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Giornata mondiale del rifugiato

I siriani e palestinesi hanno bisogno di comprensione non di stereotipi

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Articolo pubblicato originariamente su Arab News e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

Di Ramzy Baroud

Fadi, un adolescente siriano con i capelli ricci e il viso coperto di acne, è sopravvissuto miracolosamente a uno dei più grandi disastri di barche di migranti nella storia moderna del Mediterraneo.

Solo 104 persone sono state salvate da una barca che trasportava circa 750 rifugiati quando si è capovolta il 13 giugno in mare aperto vicino alla città costiera greca di Pylos.

Decine di corpi sono stati estratti dall’acqua e molti altri sono stati portati a riva. Centinaia sono ancora i dispersi, si teme morti, tra cui molte donne e bambini che erano ranicchiati insieme sul ponte inferiore del barcone di 30 metri.

Fadi è sopravvissuto. Una foto straziante mostra il giovane siriano in lacrime mentre incontra suo fratello maggiore, Mohammed, che si era precipitato al porto di Kalamata, in Grecia, per vederlo. I due fratelli non poterono abbracciarsi, poiché Fadi era ancora intrappolato dietro i cancelli di metallo in un’area di confinamento destinata ai sopravvissuti.

Quest’ultimo disastro racconta una storia molto più grande di quella che i titoli di notizie comprensivi hanno tentato di trasmettere. È una storia di guerra, povertà, disuguaglianza e disperazione.

Le identità di coloro che sono morti in mare ci danno indizi sulle origini della storia. Erano siriani, palestinesi, afghani e altro ancora. Questi rifugiati cercavano sicurezza, bramando la mera sopravvivenza.

La triste ironia è che l’ultimo episodio di questo orrore apparentemente senza fine ha avuto luogo esattamente una settimana prima che le Nazioni Unite “celebrassero” la Giornata Mondiale del Rifugiato, che si celebra il 20 giugno di ogni anno.

La maggior parte dei riferimenti a questa giornata da parte delle Nazioni Unite, delle organizzazioni legate alle Nazioni Unite e degli enti di beneficenza internazionali in tutto il mondo sembrano enfatizzarne l’importanza e la positività. Una dichiarazione dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha fatto riferimento a “onorare i rifugiati in tutto il mondo” e ha fatto riferimento alla Giornata Mondiale del Rifugiato come celebrazione “della forza e del coraggio” dei rifugiati.

Le contraddizioni dei discorsi relativi ai rifugiati dovrebbero essere troppo ovvie per non essere colte. Ma spesso lo facciamo. Troppe cene sontuose saranno organizzate in nome dei rifugiati nelle capitali occidentali e nelle ambasciate di tutto il mondo. I diplomatici chiederanno azione e gli intellettuali ben pagati enunceranno le responsabilità morali ed etiche dei governi e delle società civili. Molti applaudiranno e numerosi biglietti da visita verranno scambiati. Ma poco cambierà.

Più di 23.000 rifugiati sono annegati o sono scomparsi mentre cercavano di raggiungere le coste europee tra il 2014 e il 2022. Il numero reale dovrebbe essere molto più alto, poiché non ci sono registrazioni ufficiali di quante persone si siano imbarcate in questi viaggi mortali. “Abbiamo centinaia di registrazioni di corpi che sono stati trascinati sulle coste del Mediterraneo quando non siamo a conoscenza di alcun naufragio noto”, ha detto alla BBC Julia Black dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

L’identità delle vittime: siriane, palestinesi, afgane e sudanesi, avrebbe dovuto essere un indizio importante sul motivo per cui le persone corrono rischi così terribili per raggiungere i Paesi europei, dove spesso sopportano ancora grandi difficoltà, inclusa la discriminazione razziale.

Tuttavia, non ci confrontiamo quasi mai con i veri colpevoli di tutto ciò: i fabbricanti di armi e gli interventisti militari, insieme agli infiltrati politici che provocano e/o esacerbano i conflitti. Questi individui e governi vedono il Medio Oriente, l’Africa e il resto del Sud Globale come mero spazio per rivalità geopolitiche, materie prime a buon mercato e sfruttamento umano ed economico.

Ma quando gli esiti di politiche così terribili provocano la minima irritazione per i tessuti socioeconomici delle società occidentali, i rifugiati da disperati diventano i cattivi, da evitare, ignorare, imprigionare e deportare.

In realtà, i rifugiati del mondo, che si stima siano più di 100 milioni, non sono “celebrati”, ma per lo più denigrati. Sono visti come un peso, non un’opportunità per affrontare e risolvere i problemi di fondo, vecchi e nuovi, che hanno portato al loro spostamento originario.

Durante un recente viaggio in Turchia, ho incontrato molti rifugiati palestinesi, per lo più provenienti da Gaza, le cui famiglie sono state rese profughe da Israele nel 1948 e di nuovo nel 1967. Questi per lo più giovani attendono con ansia l’opportunità di attraversare il mare verso la Grecia, quindi per altri Paesi europei in cerca di lavoro.

Mohammed B. mi ha raccontato di aver tentato nove volte di raggiungere la Grecia. “L’ultima volta sono stato catturato. Sono stato duramente picchiato e lasciato a morire in una foresta oscura”, ha detto. “Ma ci riproverò”.

Lo zio di Mohammed è stato ucciso da Israele durante la Prima Intifada. Diversi membri della sua famiglia sono morti a causa della mancanza di medicine nella Striscia assediata. Ora, più di 30 membri della famiglia, per lo più bambini, vivono in una casa con tre camere da letto che è stata bombardata da Israele in due diverse occasioni.

Mohammed e I milioni come lui non sono i cattivi. Sono le vittime.

Affinché la Giornata Mondiale del Rifugiato abbia importanza, deve affrontare le cause alla radice di problemi così complessi e in corso. Solo una comprensione onesta e profonda può servire come punto di partenza per una discussione significativa e, si spera, un’azione significativa.

  • Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).