Sulla drammatica situazione della Repubblica Democratica del Congo si è svolto, Venerdì 7 dicembre, presso la parrocchia dei Santi Pietro e Paolo a Catania, un incontro organizzato dal Punto pace Pax Christi.
Ce ne ha parlato padre Dieudonné Tshimanga N’Kishi, sacerdote congolese già operante da diversi anni nella parrocchia.
Egli ci ha raccontato con parole appassionate il tragico paradosso di questo Paese: ricchissimo di minerali e dilaniato da guerre intestine proprio a causa di tali ricchezze, avidamente sfruttate dalle imprese multinazionali, che di proposito sostengono gruppi armati che alimentano guerriglie senza fine.
Ne fa le spese la popolazione inerme, che da decenni subisce ogni tipo di violenza, devastazione e, conseguentemente, povertà e fame. Negli ultimi venti anni si calcolano diversi milioni di vittime.
La causa di tanto male è la ricchezza mineraria: diamanti, oro, coltan (columbite-tantalite), specialmente nel Congo orientale, e poi rame, uranio, stagno, gas, petrolio, nichel, zinco, carbone. In particolare, il coltan è indispensabile nell’industria elettronica (componenti di telefoni cellulari, computer, ecc.). Di queste risorse alla popolazione congolese arriva poco o niente, mentre i lavoratori delle miniere vengono sfruttati in modo disumano. I minerali vengono perlopiù esportati in modo irregolare nei Paesi limitrofi, che se ne avvantaggiano in abbondanza. Di recente, poi, nel sud-est del Paese si è affacciata la Cina, interessata alle miniere di cobalto e di rame dello Stato del Katanga.
I beneficiari ultimi sono poi sempre gli stessi: noi occidentali, o meglio, la parte ricca della popolazione mondiale, che utilizza questi metalli preziosi ottenuti a basso costo per fare profitti altissimi. Nel frattempo il Congo resta una delle nazioni più povere e sottosviluppate del pianeta.
Il Kivu, nell’est del Paese, è la zona più martoriata dal conflitto. Milizie filo-rwandesi invadono regolarmente quest’area, seminando terrore e distruzione, per proteggere e sfruttare le risorse minerarie, che vengono esportate illegalmente nel vicino Rwanda, ma anche nel Burundi e nell’Uganda.
Ma perché questo caos nel Congo? E’ una situazione che fa comodo, oltre ai Paesi vicini, anche a chi governa. Il presidente Joseph Kabila è al potere da quasi venti anni ed è già scaduto il suo secondo mandato che, teoricamente, non potrebbe essere più rinnovato. In Congo, essere al potere significa gestire affari miliardari con le multinazionali e i Paesi affamati di materie prime. Si tratta quindi di un sistema complesso in cui l’insurrezione politica sembra essere mantenuta viva da un intreccio di affari economici. In sintonia con quanto detto, bisogna anche rilevare che gli Stati Uniti sono alleati del presidente del Rwanda, Kagame, che a sua volta è in buoni rapporti proprio con il presidente del Congo, Kabila.
La popolazione aspetta le nuove elezioni, sperando che queste segnino un reale cambiamento per il futuro del Paese. Un ruolo significativo in questo senso è stato svolto negli anni scorsi dal l’arcivescovo di Kinshasa, cardinale Monsengwo. Formalmente le elezioni sono fissate per il prossimo 23 dicembre, ma ormai a pochi giorni dalla consultazione elettorale è molto dubbio che veramente vengano celebrate.
L’interesse suscitato nell’uditorio dall’amaro racconto di padre Dieudonné e la constatazione che di queste informazioni ben poco traspare dai mass media hanno fatto sì che si sia deciso unanimemente di riprendere l’argomento “Congo” nel prossimo futuro, con un altro incontro, volto anche alla realizzazione di qualche forma di solidarietà nei confronti della sfortunata popolazione di questo Paese.