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Il vescovo Ricchiuti a Mykolaiv con la Carovana: non ci arrendiamo alla logica del conflitto

LA TESTIMONIANZA

«Qui per piantare semi di speranza»

Riccardo Michelucci su Avvenire 01/09/2022

Mykolaiv

Anche nella mattinata di ieri gli allarmi aerei sulla zona di Mykolaiv si sono susseguiti con inquietante regolarità. Quasi uno ogni quarto d’ora. Ma non hanno impedito alla terza Carovana della pace Stopthewarnow di raggiungere la martoriata città dell’Ucraina meridionale, dove oltre la metà dei suoi 450mila abitanti ormai sono scappati. I volontari della Carovana hanno scaricato una decina di tonnellate di aiuti umanitari nei locali della Caritas locale e di una Ong con cui Stopthewarnow collabora da mesi. Nel pericoloso viaggio da Odessa a Mykolaiv si è aggregato al gruppo – che è composto da una cinquantina di pacifisti giunti da ogni parte d’Italia – anche monsignor Giovanni Ricchiuti, arcivescovo di Altamura- Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente nazionale di Pax Christi. Il presule ha espresso a nome della Cei vicinanza e solidarietà alle vittime del conflitto, ribadendo la necessità di tenere viva la speranza di un negoziato che possa finalmente aprire la strada alla pace.

Monsignore, siamo arrivati a Odessa proprio nel giorno in cui è morto Gorbaciov, che era figlio di una famiglia di agricoltori russi e ucraini.

Gorbaciov aveva immaginato un futuro ben diverso per questi popoli. Ma a Mosca oggi, invece che rendere omaggio alla memoria del- l’ultimo leader sovietico, si fa la guerra. L’atteggiamento delle grandi potenze rispetto al rischio atomico si fa sempre più allarmante e l’Ue sembra aver dimenticato il suo ruolo diplomatico.

Perché ha ritenuto importante esserci di persona qui, oggi, peraltro in una località molto rischiosa come Mykolaiv?

Sono convinto che la presenza fisica sia importante per testimoniare solidarietà alle vittime e per portare un messaggio contro il conflitto e a favore del dialogo. Solo una fratellanza universale potrà salvarci. Comprendiamo le ragioni di chi vive in Ucraina ma questa complessità va affrontata proprio dove la guerra ha messo radici. Sono stato felice di venire qua proprio alla vigilia del 60° anniversario dell’enciclica Pacem in Terris, con la quale papa Giovanni XXIII definì irrazionale pensare di risolvere i problemi con la guerra.

Qual immagine le è rimasta più impressa di questo viaggio?

Appena arrivati martedì scorso a Odessa mi ha scosso profondamente vedere il disorientamento e lo smarrimento della gente nelle strade e una grande città che letteralmente si spegne e cessa di vivere a causa del coprifuoco, non appena cala il buio. Quanto a Mykolaiv, che soffre una grave emergenza idrica, l’immagine più triste è senz’altro quella della gente in fila per raccogliere l’acqua con le taniche.

A sei mesi dall’inizio dell’invasione russa la fine del conflitto sembra sempre più lontana.

Oltre la metà degli abitanti di Mykolaiv ha già lasciato la città. Oggi la tristezza per quanto sta accaden- do è amplificata dal silenzio che fa seguito agli appelli e alle speranze di negoziato perché la logica delle armi lasci il posto al dialogo e alla pace. Dobbiamo ricordare le parole di Pio XI, «tutto è perduto con la guerra, tutto è guadagnato con la pace».

Purtroppo la voce di Papa Francesco appare in questo senso sempre più solitaria.

Sia come vescovo che come presidente di Pax Christi mi sento sempre in profonda sintonia con il Santo Padre, il quale non ha solo ricordato che la guerra è una pazzia ma ha anche definito criminali coloro che traggono profitti dalla produzione e dal commercio delle armi. Per questo motivo, al di fuori della Chiesa, Francesco viene censurato al pari di tutti quelli che hanno tentato di discostarsi dal pensiero unico dominante, ovvero l’invio delle armi come soluzione del problema.

Trent’anni fa un altro presidente di Pax Christi, il venerabile don Tonino Bello, guidò una marcia per la pace nella Sarajevo assediata. Alla luce di quanto sta accadendo oggi come si fa a non vivere questo anniversario con sconforto?

Siamo consci del fatto che la Carovana della pace è una goccia di speranza in un mare di disperazione. Ma spetta a tutti noi tenere in vita questa speranza con gesti di solidarietà verso chi sta soffrendo. Quelli dei pacifisti sono semi di speranza che, pur tra mille difficoltà, prima o poi germoglieranno.