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Soyinka: i paesi che si sentono minacciati dalle migrazioni ne sono i primi responsabili

da La Voce di Mantova
Segnalazioni, a cura di Sergio Falcone

(11 Settembre 2019)

Parole pesanti come macigni. Sono quelle di Wole Soyinka,
poeta e drammaturgo nigeriano, Premio Nobel per la letteratura
nel 1986.
Qual è il ruolo della letteratura nella società odierna?
“Un ruolo importante come tutte le arti, dalla pittura alla
scultura, perché hanno una forza creativa. Anche l’istruzione,
la scuola ha un ruolo fondamentale avendo il compito di
ridurre la differenza di genere. Quando le religioni che
discriminano uno dei due generi acquisiscono rilevanza la
scuola dovrebbe aver già generato una barriera”.
Cosa pensa dell’oppressione della donna nella nuova ondata di
integralismo che stiamo vivendo?
“Tutte le istituzioni che approvano una parte della
popolazione rispetto a un’altra sono deplorevoli. Non importa
che la discriminazione venga fatta sulla base di
un’appartenenza a una classe sociale, per nascita o tra
indigeni e coloni o indigeni e migranti. In tutti i casi le
istituzioni avvalorano le discriminazioni. Questo include
anche le culture tradizionali, di cui sono sempre stato un
grande sostenitore. Anche le pratiche tradizionali
discriminano e hanno portato all’oppressione. Per esempio, ho
letto un breve racconto di una ragazza dedicato alle
tradizioni della sua bisnonna, quindi usi di circa
settant’anni fa. Allora le donne nel periodo delle
mestruazioni non dovevano uscire dalla capanna, dove dovevano
anche defecare, non potevano entrare in contatto con
nessun’altro essere umano, non potevano andare al mercato.
Praticamente erano considerate sporche. Nello stesso racconto
si parlava della necessità di sottoporre le bambine alla
circoncisione, pratica abominevole. Le giovani che non
venivano circoncise non avrebbero potuto sposare un membro
della comunità ma solo un intoccabile. Cosa voglio dire? Ogni
società ha bisogno di un gruppo da vittimizzare, da
considerare inferiore. Perché questo permette agli altri di
sentirsi superiori e soddisfatti dalla loro condizione di
superiorità? Non lo so. Però la resistenza alle pratiche
discriminatorie nasce comunque all’interno della società. Non
dovremmo più sorprenderci. Sono situazioni che, storicamente,
abbiamo vissuto in tutte le epoche. Adesso queste
discriminazioni sono incentrate anche sulle donne. L’obiettivo
deve essere iniziare a dialogare come essere umani, uguali tra
loro”.
Cosa pensa dell’immigrazione e della politica dei porti
chiusi?
“Questa è un’altra cosa. È l’incapacità di vedere degli esseri
umani bisognosi come altri esseri umani più sfortunati di noi
e poi trasformare questa incapacità in ideologia, adducendo
anche la purezza della natura o questioni economiche. Così si
ergono i muri contro le orde in arrivo. Storicamente la
maggior parte dei paesi che oggi si sentono minacciati hanno
delle responsabilità nelle origini di queste migrazioni. La
non riconoscibilità della responsabilità storica è grave
quanto la responsabilità coloniale e lo sfruttamento
economico. Prima o poi, tutte queste colpe tornano al
mittente. Per risolvere la situazione occorrerebbe un dialogo
strutturale, serio da intraprendere con urgenza tra le nazioni
verso cui si dirigono e da cui provengono le ondate
migratorie. Ci sono migliaia di persone che muoiono nel Mar
Mediterraneo ma ce ne sono molte di più morte nel deserto del
Sahara o che vengono vendute in schiavitù. Ci sono tanti altri
campi di morte lungo questi tragitti, il Mediterraneo è solo
quello più visibile grazie ai media”.
Cosa sta causando questa diaspora africana?
“Stiamo subendo una gravissima fuga di cervelli. Tra quelli
che annegano e quelli di cui si rinvengono solo le ossa
essiccate dal sole nel Sahara, stiamo perdendo enormi risorse
attuali e future. Lo dimostra il fatto che molti di coloro che
ce la fanno e arrivano nella cosiddetta terra promessa, si
distinguono e ottengono successi personali come imprenditori,
medici, ingegneri e riescono a mantenere anche le famiglie
d’origine. In Nigeria, durante il periodo della dittatura, è
stata formata una task force per capire come riportare in
patria i giovani che se n’erano andati. Ebbene, il risultato è
stato che non è stata riconosciuta nessuna fuga di cervelli.
Anzi, era la Nigeria che stava aiutando gli altri paesi,
donando loro i nostri giovani migliori”.
Cos’è la speranza per Wole Soyinka?
“Ho dimenticato quella parola decenni fa. Sono un pragmatico,
cerco di capire come salvarci dalla situazione attuale, in
Africa come altrove, perché è un gran casino sia che si parli
di clima, di Brexit, di migrazioni e di integralismo
islamico”.