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Guerre nel Mondo

Riceviamo e pubblichiamo con apprezzamento e soddisfazione l’articolo che è giunto in redazione da parte di Savino Pezzotta, già segretario generale della CISL ed ora aderente a Pax Christi nel Punto Pace di Bergamo .

Ci auguriamo che la sua collaborazione prosegua accompagnandoci con la sua esperienza politica e sindacale nel nostro lavoro di artigiani di pace.

Savino Pezzotta

La guerra russo-ucraina ha attirato e molto colpito noi europei, visto che si combatteva per così dire in casa nostra. Questa situazione, che presenta preoccupanti aspetti trasformativi degli equilibri globali, ha distolto la nostra attenzione  dal fatto che questo non è l’unico  conflitto armato che si svolge nel corrente 2023.

Diventa sempre più urgente che il pacifismo,  per  evitare di  essere cacciato nell’anonimia e nella passività, debba avere una grande attenzione alla geopolitica e sempre più una visione e una cultura ispirate all’universalismo. Porsi questo orizzonte significa precisare sempre meglio il suo ruolo nel mondo e dimostrare che oltre ai valori etici esiste la necessità concreta, oserei dire “carnale”, di opporsi a chi ha la pretesa di spiegare il mondo agli altri. E’ necessario immergersi nella concretezza della geopolitica non arrendendosi a una unica idea del mondo, non esprimere verità definitive e lineari e non mettere gli occhiali colorati, ma avere lo sguardo sulla molteplicità dei colori che illuminano il presente, anche per cogliere e combattere le visioni distoniche che ammorbano la realtà.

Il pacifismo, generando uomini di pace, può contribuire alla creazione e al rafforzamento del posto dell’umano nel mondo che contrasta con  nazionalismo e  razzismo, che continuano ad essere alimentati da una visione colonialista e patriarcale.

Gli amanti della pace mentre rifiutano il ricorso a schemi ideologici debbono contribuire a disegnare il canone geopolitico della futura umanità.

Per indirizzarci verso tale via è  necessario iniziare con brevi descrizioni su come la guerra non possa essere relegata solo alle vicende dell’Ucraina, ma vedere come questo virus mortale e distruttivo, seppur in forme diverse, sta ammorbando il mondo.

2023, Guerre attuali nel mondo

Attualmente  assistiamo a numerose guerre e conflitti armati in diverse regioni del pianeta. Questi conflitti, spesso causati da differenze politiche, etniche o religiose, stanno generando sofferenza e distruzione nelle comunità colpite. Nonostante gli “ sforzi” internazionali per risolvere questi conflitti, molti rimangono attivi e in molti casi sono diventati più complessi a causa dell’intervento di potenze straniere.

I Conflitti Armati che si Vivono oggi nel Mondo

1.Siria

La guerra civile siriana è iniziata nel 2011 dopo che il governo del presidente Bashar al-Assad ha represso violentemente una serie di manifestazioni nel paese e numerosi gruppi di opposizione hanno preso le armi. Il conflitto è tra quattro fazioni principali: il regime siriano, le forze curde, i gruppi di opposizione e il gruppo Stato islamico in Iraq e Siria (ISIS). Finora la guerra civile ha causato almeno 350.000 morti secondo le stime delle Nazioni Unite, oltre a 6,6 milioni di sfollati, di cui 5,6 milioni sono rifugiati nei paesi vicini;

2.Yemen.

Lo Yemen è in guerra da sette anni e la situazione peggiora ogni giorno: l’insicurezza si sta diffondendo in quella che è stata classificata come una catastrofe umanitaria. La guerra è iniziata nel 2015 quando i ribelli Houthi sostenuti dall’Iran hanno rovesciato il governo legittimo del paese. Da allora una coalizione guidata dai sauditi è intervenuta nel conflitto a sostegno del governo deposto, mentre gli Stati Uniti e altri (tra i quali l’Italia) hanno fornito supporto tattico e logistico alla coalizione.

Per il momento le fazioni anti-Houthi continuano la loro lotta nelle piccole roccaforti che sono ancora sparse per il paese, come i separatisti nel sud dello Yemen, che sono sostenuti dagli Emirati Arabi Uniti.

3.Haiti.

La regione caraibica è stata storicamente punita da crisi economiche e politiche, nonché da faide tra bande e disastri naturali. Dall’assassinio del presidente Jovenel Möise nel luglio 2021, le violenze non si sono fermate e la capitale haitiana è divisa tra bande che rapiscono, stuprano e uccidono.

4. Etiopia

La guerra in Etiopia è dovuta a un conflitto tra il governo federale e il governo regionale del Tigrai. Il conflitto si è intensificato negli ultimi mesi, con entrambe le parti che si accusano a vicenda di violazioni dei diritti umani e aggressioni militari. Si pensava che con l’arrivo dell’attuale primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed, il conflitto nel paese sarebbe giunto al termine. E così è stato fino a quando nel 2020 Ahmed ha ordinato un’offensiva militare nella regione del Tigrai che ha riportato lo stato etiope nel contesto di violenza e instabilità di un tempo.

5. Birmania.

La guerra in Myanmar nasce da un conflitto tra il governo del Myanmar e vari gruppi etnici minoritari che lottano per l’autonomia e i diritti. Questi gruppi etnici, che includono i Rohingya, Karen e Shan, hanno combattuto il governo per decenni e sono stati accusati di violazioni dei diritti umani da parte del governo e dell’esercito. Nel caso dei Rohingya, sono stati perseguitati e discriminati per decenni e sono stati sottoposti a pulizia etnica dal 2017, costringendo migliaia di persone a fuggire dalle loro case e cercare rifugio in Bangladesh e in altri paesi vicini.

6. Israele e Palestina.

Il conflitto armato tra Israele e Palestina sembra non avere fine. E si è intensificato negli ultimi decenni, con attacchi contro civili, omicidi mirati e la costruzione di insediamenti israeliani in terra palestinese. La guerra israelo-palestinese si basa su un disaccordo sui diritti alla terra e sul controllo politico ed è stata esacerbata da anni di violenza e sfiducia reciproca.

7. Afghanistan.

Nell’agosto 2021, questo conflitto è stato portato a termine, quando i talebani hanno vinto la guerra civile in questo paese. La violenza è diminuita considerevolmente, ma permangono forti tensioni e molti altri mali minacciano la vita delle persone e in particolare delle donne.

8. Ancora Africa

Oltre alla citata Etiopia, in molte altre realtà permangono situazioni di conflitto abbastanza pesanti e con forti ripercussioni sulla vite delle persone civili. Va messo in particolare evidenza i conflitti che si svolgono in Africa e in particolare nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan, due paesi fragilidove il protrarsi di conflitti ha provocato lo sfollamento di milioni di civili. Il Sud Sudan è il più giovane paese africano (nonché del mondo), ma tuttora impantanato nella violenza, dopo che l’euforia per l’indipendenza ottenuta da Khartoum nel 2011 ha lasciato il posto a una sanguinosa guerra civile. Si citano questi due paesi perchè sono emblematici di come la guerra e il conflitto civile violento si impongano anche a paesi ricchi di risorse naturali ma afflitti da povertà, contrasti, corruzione e forme di ‘colonialismo economico’, dove una percepita mancanza di interesse da parte della comunità internazionale sta alimentando il senso di rabbia e risentimento. 

In particolare, nell’est della RDC è in corso da oltre trent’anni una guerra di cui si parla poco, una di quelle dimenticate per interesse e di cui sembra che la comunità internazionale si occupi poco o nulla salvo sporadiche eccezioni. Come nel caso della morte dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, ucciso due anni fa con il carabiniere della scorta Vincenzo Iacovacci e l’autista del convoglio a bordo del quale viaggiava in nord Kivu, una regione in cui conflitti e instabilità perdurano da oltre un quarto di secolo. L’ennesimo cessate il fuoco nella zona, tristemente famosa per i massacri e gli stupri di guerra, ha retto molto poco perché subito sono ricominciati i combattimenti tra l’esercito governativo (sostenuto da militari di Uganda, Kenya, Sud Sudan, Burundi) e decine di milizie e gruppi ribelli che – col sostegno più o meno tacito dei paesi confinanti, primo fra tutti il Ruanda– continuano ad operare indisturbati, nonostante sul terreno sia dispiegata la più grande e longeva missione di peacekeeping dell’Onu. Una guerra alimentata dalla smania di controllo delle enormi risorse minerarie del sottosuolo, ricco di oro, cobalto, nichel, diamanti e soprattutto di coltan (di cui il Kivu fornisce l’80% della produzione mondiale), essenziale per la produzione di tablet, smartphone e cellulari.

La Fame

Adottando all’unanimità la risoluzione 2417 (2018), il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite  ha richiamato l’attenzione sul legame tra il conflitto armato e l’insicurezza alimentare indotta da conflitti e la minaccia di carestia. Ha invitato tutte le parti coinvolte nei conflitti armati a rispettare i loro obblighi, ai sensi del diritto internazionale umanitario, per quanto riguarda la protezione dei civili e la cura di risparmiare beni pubblici, sottolineando che i conflitti armati, le violazioni del diritto internazionale e la relativa insicurezza alimentare potrebbero essere fattori di sfollamento forzato. Sottolineando l’importanza di un accesso sicuro e senza ostacoli del personale umanitario ai civili nei conflitti armati, ha anche condannato fermamente il rifiuto illegale di tale accesso e la privazione ai civili di oggetti indispensabili per la loro sopravvivenza, tra cui l’impedimento intenzionale della fornitura di aiuti e dell’accesso per le risposte all’insicurezza alimentare indotta dal conflitto. La risoluzione è molto chiara e rappresenta un passaggio storico in quanto riconosce lo stretto legame tra conflitti e fame, anche se dobbiamo rilevare che a essa non siano seguiti procedimenti giudiziari, rivelando in tal modo la necessità di un profondo rinnovamento dell’Onu per rendere più efficace le sue decisioni.

Sappiamo da sempre che le guerre oltre che causare morti e distruzioni incidono in profondità, come ci hanno ricordato le nostre madri che hanno vissuto in tempo di guerra, sulla sicurezza alimentare.

Secondo l’ultimo rapporto della FAO nel 2022, ben 828 milioni di persone hanno vissuto in una situazione di insicurezza alimentare e, nel 2023, sono 258 milioni le persone che si sono trovate nell’impossibilita di consumare personalmente il cibo necessario e  che pertanto sono a rischio della propria vita. E’ documentato che negli ultimi due anni si è registrato un aumento delle persone che soffrono carenze alimentari e la fame, soprattutto nei paesi  coinvolti in conflitti .

Il numero delle persone che soffre la fame a causa di situazioni economiche, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e le svalutazioni sono aumentati, ma il principale generatore della fame resta la presenza di conflitti. Inoltre occorre tenere presente che i conflitti aggravano le crisi economiche, che per incrementare gli armamenti si distolgono risorse dalle politiche di cura per i più deboli, che si indeboliscono i sistemi di Welfare, quindi in pratica si riducono le condizioni di vita di tutti e in quasi tutti i paesi del mondo. Certo la fame è l’elemento più drammatico (peraltro anche da noi sono molte le persone e le famiglie che non riescono a far quadrare il loro bilancio).

Una rapporto più completo su questa problematica lo si può trovare su: Conflict-and-Hunger-report.pdf (azionecontrolafame.it).

Con la fine dell’URSS e del bipolarismo mondiale si era auspicato si aprisse un’era multipolare in cui si sarebbe potuto ridefinire in termini pacifici, collaborativi e cooperativi un nuovo rapporto tra i paesi economicamente poveri e quelli economicamente ricchi, con l’obiettivo di superare le povertà e iniziare la costruzione di un nuovo ordine mondiale basato su relazioni pacifiche tra stati, culture e religioni. Così purtroppo non è stato.

Il permanere, anche in forme inconsce, di forti tracce di colonialismo, di patriarcato e di latente razzismo che circolano nei paesi forti ha impedito questa evoluzione e costituisce tuttora la base per lo sviluppo di forme di dominio imperialistico, di cui la guerra di aggressione della Russia di Putin è l’espressione più chiara. Con tutto il rispetto per la sua civiltà millenaria, anche la Cina sembra muoversi in questa direzione. Se l’occidente e gli Stati Uniti non usciranno dalla logica imperialista e dalla loro, latente ma presente, visione colonialista e paternalista la Pace si allontanerà.

Val la pena chiedersi se è questo che serve al mondo!

Dichiarare Guerra alla Guerra non è una semplice ispirazione per “ spiriti belli”, ma una profonda questione sociale che, a differenza di quelle che abbiamo vissuto nel passato, si estende a livello planetario. E’ questo il nuovo terreno di lotta alla fame, di impegno costante e permanente  per la pace, il disarmo, l’ambiente  e la sicurezza alimentare che va messo in azione uno sforzo di tutte le persone che amano e lottano per la pace e di tutti quelli che sperano in un mondo di giustizia e di uguaglianza. Ogni bimbo e bimba che muore per fame va considerato un crimine contro l’umanità di cui tutti siamo corresponsabili.