Avvenire 9 Novembre 2022
Sul fronte politico-mediatico è, dunque, tornata l’emergenza sbarchi. Il neo-insediato governo Meloni ha immediatamente rieditato la guerra alle ong e ai partner europei, già targata Salvini. E negli stessi giorni, con meno clamore, ma con effetti pratici ancora più perniciosi, ha rinnovato il memorandum d’intesa con la Libia, nonostante le denunce sempre più numerose, documentate e autorevoli di abusi e maltrattamenti, fino alle torture e alle uccisioni, a danno di migranti e profughi detenuti e, se in fuga, intercettati e rimandati nei centri di detenzione gestiti sia dal governo, sia da milizie locali.
(…) Vediamo nel merito gli argomenti utilizzati.
Il primo è la sacralizzazione dei confini. Le vite umane in pericolo diventano un problema secondario rispetto alla riaffermazione del controllo sulle frontiere e sugli ingressi. Non ci sono diritti umani o convenzioni internazionali che tengano, di fronte alla volontà di ribadire una pretesa di sovranità assoluta sul territorio. È un’idea e un linguaggio d’altri tempi. (…)
Il secondo argomento è la colpevolizzazione delle Ong per gli ingressi definiti come “illegali”, rilanciando la vergognosa accusa di complicità con i trafficanti di esseri umani. Ancora una volta va ricordato che se fossero disponibili mezzi legali per raggiungere l’Europa, nessun profugo rischierebbe la vita su natanti inadatti alla traversata. Di fatto, poi, le navi delle Ong intercettano soltanto una minoranza dei richiedenti asilo che arrivano via mare: poco più di 10.000 su 87.000 sbarcati negli ultimi dieci mesi, l’11,5% del totale.
Un terzo argomento è quello della bandiera delle navi impegnate nei salvataggi. I ministri coinvolti vorrebbero stravolgere il principio dello sbarco nel porto sicuro più prossimo per addossare ai governi che hanno immatricolato le navi il compito di accogliere i profughi. È una spericolata interpretazione del diritto del mare già contestata da vari illustri giuristi.
Ma anch’essi richiedono accoglienza. Il vero problema, e la possibile soluzione, non consiste però nel rimbalzare i profughi da un Paese all’altro, come se fossero rifiuti pericolosi da scaricare
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