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Zarzis: morire senza più neanche il proprio nome

Continua il nostro racconto dalla Tunisia in cui continuano a partire e a morire nella traversata tanti migranti.

Viviana Longo

… Poi la folla si è radunata, in una rivolta pacifica, ma determinata e combattiva.
Tutto ciò che vogliono è la verità, come sono stati trattati i loro figli, durante la strana intercettazione in mare, della loro barca in navigazione.
Dove sono gli altri corpi, o quelli eventualmente dispersi, se anche loro sono morti, se così il destino ha voluto.
Tutti hanno giurato, dal loro antenato Sidi Essayah, per volontà di Allah, di lottare per raggiungere la verità.
Decine di migliaia di uomini e donne, portano insieme la fiamma di un risveglio collettivo determinato a superare la mediocrità per riportare giustizia nel mondo che sia giusto, dignitoso e onesto, dove il cittadino, vivo o morto, sia rispettato e abbia dignità.
Era necessario gridarlo, ripetutamente e ancora, che il nemico non è necessariamente altrove, ma è nel nostro misero sistema (..)

Mohsen Lihidheb 18.10.2022

(è un artista, ribattezzato Boughmiga, che significa “uomo semplice”, “uomo saggio”, ha sessantesei anni, ex impiegato delle poste tunisine e vive a Zarzis).

Ph: Anis Khouildi

Tra la fine di settembre d i primi di ottobre del 2022, la città di Zarzis, sponda tunisina al confine con la Libia, nel sud della Tunisia, vicino la più conosciuta isola di Djerba, un lembo di terra poco distante da Lampedusa è stata culla di proteste. Soprattutto madri e sorelle, ma anche padri e fratelli, famiglie intere ed associazioni del territorio, sono scesi in piazza per chiedere la verità sulla scomparsa in mare dei propri concittadini nell’ennesimo naufragio che li ha coinvolti.
Il 21 settembre, 18 persone di Zarzis, tra cui due donne e un bambino di 8 mesi, si sono imbarcate per l’Italia senza mai giungere a destinazione. Le famiglie preoccupate e senza alcuna notizia dei loro cari, dopo giorni di tragica e silente attesa, hanno cominciato a contattare le autorità tunisine, italiane e maltesi e ad allertare le ONG internazionali per avere notizie.
Nel frattempo, iniziava a diffondersi la notizia che l’imbarcazione si fosse capovolta al largo delle coste della Libia ed addirittura, che i migranti erano stati intercettati dalle forze libiche e arrestati. Le autorità locali, non riuscivano a dare alcun tipo di risposta e l’angoscia cresceva.
L’Associazione di pescatori di Zarzis, guidata dal pescatore Chamseddine Bourassin (che negli ultimi anni ha salvato decine di migranti in mare) ha iniziato autonomamente delle operazioni di ricerca in mare.
Il naufragio è stato confermato con il ritrovamento del corpo di Malek, sulle spiagge della vicinissima Djerba. I parenti degli scomparsi, hanno allora cominciato ad indagare, scoprendo che altri corpi erano stati recuperati dalle autorità locali nello stesso periodo ed erano stati sepolti senza alcun riconoscimento nel “Jardin d’Afrique“, un cimitero dove vengono tumulati i migranti senza nome, per lo più di origine subsahariana.
Questi fatti hanno scatenato l’indignazione della comunità di Zarzis che ha cominciato ad organizzare azioni dimostrative e bloccare le strade per costringere le autorità locali e regionali a rispondere e ad intervenire nell’identificazione immediata delle salme. La repressione delle proteste non è mancata e il padre di Ryan, uno dei 18 dispersi, è stato arrestato e malmenato dalle forze di polizia a Gabes.
Nella rabbia generale, alcuni familiari sono andati al “Jardin d’Afrique” per prendere i corpi per cui era stata data autorizzazione alla tumulazione ed è così, che è emersa la verità: si trattava dei loro cari, partiti il 21 settembre. Dopo questo episodio, su decisione del giudice, alcuni corpi sono stati dissotterrati ed è stato disposto l’esame del DNA per determinare l’identità delle salme.
La richiesta, legittima, delle famiglie e dei manifestanti è 18/18: verità e giustizia, ritrovamento e seppellimento di tutte e 18 le persone che hanno perso la vita.
Le accuse alle autorità non sono solo di negligenza nelle ricerche, ma anche di deliberato insabbiamento della realtà, attraverso il mancato adempimento alle procedure legali relative alle morti sospette. Il governatore della regione, avrebbe infatti, firmato i documenti che consentivano il seppellimento delle salme, senza disporre il prelievo del DNA, sulla base di un rapporto di un medico che avrebbe suggerito l’accelerazione della procedura di inumazione, in quanto i corpi si trovavano in avanzato stato di decomposizione.
Proprio per questo, durante la visita del 14 ottobre 2022, il governatore di Medenine, giunto per incontrare la delegazione della comunità di Zarzis a distanza di settimane dal naufragio, è stato cacciato dai manifestanti.
La situazione nei giorni passati si è scaldata molto: sono state innalzate barricate e sono stati incendiati cassonetti. I cittadini in stato di agitazione hanno chiesto spiegazioni e un maggiore coinvolgimento delle autorità locali e centrali, sottolineando la mancanza di interesse sul tema dell’harga (l’immigrazione clandestina) da parte del governo.
Una rabbia coraggiosa che, partita dal profondo sud tunisino, è arrivata sino alla capitale e si è diffusa per tutta la Tunisia, colpita da una crisi economica sempre più grave, dove la gente deve contendersi lo zucchero, l’olio e il riso. Una mobilitazione importante che dovrebbe riguardare tutti i testimoni di questi crimini, fra cui i governi europei ed in primis quello italiano.
Migliaia di persone hanno invaso le strade per fare luce su una storia che si ripete in silenzio da troppi anni e che nessuno sembra davvero ascoltare, perché nessuno sembra avere davvero interesse ad intervenire. Queste voci devono essere amplificate e riconosciute con urgenza: per i 18 che sono partiti quel 21 settembre scorso senza mai più tornare. Per un atto di giustizia verso tutti coloro che giacciono senza nome, in mare o in terra, partiti da stranieri e morti da sconosciuti.

Ph: Silvia Di Meo