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30 e 31 dicembre Gorizia, Convegno e marcia per la pace

Andrea Bellavite, Punto Pace di Gorizia

Nel pomeriggio di sabato 30 dicembre, la sede di Gorizia dell’Università di Trieste ha ospitato la prima parte del tradizionale Convegno che accompagna la Marcia della Pace dell’ultimo giorno dell’anno.

E’ stata scelta Gorizia, insieme alla vicina Nova Gorica, perché nel 2025 le due città saranno insieme Capitale europea della Cultura, ma anche per il trascorso di un territorio che nella prima metà del XX secolo ha visto tanto sangue e tante ingiustizie, a causa di due guerre mondiali e della dittatura fascista. Come indicato negli interventi filosofici di apertura, proprio la divisione e la sofferenza possono essere occasioni per avviare un percorso di pace non scontato, ma attraversato dalla divisione tra ciò che porta giustizia e valorizzazione della persona e ciò che invece demolisce il soggetto e la comunità. Il cammino dei Goriziani, dalle guerre alla nuova stagione di convivenza, può essere esempio e testimonianza di tutto ciò. Molto opportuna è stata la testimonianza del pastore metodista di Gorizia, che ha richiamato l’emozionante figura di Dietrich Bonhoeffer come modello di azione nonviolenta non scevra da spunti problematici, in un contesto terribile come quello della dittatura nazista in Germania. 

Come è stato ribadito durante alcuni interventi, l’università e altri Centri di ricerca sociologica hanno già avviato agli inizi degli anni 2000 una proficua collaborazione con diversi centri accademici europei, per avviare la formazione del Corpi Civili di Pace. Tale intuizione si è poi affievolita nell’ultimo decennio e il ritorno a Gorizia può essere interpretato come nuova possibilità. Non a caso, tra i relatori, si sono alternati alcuni tra i più competenti operatori che hanno riflettuto e hanno sperimentato l’esperienza dei Corpi Civili di Pace, da Gianmarco Pisa a Carla Biavati, senza dimenticare Alessandro Capuzzo e tutti gli altri.

Gli interventi non hanno ovviamente dimenticato al situazione contingente. In particolare Lisa Clark e altri hanno richiamato la presenza dell’opzione nonviolenta nelle drammatiche situazioni dell’Ucraina e di Gaza. Sull’invio delle armi da parte dei Paesi occidentali e sulla differenza di trattamento delle due crisi più note in atto, hanno parlato con vibrante ragionamento Aurelio Juri, già parlamentare in Slovenia e, al termine dei lavori, frére Jacques Frant, instancabile apostolo della nonviolenza, in permanente spola tra la Palestina e Udine.

Ci sono state tante testimonianze e tante importanti meditazioni. Dall’assai partecipato Convegno si è usciti arricchiti, ma anche con alcune domande ulteriori, riprese nei giorni immediatamente successivi. Il documento finale è molto impegnativo e richiede un sollecito richiamo, almeno un dialogo tra coloro che hanno portato la loro voce. Il rischio, come sempre, è quello di essere soddisfatti per la riuscita tecnica e organizzativa di un evento, ma anche per la qualità delle relazioni offerte all’assemblea, ma di lasciare poi scorrere il tempo senza operare nulla nel senso che si è individuato e portato avanti insieme. Il recente convegno presso il Parlamento Italiano a Roma, è stato senz’altro un passo ulteriore in questa direzione, ma è importante restare uniti, superando la tentazione dei personalismi, sempre annidata dietro all’enorme impegno che riguarda tutti coloro che agiscono e sperano in un futuro di pace.

Il Convegno è stato ampiamente e opportunamente approfondito nella sessione della mattina successiva, con un’importante e assai competente disanima dell’affascinante ma anche un po’ inquietante tema del rapporto tra intelligenza artificiale e pace.

La marcia della pace, partecipata da oltre 1500 persone, avviata dal triste sacrario di Oslavia, continuata attraverso i luoghi più significativi di Gorizia e conclusa nella concattedrale di Nova Gorica, ha suggellato in modo essenzialmente celebrativo i momenti incentrati sul pensiero. Essere in tanti ed essere insieme è un grande incoraggiamento ad andare avanti nell’impegno quotidiano per la giustizia e per la pace. La memoria di personaggi straordinari che ci hanno lasciato, come mons, Luigi Bettazzi e don Pierluigi Di Piazza, ha confortato e fortificato i marciatori, così come i racconti di accoglienza e di fraternità che si sono svolti durante il cammino.

Bello tutto, forse fin troppo. L’entusiasmo dell’”essere andato tutto benissimo” a volte rischia di far dimenticare il motivo del percorrere le strade dei paesi e delle città, cioè il dare voce al grido di aiuto, all’urlo disperato dei popoli costretti da scelte sciagurate alla guerra. Ciò è stato molto ben richiamato, prima della Messa conclusiva, da don Renato Sacco e don Nandino Capovilla, come pure dalle forti testimonianze provenienti dalle zone in cui infuria il conflitto. Non si può andarsene felici da una marcia della pace, il suo scopo è di renderci inquieti e coraggiosi costruttori di pace, farci “saltare sulla sedia” perché resi consapevoli della tremenda ingiustizia che divide il mondo tra pochissimi straricchi e una moltitudine immensa di persone che rischiano la morte per fame, tra chi gode senza spesso rendersene conto di una pace duratura e coloro che sono loro malgrado minacciati da una pioggia di bombe.

Il fatto che chi marcia porti diversi valori può essere indubbiamente un bel segno di unità nella diversità. Tuttavia, nel momento in cui tale diversità giunge fino all’accordo di una parte sull’invio delle armi in Ucraina o alla negazione del genocidio di Gaza ritenuto legittima ritorsione di Israele dopo i devastanti attentati del 7 ottobre, resta qualche dubbio su un’unità che non possa trasformarsi immediatamente in suggerimento chiaro di scelta politica, strategica ed economica.

Anche la parte strettamente liturgica, forse, dovrebbe suscitare qualche riflessione. Dopo aver attraversato i momenti salienti della situazione dell’umanità contemporanea, forse avrebbe dovuto essere maggiormente “celebrata” questa stessa vita, attraverso segni, gesti, musiche meno formali, in grado di dare ulteriore spessore alle opportune parole, ricche di umanità, pronunciate nell’omelia dell’Arcivescovo di Gorizia Carlo Maria Redaelli. Inoltre, la bellezza del trovarsi in un altro Stato e di essere insieme ai compagni di strada di Nova Gorica, avrebbe potuto essere meglio valorizzata, anche attraverso un rito totalmente bilingue, in grado di aiutare i partecipanti a cogliere le caratteristiche sociali, linguistiche e culturali del luogo in cui ci si è trovati.

Ma sono solo dei particolari, volutamente la ricerca del “pelo nell’uovo”, non per sminuire la bellezza degli straordinari giorni del fine anno Goriziano, ma per rimanere con gli zaini in spalla, mobilitati e invitati a non fermarsi sugli allori, ma a camminare avanti, ben consapevoli delle difficoltà e dell’urgenza del tempo in cui si vive. 

Infine un grazie speciale, ai responsabili di Pax Christi che hanno accettato Nova Gorica e Gorizia come sede della Marcia della Pace, all’Arcivescovo e all’Arcidiocesi di Gorizia per averlo proposto con tenacia e convinzione, alla forza del piccolo ma fortissimo Punto Pace di Pax Christi di Gorizia, all’instancabile Elisabetta Tofful, ai collaboratori che hanno reso possibile il tutto, Stefanie Leon, Paolo Zuliani, Sergio Pratali e don Nicola Ban.