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Carovana Odessa Mykolaiv

Riccardo Michelucci

Stavamo percorrendo a piedi un quartiere di Mykolaiv colpito dalla bombe a grappolo russe, per visitare l’impianto idrico realizzato con fondi raccolti in Italia, quando un anziano abitante si è affacciato alla finestra di un palazzo e si è portato la mano destra al cuore, in segno di ringraziamento. È stato uno dei momenti più toccanti della carovana della pace che all’inizio di settembre ha portato una cinquantina di volontari italiani nel cuore del conflitto ucraino. Quel gesto ha dato un senso profondo alla nostra presenza nei territori martoriati dell’Ucraina meridionale. Un viaggio che ci ha visti affrontare non pochi rischi ma che andava fatto per condividere il dramma della popolazione e per tornare a chiedere la fine immediata dei bombardamenti . Dall’Italia sono arrivati dieci furgoni carichi di aiuti umanitari, di bandiere arcobaleno, di speranza. Con un messaggio chiaro: la pace si fa con la presenza sul campo. Ci è stato fatto presente che nessuno si era spinto fin lì per portare aiuti di persona e aveva dormito nei rifugi insieme agli abitanti, facendoli sentire meno soli.

Odessa è un luogo dove l’identità ucraina e quella russa hanno sempre convissuto e che oggi si sforza di vivere un’apparente normalità, nonostante i ripetuti allarmi aerei, le spiagge minate, il coprifuoco. A due ore di auto c’è Mykolaiv, che si trova a pochi chilometri dal fronte ma non è Sarajevo, non è Mostar, non è Beirut. Eppure la sua sofferenza si tocca con mano. Circa settecento edifici cittadini sono stati colpiti dai missili russi, costringendo oltre metà dei suoi 500mila abitanti ad andarsene. Raggiungerla è stata una lucida follia, considerando che ogni giorno nell’area piovono missili che non sempre la contraerea ucraina riesce a intercettare. Pochi giorni prima del nostro arrivo era stato colpito di striscio anche l’ultimo ponte di accesso alla città, che attraversa l’estuario del fiume Bug. Se sarà abbattuto tutti i collegamenti via terra da quel versante saranno interrotti. A Mykolaiv ci sono ovunque palazzi distrutti, trincee, check-point e persone in fila con le taniche per rifornirsi di acqua, un bene sempre più scarso da quando è stato distrutto i l grande acquedotto cittadino . Un ’emergenza che le associazioni aderenti alla rete “Stop the War Now” hanno cercato di tamponare finanziando l’acquisto di due dissalatori per garantire gli approvvigionamenti idrici ad alcune migliaia di persone. “Ma ne servirebbero almeno altri venti”, ci dice il giovane Maksim, uno dei pochi consiglieri comunali rimasti in città per aiutare la sua gente.