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MEDIORIENTE IN FIAMME, NOVITA’ INASCOLTATE

Ramallah, 12 aprile 2018

Scriverlo da Ramallah è diverso. Abituati a collezionare notizie dai media, quando ci troviamo a vivere direttamente una situazione sentiamo che è tutto diverso. Così, vedere i video dei cecchini che sparano sulla folla a Gaza non fa capire come viva la Palestina questo momento così difficile della sua storia. Sono in questi giorni nel cuore di questo non-stato, emblema di tutte le oppressioni diventate sistema permanente e partecipo ad un convegno mondiale su Gerusalemme capitale. Fra poche settimane Trump potrebbe scendere dall’aereo a Tel Aviv e dire candidamente al mondo che per la città santa è finita. Solo Israele, che la occupa dal 1967, avrebbe diritto su di essa. Si scateni pure il mondo, tanto, il Medioriente è già una polveriera dalla miccia accesa.

Per questo, forse, il massacro di inermi cittadini che manifestano pacificamente diventa, ai confini della loro gabbia, il simbolo di questo tiro a segno che non scandalizza più di tanto. Ma oltre al forte segnale dato dai gazawi di scegliere con convinzione la resistenza nonviolenta, qui a Ramallah sto cogliendo da alcuni attenti osservatori palestinesi, una possibile novità che i nostri giornali non ci hanno certo offerto. L’unica lettura dei fatti, comune a tutti i giornali italiani , è la riduzione di tutto a inesistenti “scontri” e “violente battaglie”, come se i palestinesi avessero aggredito o messo in pericolo i soldati israeliani.

Ma la novità di quanto accade a Gaza è che i suoi abitanti, in gran parte profughi del 1948, in piedi di fronte alla barriera illegale, chiedono una cosa non consueta: non hanno chiesto Gerusalemme come capitale, né il ritiro delle colonie. La richiesta un po’ inusuale e magari non molto chiara è questa: noi vogliamo, applicando la Risoluzione Onu 194,di poter tornare alle nostre case, anche chiaramente in villaggi ormai diventati israeliani. Il diritto al ritorno, insomma, e non altri obiettivi impossibili, potrebbero rappresentare una novità che sblocca un conflitto senza vie d’uscita, forse la proposta di uno stato unico binazionale.
Purtroppo nessuno ci aiuta a cogliere questi e altri germi di vita e di novità mentre, una volta di più, sentiamo la pressante necessità che le Nazioni Unite assumano le redini di tante situazioni drammatiche che, dalla Siria al Congo, chiederebbero lungimiranza e coraggio.

Nandino Capovilla (nandino.capovilla@gmail.com)