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Primo, Lorenzo e Francesco

di  Sergio Paronetto

La prossima imminente visita (20 giugno) di papa Francesco sulle tombe di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani, testimonianze luminose del Vangelo di pace, diventa un viaggio alle sorgenti della nonviolenza italiana. Non solo una forma di riabilitazione ufficiale di persone offese, discriminate e isolate dal mondo ecclesiastico degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso ma anche un segno di conversione ecclesiale e una pro-vocazione per tutti. Il suo gesto è più eloquente di tanti discorsi.

E’ un’occasione di leggere e di rileggere insieme, quasi in forma di “lectio” nonviolenta, alcuni testi fondamentali dello zaino dei viandanti di pace: Tu non uccidere del 1955, Pacem in terris del 1963 e L’obbedienza non è più una virtù del 1965. A unificarli idealmente tra loro e a collegarli con Giovanni XXIII e Tonino Bello è il Concilio Vaticano II (1962-1965). Mazzolari lo anticipa tra mille ostacoli (ma prima di morire Giovanni XXIII lo riconoscerà come “la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”). Don Milani lo incarna a S. Donato e a Barbiana (chiedendo sempre il riconoscimento ecclesiale del suo impegno per la pace e i poveri come farà don Tonino).

Uomini di pace mai in pace

Sul quindicinale mazzolariano “Adesso” scrive anche Lorenzo Milani. Il suo testo Esperienze pastorali viene considerato da Mazzolari “il primo e più valido studio di sociologia religiosa stampato in Italia. E il più originale anche nei confronti di parecchie pubblicazioni francesi di larga risonanza” (“Adesso” 1 luglio 1958, cfr. la rivista “Impegno” n.1, aprile 2017). Per i due è essenziale dare la parola ai poveri e fare loro strada (senza farsi di loro strada).

Per Mazzolari e per Milani la guerra moderna è sempre immane crudeltà. Per don Primo, “il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace” perché patisce una contraddizione permanente col Vangelo. Per don Lorenzo è necessario scegliere l’obiezione di coscienza alla preparazione di guerre moderne sempre ingiuste (che sono o aggressione o vendetta) per essere fedeli alla coscienza, al Vangelo e alla Costituzione italiana. L’etica della pace è, per loro, “etica del volto”. Scrive Mazzolari: “il vero senso della pace è il riconoscimento che c’è un prossimo cui dobbiamo voler bene e che, se non gli vogliamo bene, abbiamo già ucciso dentro di noi”. La prima lettera di Giovanni ribadisce un’idea decisiva: “chi ama nasce da Dio e conosce Dio”. Per don Lorenzo la pace è perdere la testa per i suoi ragazzi concreti e vicini, anzi è amarli più di Dio (il modo migliore per amare Dio). Don Tonino dirà che la pace è “ricerca del volto, non della maschera. Scoperta del volto, non lettura della sigla”.

Testimoni, compagni di strada

Oggi papa Francesco entra a far parte di questa bella famiglia come amico, fratello e guida. Ne è conferma il messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1 gennaio 2017. Non solo. Il 19 aprile 2017, in occasione della pubblicazione delle Opere complete di don Milani, pronuncia parole bellissime e impegnative verso don Milani, simili a quelle espresse da Paolo VI nei confronti di Mazzolari: “Come educatore ed insegnante egli ha indubbiamente praticato percorsi originali, talvolta, forse, troppo avanzati e, quindi, difficili da comprendere e da accogliere nell’immediato. La sua educazione familiare, proveniva da genitori non credenti e anticlericali, lo aveva abituato ad una dialettica intellettuale e ad una schiettezza che talvolta potevano sembrare troppo ruvide, quando non segnate dalla ribellione. Egli mantenne queste caratteristiche, acquisite in famiglia, anche dopo la conversione, avvenuta nel 1943, e nell’esercizio del suo ministero sacerdotale. Si capisce, questo ha creato qualche attrito e qualche scintilla, come pure qualche incomprensione con le strutture ecclesiastiche e civili, a causa della sua proposta educativa, della sua predilezione per i poveri e della difesa dell’obiezione di coscienza. La storia si ripete sempre. Mi piacerebbe che lo ricordassimo soprattutto come credente, innamorato della Chiesa anche se ferito, ed educatore appassionato con una visione della scuola che mi sembra risposta alla esigenza del cuore e dell’intelligenza dei nostri ragazzi e dei giovani”.

Anche a don Primo può attribuirsi quanto papa Francesco osserva di don Lorenzo: “La sua inquietudine non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che, talvolta, veniva negata. La sua era un’inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come “un ospedale da campo” per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati. Apprendere, conoscere, sapere, parlare con franchezza per difendere i propri diritti erano verbi che don Lorenzo coniugava quotidianamente”. Col papa accostiamoci ai nostri amici e maestri con l’affetto di chi guarda loro come a compagni di strada che hanno sempre cercato la luce, la tenerezza e la grazia che Cristo ci dona e che possiamo incontrare nella Chiesa di Cristo “nostra pace”.