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Fari di Pace a Pisa e Livorno

Norberto Julini

Prosegue il cammino di porto in porto per accendere Fari di Pace che facciano luce sul traffico di armi in arrivo e partenza dai porti italiani , proseguiamo in questo modo la Marcia per la Pace anche in nome dei coorganizzatori : Commissione Problemi sociali e del lavoro della CEI, Caritas, Azione Cattolica, Movimento Focolari. Ci accompagna l’amico Carlo Tombola , presidente di Weapon Watch, esperto in materia , buon tessitore di reti d’informazione anche a livello europeo . Si sono svolti due primi incontri online ed il prossimo sarà in presenza. Ci accorgiamo ogni volta di essere come agente “catalizzatore” che fa incontrare e reagire insieme tanti elementi della società civile che troviamo già presenti. A loro ci siamo presentati anche con questa scheda socio-politica e tecnica.

La scommessa dei “Fari di Pace” è quella di partire dai territori. Abbiamo imparato dagli amici e compagni spagnoli che «la guerra parte sempre da qui», da dove viviamo, da dove lavoriamo. Arriviamo dalle altre tappe, da Savona, da Genova (lo scorso aprile), dalla Spezia (lo scorso ottobre), siamo andati  a Napoli (il 19 novembre). In queste tappe abbiamo chiamato a un programma minimo comune le associazioni di massa, i lavoratori, le organizzazioni religiose e giovanili, le autorità – a Genova erano presenti e partecipi l’Arcivescovo fra Marco Pasta ed il Vescovo Calogero Marino di Savona, a Napoli l’Arcivescovo Mimmo Battaglia ci ha parlato in Cattedrale  – per riaffermare che operatori, porti e governo devono rispettare la legge, i trattati internazionali e la Costituzione; e che all’opinione pubblica non può essere nascosta l’implicazione del nostro paese nelle guerre in corso. Di qui la richiesta di trasparenza circa il materiale militare che parte, arriva e transita dalle nostre maggiori piattaforme logistiche. Il quadro generale è allarmante.

 Dopo avere per decenni esportato armi per tutti i conflitti mediorientali e africani, ora i governi europei vogliono gonfiare le spese militari per continuare indefinitamente la guerra ucraina. Dobbiamo trovare le alternative alle guerre che non finiscono, in un quadro che tenga insieme la visione globale e le urgenze locali, l’economia, l’ambiente, la salute, la società. Ripartiamo dunque da Pisa e da Livorno, territori in cui la invasiva presenza militare è visibile a occhio nudo per la presenza di diversi attori di rilievo nazionale e internazionale, con basi militari e di strutture militari di trasporto che ne fanno hubs per il rapido dislocamento delle truppe USA e NATO. Innanzi tutto Camp Darby (oltre 800 ettari di superficie, 125 bunker, il maggiore arsenale di armi USA al di fuori dei confini degli Stati Uniti), base terrestre-marittima complementare alla main operating base dell’aeroporto militare “Arturo Dell’Oro”, come conferma la collocazione a Coltano del progetto della “cittadella dei carabinieri” (cioè dei parà del reggimento Tuscania). Dall’aeroporto di Pisa e dal porto di Livorno passa quotidianamente un flusso incessante e ingente di armi. Il porto di Livorno è da decenni al centro di catene logistiche militari molto “forti” con gli Stati Uniti e con Israele. Per esempio,con le navi di LCL: la «Liberty Peace» passata da Livorno il 2 novembre lungo la rotta USA-Livorno-Mar Rosso-Golfo Persico, prima destinazione Beirut, poi Aqaba e la spola tra porti sauditi e Israele (ripasserà il 9 febbraio 2023, prima destinazione Alexandroupolis); e la «Liberty Pride» attesa per il 12 dicembre (poi toccherà Beirut-Aqaba-Eilat ecc.). L’episodio della nave «Asiatic Island» e della protesta contro i carichi di bombe destinati a Israele proprio durante la campagna di bombardamenti di Gaza, nel maggio 2021, ha rappresentato in quell’occasione una delle poche voci levatesi in Europa a sostegno del popolo palestinese. Livorno è terminale e punto di passaggio per i collegamenti con gli Stati Uniti – si pensi ad esempio alle navi della compagnia Hapag Lloyd, gli «Express city» che provengono dai porti più militarizzati della East Coast americana, dal Texas a Baltimora: esattamente come le navi della compagnia saudita Bahri. Ma le province di Pisa e Livorno sono poi anche produttrici ed esportatrici di armamenti. Vi hanno sede una ventina di aziende del settore aero-spazio e difesa, tutte di piccola dimensione, tranne DRASS Galeazzi di Livorno (minisommergibili, gruppo con stabilimenti anche in Romania), Kayser Italia (azienda di ricerca spaziale, fondata dal parroco-scienziato Valfredo Zolesi) e soprattutto IDS Ingegneria dei Sistemi (società che l’acquisto di Fincantieri ha salvato dal dissesto, l’anno scorso). In complesso, circa 600 posti di lavoro per un fatturato di circa 140 milioni di € (2021, +13% rispetto al 2020). Da segnalare i forti incrementi di fatturato delle società del gruppo francese Sofisport che esportano munizioni leggere (marchi Nobel Sport e Cheddite), tra l’altro inspiegabilmente utilizzate contro i manifestanti in Myanmar. Discorso a parte per i due stabilimenti Leonardo, altri 360 dipendenti tra l’ex WASS di Livorno (veicoli e sistemi subacquei) e il nuovo stabilimento di Ospedaletto di Pisa per mini elicotteri a pilotaggio remoto.