7 marzo 2017
Riforma.it
L’impegno di Alex Zanotelli nel quartiere Sanità, oggi tra i più violenti di Napoli
Entrare nel quartiere Sanità è un po’ come sprofondare nel regno degli Inferi, non tanto perché in questo «perimetro» addossato al centro storico di Napoli si trovano il famoso Cimitero delle Fontanelle e le suggestive Catacombe di San Gennaro, di San Severo e di San Gaudioso, quanto piuttosto perché la morte sembra aleggiare insidiosa in questi antichi vicoli. Raid, sparatorie e «stese» stanno diventando routine e la gente del Rione è ostaggio della violenza della nuova generazione della camorra che spara alla cieca e non si preoccupa se a finire nella traiettoria di un proiettile può esserci un bambino che sta andando a scuola, una casalinga che esce a fare la spesa, un innocente che si trova lì per caso.
In questo luogo abbandonato da tutti ha scelto di vivere la sua missione il comboniano Alex Zanotelli. Dopo aver trascorso 12 anni a Korogocho, baraccopoli di Nairobi, il missionario originario di Livo (Tn) decide di risiedere al Sud Italia. Con convinzione sceglie Napoli e, in particolare, la Sanità.
«Questo quartiere architettonicamente bello, ricco di storia e tradizione, è oggi tra i più violenti di Napoli. La ragione secondo me va cercata nel consumismo sfrenato, veicolato negli ultimi 30 anni da una televisione squallida, che ha distrutto tutti i valori delle famiglie del sottoproletariato napoletano, tranne quello dei soldi. È al dio denaro che hanno fatto voto di fedeltà tanti ragazzini che non hanno futuro. Qui la disoccupazione giovanile raggiunge il 60%, il 40% dei giovani lascia la scuola (fra medie e superiori) e la via più breve e veloce per fare tanti soldi è la droga: Napoli è diventata la più grande piazza di spaccio di droga in Europa. Nasce così la nuova camorra, quella delle baby-gang».
Basilica di Santa Maria della Sanità
Le chiamano Paranze dei bambini, minorenni o appena maggiorenni che sparano a casaccio per le strade anche in pieno giorno. Cosa sta succedendo nel ventre di Napoli?
«Come ha osservato il procuratore nazionale anti-mafia, Franco Roberti, l’aver assicurato alla giustizia i grandi boss ha creato un vuoto di potere che ora, giovani e giovanissimi, senza alcun freno cercano di occupare. È finita l’età dei boss della camorra tradizionale, ora è lotta tra un gruppo e l’altro che si fronteggiano per aggiudicarsi il mercato della droga per fare soldi e farli al più presto. Questi giovani, con le loro “stese” terrorizzano il territorio ostentando il loro controllo su tutto. Dico sempre che Napoli è divisa in due: la “Napoli bene” di Chiaia, Vomero, Posillipo e la “Napoli malamente” che va dalle periferie “esterne” di Scampia, Ponticelli, Barra alle periferie “interne” (il centro storico di Forcella, Quartieri Spagnoli, Rione Sanità). Sono due città che non si incontrano e non si vogliono incontrare. Questa è una delle malattie di Napoli».
P.zzetta San Vincenzo alla Sanità. Statua che raffigura il giovane Genny Cesarano, vittima innocente della camorra, mentre gioca a pallone seduto su due assi con la scritta San(t)ità. L’opera, realizzata dallo scultore Paolo La Motta, è collocata sotto l’albero di un ulivo piantato in memoria del ragazzo.
Al funerale di Genny Cesarano, ucciso per errore a 17 anni durante un raid a piazza Sanità nel 2015, lei disse: «Nessuno verrà a salvarci, alziamo la testa e liberiamoci». Chi ha abbandonato questa parte della città?
«Le responsabilità gravano su diversi soggetti. Prima di tutto lo Stato che ha abbandonato questa come altre periferie; ma poi il Comune, la Regione. Non sono stati fatti finora investimenti seri, prendiamo ad esempio la scuola: nel quartiere Sanità con 50mila abitanti non c’è un asilo comunale, non ci sono scuole medie; c’è solo un complesso di scuola elementare e un istituto superiore che, avendo sempre meno iscritti, rischia la chiusura. Potenziare la scuola in un luogo come questo è fondamentale. Stessa cosa vale per la sicurezza: nessuna delle telecamere installate funziona, sono due anni che chiediamo di renderle operative… nulla! Anche sul versante del lavoro non si è fatto niente».
E la chiesa?
«Anche la chiesa ha le sue responsabilità. Le parrocchie sono sì presenti sul territorio, ma in genere sono luoghi dove si fanno riti e sacramenti. Vedo un’incapacità a legare la fede nel Dio della vita alla vita concreta che si vive fuori dalla chiesa, che dovrebbe riscoprire di essere un’agenzia educativa soprattutto per i più giovani».
Cosa significa essere missionario in questo quartiere?
«La prima cosa importante è esserci dentro questa realtà, viverla, sentirla sulla propria pelle, condividendo le angosce di questo popolo. Per noi missionari è poi importante il “come” ci siamo in queste periferie! Abbiamo scelto uno stile di vita semplice e sobrio che ci permette di mettere al centro gli ammalati, gli anziani soli, i malati mentali, i senza fissa dimora, i migranti e i rom. Infine il nostro ruolo di missionari qui è anche quello di creare comunità, fare rete. Oltre ad aver puntato sulle Piccole Comunità cristiane che si ritrovano nelle case a leggere il Vangelo e a contestualizzarlo nell’oggi, abbiamo iniziato la Rete del Rione Sanità per creare comunione fra le varie realtà che operano sul territorio. Inoltre due anni fa, dopo l’uccisione di Cesarano, abbiamo dato inizio al movimento Un Popolo in cammino che tenta di mettere insieme le realtà sociali impegnate delle periferie di Napoli con le parrocchie presenti nelle stesse. Il movimento chiede alcuni diritti fondamentali: scuole aperte fino a tarda sera con personale specializzato, che sappia avvicinare i ragazzi; maggiore sicurezza sulle strade e piazze attraverso telecamere funzionanti, presidi di carabinieri, vigili urbani, polizia; infine, impegno serio per creare lavoro in modo da rispondere alla disoccupazione giovanile. Non è un cammino facile, ma lo ritengo fondamentale».
In un contesto dove dilagano l’illegalità, la violenza e la sopraffazione come è possibile predicare la speranza, il cambiamento, la giustizia?
«Sono profondamente convinto che senza una profonda spiritualità non si possa vivere e predicare l’evangelo. Fondamentale per me è la preghiera personale e comunitaria, ma questo non basta. Bisogna poi legare la fede alla realtà che viviamo per poterla cambiarla, perché Dio ci manda a lottare contro le situazioni di morte. O crediamo nel Dio della vita o serviamo gli idoli di morte: è a partire da questa opzione fondamentale che noi viviamo la nostra missione nella Sanità».