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Colonialismo: un richiamo ancora forte

(13 Ottobre 2011)

Il 5 Ottobre è caduto il centenario della invasione da parte dell’Italia Fascista della Libia. Non sono state molte le iniziative promosse in Italia per ricordarlo. Eppure sarebbe stato importante, tanto quanto il 150° della nascita dell’Italia.

A Pisa il Coordinamento contro l’Hub Militare ha organizzato una proiezione del film “Il Leone del deserto” e un seminario tenuto da Manlio Dinucci in cui fra l’altro sono stati proiettati due filmati dell’epoca.

Voglio fare un breve elenco di alcuni aspetti emersi dalla relazione che risuoneranno forse familiari ai vostri orecchi. Non tanto perché sapete già quella storia, che viene tenuta nascosta dalle autorità attuali, ma per le analogie con il presente (Libia, Palestina, ecc.).

Il 5 ottobre 1911 i primi soldati sbarcano a Tripoli allora blandamente controllata dall’Impero Ottomano oramai in via di sfacimento. La missione è benedetta, fra l’altro, da alcuni alti prelati che evocano il diritto di un popolo, di 45 milioni di persone e dotato di una civiltà avanzata, di impossessarsi di terreni ora in mano a non si sa chi, non si sa perché, ma soprattutto privi delle capacità necessarie per fare ‘fiorire il deserto’.

I cannoni libici sono vecchi e non hanno lunga gittata, nonostante illustrazioni sulle copertine del Corriere della Domenica ne facciano mostra. Gli italiani bombardano con i loro cannoni dalle navi al largo fuori portata dei libici. Nel successivo sbarco nessun soldato cade.  I giornali dell’epoca sono chiari al riguardo.

Dopo qualche tempo durante l’espansione italiana, il popolo libico si ribella e le autorità italiane rispondono con decisione. Campi di concentramento, deportazioni e molti morti di stento. La Croce Rossa denuncia alcuni di questi atti. Dopo il primato per il primo bombardamento aereo nel 1911, l’Italia fascista si fregia anche del primo bombardamento su di un campo della Croce Rossa stessa.

I terreni occupati vengono edificati con villette bianche, anche di pregio architettonico, che vengono date ai coloni italiani. Un filmato Luce riporta il trasferimento di 20,000 italiani nel 1938 in una sola volta via nave. Con Mussolini a salutarne la partenza e Balbo l’arrivo. “Accolti da una folla acclamante”, recita lo speaker. Questi e gli altri coloni con i nati in loco verranno poi rimpatriati quando Gheddafi andrà al potere alla fine degli anni ’70. Ancora oggi si possono sentire i racconti di smarrimento e tristezza da parte di coloro che furono costretti a lasciare la Libia dopo tanti anni. Lo stesso smarrimento che alcuni ricercatori israeliani riportano riguardo i coloni ebrei che furono evacuati a metà 2000 da Gaza.

Finita la guerra mondiale, l’Italia diventa Repubblica. Ci si aspetterebbe una presa di coscienza da parte di un popolo che ha subito l’occupazione tedesca. Invece, De Gasperi tiene un discorso a Trento nel 1948 nel quale dichiara che l’avventura coloniale non è finita e c’è speranza per il mantenimento del controllo delle colonie. Ricordiamo ancora i proclami del cardinale di Milano Schuster, noto per essere stato un punto di riferimento per il futuro Giovanni XXIII e per i modernisti cattolici.

Arriviamo ai giorni nostri e riportiamo infine uno stralcio di un articolo di Dinucci:
“Mons. Vincenzo Pelvi, arcivescovo ordinario militare e direttore della rivista dell’Ordinariato «Bonus Miles Christi» (il Buon Soldato di Cristo), prova «amarezza e disagio» di fronte a «chi invoca lo scioglimento degli eserciti, l’obiezione contro le spese militari». Questi miscredenti non capiscono che «il mondo militare contribuisce a edificare una cultura di responsabilità globale, che ha la radice nella legge naturale e trova il suo ultimo fondamento nell’unità del genere umano». Dall’Afghanistan alla Libia, «l’Italia, con i suoi soldati, con-tinua a fare la sua parte per promuovere stabilità, disarmo, sviluppo e sostenere ovunque la causa dei diritti umani». Il militare svolge così «un servizio a vantaggio di tutto l’uomo e di ogni uomo, diventando protagonista di un grande movi-mento di carità nel proprio paese come in altre nazioni» (Avvenire, 2 giugno 2011).”

Alessandro Dal Lago in suo libro ci ricorda come la Repubblica Ateniese non fosse affatto “non belligerante”. Difatti i suoi cittadini per essere tali dovevano avere il denaro per procurarsi l’armatura necessaria per le guerre che Atene sosteneva all’esterno. Fra questi pure Socrate.

Repubblica non è affatto sinomino di Pace, Antimilitarismo e Nonviolenza. E’ un dovere cristiano lottare affinché l’amore di Cristo per l’Uomo prevalga ovunque sulla Terra.

(fd)