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Mai la guerra può risolvere i conflitti e guidare la storia

Pubblichiamo due interventi del papa: quello dell’11 maggio 2023, rivolto al Convegno “Pace tra le genti. A 60 anni dalla Pacem in terris” svoltosi, in collaborazione con il Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, presso la Pontificia Università Lateranense, e la Lettera, datata 19 maggio 2023, al vescovo di Hiroshima in occasione del G7 sul tema delle armi nucleari (s.p.).

Sessanta anni dopo la Pacem in terris

Mai la guerra ha dato sollievo alla vita degli esseri umani, mai ha saputo guidare il loro cammino nella storia, né è riuscita a risolvere conflitti e contrapposizioni emersi nel loro agire. Gli effetti della guerra sono le vittime, le distruzioni, la perdita di umanità, l’intolleranza, fino alla negazione della possibilità di guardare al domani con rinnovata fiducia.  La pace invece, quale concreto obiettivo, resta nell’animo e nelle aspirazioni dell’intera famiglia umana, di ogni popolo e di ogni persona. È questo l’insegnamento che ancora oggi possiamo trarre dal messaggio che San Giovanni XXIII ha voluto lanciare al mondo con l’enciclica Pacem in Terris. Un messaggio positivo e costruttivo che ricorda come edificare la pace significhi, anzitutto, l’impegno a strutturare una politica ispirata a valori autenticamente umani che l’Enciclica riassume nella verità, nella giustizia, nell’amore e nella libertà.

Eppure, trascorsi sessant’anni, l’umanità non sembra aver fatto tesoro di quanto la pace sia necessaria, di quanto bene essa è portatrice. Uno sguardo al nostro quotidiano, infatti, mostra come l’egoismo di pochi e gli interessi sempre più limitati di alcuni inducono a pensare di poter trovare nelle armi la soluzione a tanti problemi o a nuove esigenze, come pure a quei conflitti che emergono nella realtà della vita delle Nazioni.

La potenza armata genera paura e terrore

Se le regole dei rapporti internazionali hanno limitato l’uso della forza e il superamento del sottosviluppo che è uno degli obiettivi dell’azione internazionale, il desiderio di potenza è ancora, purtroppo, criterio di giudizio ed elemento di attività nei rapporti tra gli Stati. E questo si manifesta nelle diverse regioni con effetti devastanti sulle persone e sui loro affetti, senza risparmiare le infrastrutture e l’ambiente naturale.

In questo momento, l’aumento di risorse economiche per gli armamenti è ritornato ad essere strumento delle relazioni tra gli Stati, mostrando che la pace è possibile e realizzabile solo se fondata su un equilibrio del loro possesso. Tutto questo genera paura e terrore e rischia di travolgere la sicurezza poiché dimentica come “un fatto imprevedibile e incontrollabile possa far scoccare la scintilla che mette in moto l’apparato bellico” (Pacem in Terris, 60).

Una riforma delle strutture multilaterali

Si rende necessaria una profonda riforma delle strutture multilaterali che gli Stati hanno creato per gestire la sicurezza e garantire la pace, ma che sono ormai prive della libertà e della possibilità di azione. Non basta che esse proclamino la pace se non sono dotate della capacità autonoma di promuovere e attuare azioni concrete, poiché rischiano di non essere a servizio del bene comune, ma solo strumenti di parte.

Come ben spiega l’Enciclica, agli Stati, chiamati per loro natura al servizio delle rispettive comunità, spetta di operare seguendo il metodo della libertà e a rispondere alle esigenze della giustizia, sapendo però che “il problema dell’adeguazione della realtà sociale alle esigenze obiettive della giustizia è problema che non ammette mai una soluzione definitiva” (Pacem in Terris, 81).

Una formazione ininterrotta alla pace

Queste brevi annotazioni vogliono contribuire all’obiettivo di approfondimento dell’Enciclica che la Pontificia Università Lateranense e il Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale hanno promosso.  Affido all’Università il compito di approfondire il metodo di educazione alla pace, per una formazione non solo adeguata, ma ininterrotta. Una vera formazione scientifica, infatti, è frutto di studio e ricerca, di approfondimento, di aggiornamenti e di esercizi pratici: questa deve essere la strada da percorrere per aprire nuovi orizzonti e superare forme didattiche e organizzative ormai superate e non più adeguate alla nostra era.

Sono certo che il Ciclo di studi in Scienze delle Pace da me istituito alla Lateranense, contribuirà a formare le giovani generazioni a questi obiettivi, per favorire quella cultura dell’incontro che è la base di una comunità umana modellata secondo la fraternità, che è poi norma dell’agire per edificare la pace.

Al vertice del G7:  le armi nucleari sono un crimine contro il futuro

Mentre il vertice del G7 si riunisce a Hiroshima per discutere questioni urgenti dinanzi alle quali si trova attualmente la comunità mondiale, desidero assicurarLe la mia vicinanza spirituale e la mia preghiera affinché il summit sia fruttuoso. La scelta di Hiroshima come luogo dell’incontro è particolarmente significativa alla luce della continua minaccia del ricorso ad armi nucleari. Ricordo la profonda impressione che mi ha lasciato la commovente visita al Memoriale della Pace durante il mio viaggio in Giappone nel 2019. Stando lì in piedi in silenziosa preghiera e pensando alle vittime innocenti dell’attacco nucleare avvenuto decenni prima, ho voluto ribadire la ferma convinzione della Santa Sede che “l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune” (24 novembre 2019).

È a quel futuro che uomini e donne responsabili guardano ora con preoccupazione, specialmente sulla scia della esperienza di una pandemia globale e del persistere di conflitti armati in diverse regioni, tra cui la devastante guerra che si sta combattendo su suolo ucraino. Gli eventi degli ultimi anni hanno reso evidente che solo insieme, in fratellanza e solidarietà, la nostra famiglia umana può cercare di curare le ferite e costruire un mondo giusto e pacifico.

Una sicurezza integrale

Di fatto, è diventato sempre più evidente che nel mondo multipolare del ventunesimo secolo la ricerca della pace è strettamente collegata al bisogno di sicurezza e alla riflessione sui mezzi più efficaci per garantirla. Tale riflessione deve necessariamente tenere in considerazione il fatto che la sicurezza globale deve essere integrale, capace di abbracciare questioni come l’accesso a cibo e acqua, il rispetto dell’ambiente, l’assistenza sanitaria, le fonti energetiche e la equa distribuzione dei beni del mondo. Un concetto integrale di sicurezza può servire a rinsaldare il multilateralismo e la cooperazione internazionale tra attori governativi e non governativi, sulla base della profonda interconnessione tra tali questioni, la quale rende necessario adottare, insieme, un approccio di cooperazione multilaterale responsabile.

Hiroshima, come “simbolo della memoria”, proclama con forza l’inadeguatezza delle armi nucleari per rispondere in modo efficace alle grandi minacce odierne alla pace e per garantire la sicurezza nazionale e internazionale. Basta considerare l’impatto umanitario e ambientale catastrofico che risulterebbe dall’uso di armi nucleari, come anche lo spreco a la cattiva destinazione di risorse umane ed economiche che la loro produzione comporta. Né dobbiamo sottovalutare gli effetti del persistente clima di paura e sospetto generato dal mero possesso delle stesse, che compromette la crescita di un clima di fiducia reciproca e di dialogo. In tale contesto, le armi nucleari e le altre armi di distruzione di massa rappresentano un moltiplicatore di rischio che dà solo un’illusione di pace.

Assicurando la mia preghiera per Lei e per quanti sono affidati alla sua cura pastorale, mi unisco nella preghiera affinché il vertice del G7 a Hiroshima dia prova di una visione lungimirante nel gettare le fondamenta per una pace duratura e per una sicurezza stabile e sostenibile a lungo termine. Con gratitudine per il suo impegno al servizio della giustizia e della pace, invio di cuore la mia benedizione.