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Strade di umanità: viaggio in Senegal

“Una migrazione al contrario” la nostra visitazione in terra d’Africa partita il 16 luglio da Roma con destinazione il Senegal per percorrere le sue strade alla ricerca di segni di umanità, spirito, arte e pace. Una piccola comunità in cammino, otto persone in tutto, guidate da Gianni Novello con la collaborazione di Guilain Mathe.

                                                                                                                                                 Tanti gli incontri in questa terra che vive martoriata dalla povertà ma che vuole reagire e non si rassegna. La prima tappa in un luogo simbolo: l’isola di Goré  di fronte al porto di Dakar. Si entra nella casa degli schiavi e si cammina lungo quei cunicoli angusti dove sono passati venti milioni di persone ridotte in schiavitù. Per secoli uomini e donne sono stati venduti dai trafficanti africani in affari con portoghesi e francesi. Sei i milioni di schiavi morti in quest’isola  segnata da tanto dolore e ingiustizia dove però è nato un segno di speranza: il Centro per la Democrazia, lo Sviluppo e la Cultura Africana, dove ci accoglie  un giovane ricercatore che racconta della bellezza dell’arte africana e delle campagne di sensibilizzazione. “Si va nei villaggi – dice Mamadou Sakkir Ndyaye- responsabile della comunicazione e delle relazioni pubbliche del Centro- e si spiega a chi vive lontano dalle città che democrazia, sviluppo e cultura sono l’unica via pacifica per combattere le ingiustizie”. A Gorèe, abbiamo visto l’Occidente con gli occhi degli africani: “ La paura e l’emozione più diffusa in Europa- dice Doudou Dia, direttore esecutivo del centro – . Paura di tutto anche di restare qualche minuto senza internet, non è cosi da noi, aggiunge Doudo, noi ci stiamo impegnando a costruire una nuova consapevolezza per far rinascere un nuovo umanesimo”. Un primo impatto con un’Africa fiera e determinata, che abbiamo imparato a conoscere anche grazie a due giovani congolesi Guilain Mathe e Pappy Mwenge, fuggiti dai loro villaggi in Congo. Oggi Guilain è un ricercatore in una Ong che si occupa di contrastare il traffico della armi leggere e Pappy lavora al P.A.M. il programma alimentare dell’Onu per i Paesi africani.                                                                                                                                                                   A Dakar andiamo a conoscere il centro della Caritas che si occupa dei flussi migratori interni all’Africa. “Sono 800 mila gli irregolari arrivati in Senegal ,“Teranga” terra d’accoglienza, soprattutto dalla Guinea, dice il responsabile della Caritas, ma molti si spostano e cercano di arrivare nell’inferno della Libia”. Ma non solo, tante le storie di chi decide di partire a bordo delle tradizionali imbarcazioni di legno variopinte verso le isole Canarie. Si sa poco di questa tragica realtà, ma sono soprattutto giovani senegalesi che muoiono durante la traversata. Per questo più di trecento mamme hanno deciso di adottare questi giovani che vogliono tentare la via del mare per fuggire.                                                                                                                                  Intensa la visita alla comunità di Taizé di Dakar dove si sperimenta la Barbiana di Don Milani con Frère Christi, spagnolo, ma africano nel cuore, che nella piccola aula del doposcuola insegna ai ragazzi che si conosce e si apprende facendo esperienza del mondo che li circonda.  Operano in un quartiere a maggioranza musulmana dove si vive per lo più per strada, le case sono piccole e fatiscenti, la sporcizia ovunque eppure i tanti bambini che incontriamo sorridono e si fanno fotografare. Ma qui si sperimenta anche l’unità oltre ogni fede. Conclude la nostra visita l’eucaristia celebrata da Francesco, il giovane prete di Gaeta che fa parte del nostro gruppo. Poi tutti a tavola con una cena a base di riso e pesce cucinato dalle mamme senegalesi.                                                                                                                                              Ci allontaniamo in pulmino da Dakar diretti a Touba seconda città santa dell’islam per fedeli e capitale del Muridismo, congregazione islamica che unisce 1/3 dei musulmani in Senegal. E’ stato un momento di incontro con i fratelli musulmani arrivati numerosissimi alla preghiera del venerdì nella grande moschea. Anche noi pellegrini abbiamo ricevuto la benedizione del grande Imam, l’autorità islamica del luogo:” Dio porti a compimento tutto il bene che hai iniziato”.         

Sempre in pulmino  lasciamo nuovamente la città diretti al monastero di Keur Moussa.  Qui monache e monaci benedettini in due distinti monasteri, da più di cinquantanni, pregano e lavorano vivendo un reale radicamento con la cultura africana. Durante la preghiera che scandisce la giornata suonano la kora, uno strumento musicale del posto che è stato recuperato e valorizzato. Segni di vera integrazione.

Di nuovo in viaggio verso Saint Louis, antica capitale coloniale a nord del Senegal, dal 2000 dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’Umanità. Qui le vecchie case coloniali sono state in parte restaurate e alcune sono diventate interessanti musei. Si entra nel mondo della “negritudine”, il movimento culturale e politico dei neri d’Africa dagli anni ’30 ad oggi. A pochi metri in un altro museo cimeli e testi inediti di Antoine Saint- Exupéry, che qui ha scritto il “Piccolo principe”, ispirandosi proprio al Senegal e ai suoi baobab. Non c’è solo passato. Qui si respira un’aria nuova e lo testimonia la giovane Fatima Fall direttrice dell’università Gaston Berger di Saint Louis che ci guida nel museo etnografico. Spiega che si lavora a campagne contro l’uso indiscriminato della plastica, vera piaga del Paese e per costruire nuove politiche per l’emancipazione femminile e il fenomeno delle bambine costrette a sposarsi ancora giovanissime. Passeggiamo lungo le strade di Saint Louis fino al porto dove sono ormeggiate le tradizionali barche da pesca multicolori. A poca distanza entriamo anche nel quartiere dei pescatori che vivono con le loro famiglie in case basse piene di bambini che giocano in strada. Ci sono purtroppo anche tantissimi “talibé”, bimbi che chiedono l’elemosina con il loro secchiello di plastica. Sono schiavi nelle mani di falsi marabut che con la scusa dell’educazione religiosa e scolastica li tengono alle loro dipendenze costringendoli a mendicare anche terrorizzando le loro famiglie. Questa è una vera piaga del Senegal, ci hanno detto tanti testimoni incontrati, che nonostante le leggi resta irrisolta.                                                                                                                                                                 Si torna a Dakar, per una visita nel quartiere degli artisti che hanno deciso di condividere i loro atelier- studio dando vita ad una vera cittadella dell’arte africana contemporanea. Sempre a Dakar  la  visita al museo delle Civiltà Nere. E’ stato come fare un viaggio nella storia dell’Africa così come l’aveva sognata il primo presidente del Senegal Leopold Sedar Sengor. Per l’ ultima tappa l’incontro con l’arcivescovo cattolico della capitale senegalese che nel dialogo con noi quasi riprende e riassume i temi su cui in questo tempo di fraternità in viaggio abbiamo potuto affrontare.

 

Giusi e Giuseppe Florio