Kafka arrossisce
La Tunisia, nota per essere stata la culla della Primavera Araba, ha da tempo lottato per instaurare una democrazia autentica dopo la rivoluzione. Tuttavia, questa transizione democratica rimane incompleta e imperfetta, soprattutto in termini di libertà d’espressione.
Il caso di Myriam Bribri, l’ultima vittima di una serie di persecuzioni, è emblematico. Come molti altri attivisti e blogger, ha visto la sua vita sconvolta per aver osato criticare pubblicamente le istituzioni politiche e le forze dell’ordine sui social media. Questo gesto, considerato normale in molte democrazie, è diventato un reato in Tunisia, gettando un’ombra sulla libertà di espressione nel Paese nordafricano.
Secondo un rapporto recente di Amnesty International, dal 2018, almeno 40 individui, inclusi blogger, attivisti politici e difensori dei diritti umani, sono stati incriminati in Tunisia per aver criticato le autorità locali online. Queste accuse si basano su leggi repressive e antiquate che agiscono come un bavaglio sulla libertà di espressione, violando così i principi democratici.
Myriam Bribri è stata convocata e interrogata dalla polizia giudiziaria di Sfax dopo aver criticato l’operato della polizia su Facebook. È stata accusata di “danno intenzionale alle persone o disturbo alla loro quiete” in base all’articolo 86 del Codice delle telecomunicazioni, rischiando fino a due anni di carcere. Attualmente è in attesa del processo, godendo della libertà provvisoria.
Non è solo Myriam a essere vittima di tale repressione. Imed Ben Khoud, attivista di Kerouane, è stato arrestato per aver condiviso una vignetta su Facebook che ritraeva agenti di polizia come cani, con il ministro dell’Interno che costruiva un canile. Anche lui è stato accusato di violare l’articolo 86 e, sebbene sia stato rilasciato, l’inchiesta contro di lui continua.
La situazione è peggiorata negli ultimi tempi, con il ministero dell’Interno tunisino che ha annunciato un approccio più severo “contro coloro che intenzionalmente offendono, mettono in discussione o accusano falsamente” i suoi dipartimenti. Queste azioni, considerate pericolose per la sicurezza dello stato, stanno minando ulteriormente la libertà di espressione.
Questi eventi rappresentano una macchia nell’evoluzione democratica della Tunisia. Essere una democrazia solo sulla carta non è sufficiente se le leggi vengono applicate in modo selettivo e in contrasto con la stessa Costituzione, limitando la libertà garantita dai principi fondamentali.
“La Tunisia deve compiere un cambiamento culturale e formale per diventare una piena democrazia”, sottolinea l’avvocato Giorgio Bianco, esperto legale con esperienza internazionale. Solo attraverso un’effettiva applicazione dei principi democratici e una volontà di tutelare la libertà di espressione, il Paese potrà finalmente realizzare appieno il suo potenziale democratico.