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15 OTTOBRE: nel sistema violento la nonviolenza deve mettere radici

“La violenza di alcuni ha la stessa tristezza e la stessa impotenza dolorosa dei lutti. E’ infatti un lutto sociale! Fuggire
per non essere coinvolti è stato davvero umiliante in quel 15 ottobre a Roma! Lo spazio costruito per sfogare democraticamente il proprio dissenso e la propria indignazione è stato frainteso da gruppi violenti organizzati, facile preda di chi vuole distruggere, manipolare e strumentalizzare il dissenso di sistema”. Un giudizio chiarissimo e di grande prospettiva IL PUNTO PACE DEL MOLISE ha espresso in un documento sulla manifestazione di Roma.

 

15 Ottobre: in questo sistema violento la nonviolenza deve ancora mettere radici

Siamo per un’economia disarmata, per una giustizia sociale, per una pace giusta sognata da Dio come Regno
non di questo mondo e nonostante tutto costruita già qui ed ora con il dialogo, la denunzia, la profezia, il coraggio, la preghiera, l’impegno, nuovi stili di vita, il lavoro, la non violenza. Vogliamo però indignarci e sortirne insieme per costruire quelle relazioni umane calde e sincere che come ponti uniscono le nostre isole. In questa Italia incendiata da profonde ingiustizie sociali, svilita da governi e opposizioni ottuse nei loro privilegi, in cui tutto è possibile tanto a pagarne è il popolo, per fortuna, non più silente, si leva un’aspirazione antica e dimenticata da un avido benessere economico: la pace e la giustizia sociale. Essa è quello spazio collettivo in cui c’è vita per tutti e si alimenta nell’accoglienza come “bene comune” fondamentale per costruire una possibile convivenza. In fondo vogliamo solo essere riconosciuti
per la nostra dignità, vivere del sudore del nostro lavoro e, a volte, fermarci per godere dell’acqua ancora di tutti, del sole come fonte di vita e di energia pulita, dell’aria non più inquinata, della natura che cerca anch’essa di vivere nonostante noi.

Mai come in questo momento c’è bisogno di educare alla pace ed alla nonviolenza! La peggiore delle violenze è però la povertà e la  miseria in cui prosperano disperazione e fantasmi del passato come  antisemitismo, negazionismo e razzismo. La violenza di piazza, che  proprio in questi giorni si riaffaccia come un incubo del passato, è  il risultato dello sradicamento culturale profondo che hanno subito le ultime generazioni, ma anche risultato di un vuoto di azione e di  prospettiva che non abbiamo saputo superare come generazione di  educatori.

La violenza di alcuni ha la stessa tristezza e la stessa  impotenza dolorosa dei lutti. E’ infatti un lutto sociale! Fuggire
per non essere coinvolti è stato davvero umiliante in quel 15  ottobre a Roma! Lo spazio costruito per sfogare democraticamente il  proprio dissenso e la propria indignazione è stato frainteso da gruppi violenti organizzati, facile preda di chi vuole distruggere, manipolare e strumentalizzare il dissenso di sistema. Meno sociale, meno diritti, più violenza e più penale.

Costruire la pace  significa allora mettere le radici del dialogo, dell’accoglienza, della formazione, del confronto, del dialogo, dell’ascolto e del dissenso intelligente. Come dimostrato dall’ultima esperienza pluriennale dei comitati referendari per l’acqua, nucleare e giustizia uguale per tutti, occorre molta formazione, tempo, radicamento territoriale ed intelligenza ecologica, politica e  relazionale. Voler per forza costruire una manifestazione in poco tempo senza prima aver costruito relazioni orizzontali e coordinate,  è stato un errore strategico. La rabbia sociale, causata da logiche di potere e di dominio, va incanalata nell’impegno costante rifuggendo scorciatoie ed egoismi. Nel buio del postmodernismo, come
dice Baumam, non c’è posto per facili entusiasmi perché il sistema ormai consolidato per pochi va convertito. Occorre scendere dal treno, girarlo, e risalire per una direzione diversa. Avremmo potuto avere solo un cambio di binario senza scendere dal treno, ma occorrevano casellanti (governanti) in grado di scambiare i binari per una nuova direzione condivisa. Abbiamo pensato a costruire “beni economici” senza pensare a costruire “beni comuni” e giustizia
sociale. Chi ancora oggi attende umanità, cibo, acqua ed altri diritti fondamentali non può accedere al mercato né dare alcun contributo al ben-essere economico mondiale. Nel nostro egoismo abbiamo anche ridotto gli investimenti alla cooperazione internazionale e dirottato fiumi di denaro nelle spese militari che sono quelle più improduttive e violente. Abbiamo dimenticato che il risparmio di denaro è la prima leva dell’economia perché è fonte di investimenti. Ci hanno detto che apparire è più importante dell’essere ed allora abbiamo ostentato ricchezza indebitandoci con
le finanziarie e le banche. Proprio ora che nessuno è disposto a pagare la crisi economica sistemica è importante trovare una soluzione pacifica del conflitto sociale regolamentando ciò che era stato deregolamentato, accogliere personalmente e collettivamente nuovi stili di vita ed introdurre nuovi diritti ai beni comuni perché la pace è un cammino che non termina mai ed ogni generazione è chiamata a percorrerne un po’.

Punto Pace Molise

17 ottobre 2011, Antonio De Lellis