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Tra alberi e allodole

La tre giorni di Pax Christi a Romena (AR) – 17/20 giugno 2019

“Lo chiederemo agli alberi come restare immobili fra temporali e fulmini… lo chiederò alle allodole come restare umile”: così canta Simone Cristicchi, di casa alla Fraternità di Romena dove si è svolto l’annuale appuntamento di giugno per gli amici e simpatizzanti di Pax Christi.
Radunate da don Nandino Capovilla, si sono incontrate una trentina di persone per essere guidate da don Luigi Verdi e da Gianni Novello a riflettere e a pregare per “una Chiesa della tenerezza”, per “restare umani” . Come chiosava Vittorio Arrigoni. Da Gaza.
Giorni, seppur intensi, di riposo. Al modo in cui lo propone Romena. Il riposo dell’uomo e il riposo di Dio, i quali si offrono reciprocamente una spalla, per vivere e per salvare l’umanità dall’oppressione e dalla morte. Con fermezza ma anche tenerezza. Come fa Francesco, il papa.
In alto, dove l’aria è ancora più pura e la luce più sottile, all’Eremo di Camaldoli, abbiamo trascorso una mattinata di ascolto e di preghiera, celebrando l’Eucaristia con la comunità dei monaci. Padre Francisco ci ha invitati, anche con la sua flebile voce, ad entrare nel silenzio, a ritrovare “Le sorgenti spirituali della Pace”, tra fraternità e solitudine, tra contemplazione e azione. Per diventare – come abbiamo imparato in Pax Christi – “contempl-attivi”.
Alla sera, con don Renato Sacco, il coordinatore nazionale, l’occhio è puntato sul Movimento, le sue aspirazioni, i suoi impegni, le sue prossime tappe. Insieme si cammina, e si apre il cammino. Così è anche gradita, e feconda, la visita serale del Punto Pace di Firenze.
E, poi, ancora lassù, in alto, sopra la rupe dove si era ritirato Francesco, il santo, ci ha condotto sapientemente Gianni Novello. Salendo a piedi, perché andando a piedi, come hanno sempre fatto le carovane dei poveri, si può capire che dobbiamo discendere a lavarli ai fratelli. Perché “Dio cammina a piedi”, come ci ricorderà poi don Gigi. A La Verna, prima nella faggeta – le cui lame di luce che scendevano dall’alto ci rammentavano le “ferite divenute feritoie” di cui ci parlava don Tonino – e, poi, nei luoghi delle Stimmate, abbiamo meditato sul Francesco confitto perché sconfitto. Come Cristo. Eppure vincitore. Perché risorto, sempre. Come Gesù. La croce, il centro della vita di Francesco, da abbracciare non per un insano amore del dolore, ma per schiodarvi – come diceva Gianni – i crocifissi di oggi, per farli risorgere. All’incrocio dei suoi pali abbiamo appoggiato il capo, deponendo le sofferenze della terra dove la violenza ingoia la vita dei popoli e la sofferenza del mare dove muoiono i migranti, le donne e “i bambini dagli occhi di conchiglia”,
come recita un canto di Bepi De Marzi.
Quindi Don Gigi, dalle mani ferite, dagli occhi spauriti, con “la forza della debolezza”, paolina, e gandhiana, in due incontri e nei momenti di preghiera, ha sprigionato per noi il succo del suo “restare umani”: per non diventare sempre più malati, soli, muti, irresponsabili, inconsapevoli, rassegnati a tutto. Per “imparare a credere”, come proponeva Dietrich Bonhoeffer. Per diventare cristiani, potremmo dire noi.
Varie sono le vie per ricominciare – un verbo caro a Romena. Una passa attraverso il perdono, il quale – come ci confermava don Paolo Costa, collaboratore a Romena, che ci ha condotto, con attività interattiva, di tappa in tappa, sulla “Via della Resurrezione”, tra alberi e allodole – è un punto focale per la Fraternità. È “l’oro nelle ferite” più necessario. In effetti, si riparte sempre e solo quando ci si riconcilia: con se stessi, con gli altri, con la natura, e, quindi, con Dio, il Dio della storia e del creato. Alla ricerca, leopardiana e nostra, di “sovrumani silenzi, e profondissima quiete”, siamo infine approdati a Quorle, una minuscola, isolata, borgata dove vive un altro collaboratore di Romena: Wolfgang Fasser, non vedente, fisioterapista, guida spirituale. Condotti da lui – di “eremo” in “eremo”, fino a quello forse più difficile e più necessario oggi, quello del pensare – siamo entrati nel profondo di noi stessi, per elevarci agli “interminati spazi”.
Così, e solo così, ci potevamo preparare a ricevere, grati, la benedizione finale di Wolfgang e don Gigi. Mani, piedi, cuore, occhi,
benedetti. Fa, o Signore “che non si perda tutto questo amore” (F. Mannoia) che si può liberare dal nostro corpo, quando è risanato.
Giorni di grazia. Grazie dei giorni. A tutti e a ciascuno.
don Maurizio Mazzetto (Pax Christi Vicenza)