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Fari di pace in Europa?

Norberto Julini

Una proposta a Pax Christi International

Pax Christi Italia sta da alcuni anni portando avanti una positiva esperienza di costruzione di reti nel difficile campo del controllo e della limitazione del commercio internazionale di armamenti. In questo percorso siamo accompagnati e supportati da the Weapon Watch (www.weaponwatch.net), un osservatorio sul trasporto delle armi nei porti europei con sede a Genova.

Il percorso si è proposto tre obiettivi:

  1. migliorare e diffondere la conoscenza dei dati e delle notizie circa il commercio internazionale di armi dell’Italia, sia nell’import/export, sia nel transito sul territorio italiano di armi provenienti da e destinate a paesi terzi;
  2. sostenere le proteste e l’obiezione di coscienza dei lavoratori dei trasporti, laddove si sono rifiutati di trasportare e manipolare armamenti destinati a teatri di guerra o a paesi in cui si violano i diritti umani delle popolazioni civili;
  3. coinvolgere la Chiesa ufficiale, le organizzazioni cattoliche, le associazioni di massa, i movimenti per la pace e contro la militarizzazione, i sindacati nella costruzione di “eventi” (convegni, marce, sit-in) in cui si chiedesse alle autorità dello stato di rispettare leggi nazionali e trattati internazionali che già impongono la limitazione dei trasferimenti di armi verso paesi a rischio.

Possiamo dire, senza eccessivo trionfalismo, che questo percorso si sta compiendo con buoni risultati. Tra l’altro ha dato vita a una iniziativa più volte replicata, chiamata Fari di pace, sostenuta dalle espressioni delle locali società civili, e che è stata portata sinora in quattro città portuali (Savona, Genova, La Spezia, Napoli). Se ne sta preparando la ripetizione, entro il 2023, anche a Bari, Ravenna e Trieste-Monfalcone. L’intento di base è appunto quello ri-costruire un “fronte unito” contro la guerra in Italia, superando divisioni ideologiche e affiliazioni di partito che si sono peraltro frantumate dopo l’invasione dell’Ucraina.

Ne è uscita rafforzata anche l’immagine del Collettivo autonomo dei lavoratori portuali genovesi (CALP), che più si è esporto nella protesta contro le navi della compagnia saudita Bahri, tanto da essere inquisito dall’autorità giudiziaria per associazione a delinquere e attentato alla sicurezza dei trasporti, accusa poi caduta ma rimasta sospesa per due anni. Com’è noto, una delegazione del CALP è stata ricevuta a Roma da papa Francesco.

Per iniziativa di Weapon Watch e di Left – il gruppo parlamentare di sinistra al Parlamento europeo – un progetto di rete tra i lavoratori in funzione anti-guerra è stato portato nel giugno 2022 anche a Bruxelles, a un convegno a cui hanno partecipato numerosi delegati provenienti da tutto il mondo insieme ad alcuni rappresentanti dei dei sindacati dei lavoratori dei trasporti.

In precedenza (ottobre 2021) la proposta di una rete di “osservatori” del trasporto di armi è stata anche presentata da WW a un convegno a Amburgo promosso dal sindacato Ver.di con la partecipazione dei proponenti del Ziviler Haven (Volksinitiative gegen Rüstungsexporte) per il porto di Amburgo.

Queste iniziative, proprio per i loro scarsi risultati pratici e la mancanza di risonanza, hanno dimostrato i forti limiti dell’azione civile e politica, quando non sia sostenuta da un forte movimento di massa, ovvero da un largo schieramento d’opinione.

Nell’attuale momento storico, ci sono due aspetti di cui tener conto:

– la grande debolezza delle istituzioni europee e in generale delle istituzioni sovranazionali (si pensi alla lunga delegittimazione dell’ONU);

– la deviazione verso le spese militari di gran parte dei fondi pubblici destinati alla ripresa post-Covid, e la spinta inflattiva verso l’aumento dei prezzi (in Italia particolarmente forte), il che avrà immancabilmente effetto su una ridistribuzione della ricchezza a favore di pochi e a danno di tanti. Considerando che questa “forbice” sta riducendo gli spazi della democrazia politica ed economica, sarebbe forse opportuno aprire un dibattito interno su quali siano le “leve” su cui agire sulla società civile e concentrare gli sforzi.

Proponiamo alla vostra riflessione la nostra peculiare esperienza, che è partita dal riconoscimento del fondamentale apporto che l’industria del trasporto, organizzata da una logistica globale, sta fornendo all’“industria della guerra”, contemporaneamente dimostrando di essere anche il segmento più fragile dell’economia mondializzata (scioperi dei trasporti in Francia, dei portuali di Brema e Amburgo in Germania, blocco dell’«Ever Given» nel Canale di Suez e crisi dei chip ecc.). Aver concentrato la ricerca sulla logistica della difesa e aver organizzato il sostegno più ampio possibile ai lavoratori dei trasporti che si rifiutano di caricare armi ci ha portato a compiere qualche passo avanti, a dimostrare l’esistenza di una resistenza non violenta all’ubriacatura di guerra che sta aprendo scenari terrificanti all’umanità, ancora una volta a partire dall’Europa.

È anche una proposta di discussione: può questa esperienza mettersi al servizio di una strategia almeno europea, necessaria di fronte al dominio delle cultura di guerra e soprattutto dell’economia di guerra?