedeltà alla coscienza personale è il modo più alto per rispettare l’autorità. L’obbedienza al dovere fine a se stesso porta paradossalmente all’idolatria e al logoramento del principio d’autorità. Per questo, scrive Mazzolari, «come cristiano, quando disobbedisco per ordine morale, obbedisco; quando mi rivolto, ricostruisco».

L’opuscolo Tu non uccidere rappresenta il punto di approdo definitivo della riflessione di Mazzolari. Pubblicato anonimo nel 1955, il libro tratteggia una teologia della pace. La guerra sconfessa il Vangelo non solo perché tradisce il «non uccidere», ma soprattutto perché contesta l’immagine di Dio Padre che ha creato gli uomini fratelli e di Gesù Cristo che è «nostra pace» (Ef 2,14). La guerra riassume in sé l’omicidio, perché ammazza l’uomo; il suicidio, perché «svena quel corpo sociale» e talvolta perfino ecclesiale di cui l’uccisore è parte; il «deicidio» perché uccide nell’altro l’immagine e la somiglianza di Dio. Di fronte alla distruttività della guerra, il cristiano «agonizza» per la pace, è «uomo di pace», senza mai essere «uomo in pace». Ciò significa che la pace non è raggiunta una volta per tutte. E come nella storia ci si è dati da fare per organizzare la guerra (si vis pacem para bellum) con l’invenzione di armi sempre più distruttive, ora, dopo l’esperienza delle guerre mondiali del Novecento, è giunto il tempo di organizzare la pace.

La domanda è d’obbligo: cosa significa per noi che abitiamo la stagione di una «guerra mondiale a pezzi» rileggere la ricchezza delle pagine di Mazzolari? Cosa impariamo dalla sua lezione in un tempo di circa 60 guerre dislocate in diversi punti del pianeta ma aventi come comune denominatore il fatto che la produzione di armi è saldamente in mano ai Paesi più ricchi? Mazzolari ha aperto tre cantieri per un lavoro educativo.

La sua vicenda umana porta a essere concreti, a fare i conti non con la guerra astratta ma reale. Papa Francesco ricorda che «la realtà è più importante dell’idea». La guerra va pensata a partire dai drammi delle vittime, dai giovani militari morti, dalle sofferenze gratuite, dai massacri di popolazioni inermi, dalla strumentalizzazione dei poveri, dai genocidi reiterati, dai bambini uccisi, dalle donne violentate, dall’ambiente distrutto… Mazzolari ci insegna che la storia è maestra di vita se la sappiamo accostare con sapienza evangelica. Come ricorda Fratelli tutti: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni» (n.261).

L’espressione «Guerra alla guerra» va compresa come una «battaglia culturale». Non ci sono ragioni per giustificare la guerra. Il punto di arrivo di questa riflessione lo troviamo di nuovo in Fratelli tutti: «Non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce» (n.258). La cultura della pace si costruisce attraverso la formazione delle coscienze. Non esiste altra strada. La coscienza, infatti, è sentinella capace di dire no al ricorso alle armi e alla violenza. È il tempo di formare i giovani alla giustizia sociale e alla pace attraverso il discernimento e l’esercizio di una coscienza critica. Mazzolari ha avvertito tale urgenza. Un’architettura di pace (istituzioni, leggi, politica, economia…) e un artigianato di pace (relazioni) sono possibili solo se al centro si colloca la vita umana. Non si deve dimenticare che tra le più importanti cause della crisi del mondo moderno c’è «una coscienza umana anestetizzata», come ricorda il documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi (4 febbraio 2019). Risvegliamo le coscienze, soprattutto quelle dei più giovani all’incontro con l’altro e alla gestione dei conflitti. Non c’è altro sentiero verso la fraternità, se non passando dalla «guerra alla guerra». La rivoluzione del futuro. L’ultima guerra consentita.