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Nel Sudan dilaniato dalla guerra, la solidarietà non fugge

Carla Bellani

Dal 15 aprile 2023 in Sudan è in atto un conflitto tra l’esercito nazionale (SAF) e le Forze di intervento rapido (RSF), una formazione paramilitare associata al potere dalla caduta del regime guidato dal deposto presidente Omar al Bashir, nell’aprile del 2019.

I due comandanti, generale al Burhan capo delle SAF, e Mohamed Dagalo conosciuto come Hemetti, per le RSF, rispettivamente presidente e vicepresidente del Consiglio sovrano (la presidenza collettiva del paese) fino allo scoppio del conflitto, sono entrati in rotta di collisione  per contrapposti interessi economici, politici e militari. Gli scontri hanno interrotto il processo di transizione che avrebbe dovuto portare all’insediamento di istituzioni civili. I due eserciti stanno mettendo a ferro e fuoco il paese. Sono responsabili di massacri, stragi indiscriminate e violazioni gravissime dei diritti umani.

Oltre la metà della popolazione necessita di assistenza; manca l’accesso all’acqua potabile, si diffondono la malaria e malattie infettive come il colera e il morbillo. Il 70% delle strutture sanitarie sono inagibili e, secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, oltre 7 milioni di persone sono in fuga. I tentativi di negoziare un cessate il fuoco, o almeno una tregua per permettere il soccorso dei civili sono falliti.

Tuttavia una rete di organizzazioni locali è attiva nel soccorrere la popolazione, nel gestire presidi sanitari e nel curare malati e feriti. Uno sforzo notevole limitato però dalla mancanza di mezzi e di aiuti. Oltre ad una resistenza solidale, la società civile sudanese, insieme alle forze politiche, lavora per formare un ampio fronte contro la guerra e per ripristinare il processo democratico, fermato dallo scoppio del conflitto, in modo che il paese possa uscire dall’attuale gravissima crisi.

Ma finora la comunitá internazionale non è stata in grado di trovare il modo per aprire un tavolo negoziale sufficientemente ampio, coeso e autorevole attorno a cui discutere di come mettere fine al conflitto e di come dar voce alle proposte per il futuro del paese.

E’ peró concreta la speranza che i crimini contro la popolazione civile non rimangano impuniti. In ottobre il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha dato il via libera ad una missione incaricata di indagare sulla situazione umanitaria  e sugli abusi commessi dalle due parti in conflitto.