Mail YouTube

Tunisia: la voce ai migranti

Di Kafka arrossisce

Sfax, Tunisia, M.K. aspetta che i volontari della Mezzaluna rossa arrivino a distribuire i pasti. Una volta al giorno portano da mangiare alle decine di migranti subsahariani che da settimane sono accampati nel giardino della piazza, tra la polvere e i cespugli. Dal 2 luglio, infatti, ci sono state proteste e attacchi della popolazione locale contro gli stranieri, accusati di aver ucciso un tunisino in una rissa, e da quel momento nessuno ha più voluto affittargli le case.

Molti migranti sono stati vittime di maltrattamenti da parte della polizia, alcune decine infine sono stati trasferiti con la forza in una zona desertica al confine con la Libia, a centinaia di chilometri da Sfax, dove sono stati abbandonati senza acqua, né cibo.

K., originario della Guinea, è stanco, affamato, ma soprattutto stremato dalla preoccupazione, perché per giorni non ha saputo che fine avesse fatto il figlio di nove anni. Lo aveva perso durante la traversata del Mediterraneo: “nella confusione, sulla spiaggia, la notte che ci siamo imbarcati. Ci hanno messo su due piroghe diverse”, racconta. “La mia barca subito dopo la partenza è stata intercettata dalla guardia costiera tunisina e riportata indietro, mentre la sua ha continuato a navigare”. Da quel momento non ha saputo più niente del bambino per giorni: ha sperato che fosse arrivato a Lampedusa perché in quelle ore non c’era stata nessuna notizia di naufragi, ma non ne aveva la certezza, fino a qualche giorno fa, quando finalmente, è arrivata la buona notizia: il figlio è sbarcato sano e salvo a Lampedusa, è nell’hotspot e se ne sta prendendo cura un amico del padre, un compaesano. “È vivo”, sospira K., che sta cercando di mettersi in contatto con il ragazzo e spera che la sorella possa andare a prenderlo dalla Francia. “Ora non vedo l’ora di riabbracciarlo”.

K. ora pensa solo a riprovare la traversata. “Ma non ho i soldi da dare ai trafficanti, li ho finiti”. È arrivato in Tunisia dalla Guinea ad aprile, ha trascorso quattro mesi a Tunisi, lavorando in un albergo per guadagnare il denaro necessario a partire. Ha dovuto aspettare agosto.

Conosce già l’Europa: “C’ero arrivato nel 2007, sempre attraverso il mare. Ho lavorato e mi sono dato da fare, però non avevo i documenti in regola e ho deciso di tornare a casa. Ma la situazione economica nel paese è terribile, non c’è lavoro. Così quest’anno ho deciso di nuovo di riprovare, portando con me mio figlio”. Ha una sorella che vive in Francia, e vorrebbe raggiungerla.

È partito a gennaio da casa, ha attraversato il Burkina Faso, il Niger e l’Algeria per arrivare in Tunisia. “Per quelli come me le cose in Tunisia sono molto peggiorate dopo che il presidente Kais Saied ha fatto certe dichiarazioni controverse”, osserva. “Da quel momento i tunisini hanno smesso di affittarci le case, si fa fatica a trovare lavoro. Ci sono gruppi di tunisini che ci molestano, vengono a provocarci per picchiarci. La maggior parte delle persone dorme per strada, abbiamo grossi problemi”, denuncia, riferendosi al discorso in cui a febbraio Saied accusava i migranti subsahariani di volere eliminare i tunisini in un piano di “sostituzione etnica”, usando una delle principali teorie del complotto di stampo suprematista, diffusa di solito da gruppi politici dichiaratamente xenofobi e razzisti in tutto il mondo.

K. ha speso duemila dinari per provare ad attraversare le 99 miglia marittime che separano le coste di Sfax da Lampedusa, la piccola isola del Mediterraneo che è il primo punto di approdo per i migranti sulla rotta tunisina. Ma già due tentativi sono andati a vuoto. La prima volta sono stati intercettati e la seconda è stata fermata solo la sua barca e riportata a Djerba, nel sud del paese. Ha dovuto camminare a piedi per chilometri per raggiungere di nuovo Sfax, il principale porto di partenza dei migranti. Ora vuole a tutti i costi provare di nuovo.

Forse, la vita lo attende al di là del mare, ma se anche fosse la morte, sarebbe sempre meglio di questa vita mancata.