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Sicilia US Navy, piattaforma nel Mediterraneo

Sembra essere forgiato all’inferno il cacciabombardiere A-10 “Thunderbolt” in dotazione all’US Air Force. Sul velivolo è montato un cannone lungo più di sei metri, “Avenger” (vendicatore): un’arma spietata, in grado di sparare fino a 4.200 colpi in un minuto. I proiettili di 30 centimetri contengono ognuno 300 grammi di uranio impoverito per perforare blindati e carri armati. Conti alla mano, ad ogni raffica “Avenger” disperde nell’ambiente più di 15 chili di microparticelle radioattive. Il “Thunderbolt” è stato impiegato nel 1991 durante la prima guerra del Golfo; poi è stata la volta dei conflitti in Bosnia, Serbia-Kosovo, Afghanistan ed Iraq. Il Pentagono ha ammesso di utilizzarlo adesso in Libia contro i mezzi delle truppe filo-Gheddafi. Come è stato ammesso l’uso di un altro strumento di morte, l’AC 130H “Spectre”, una versione modificata del C 130 “Hercules” da trasporto. Può essere dotato, alternativamente, di un cannone da 105 millimetri o da cannoncini da 40 e 25 millimetri. Anch’essi sparano proiettili perforanti anti-carro.
Cosa c’entrino con l’interdizione aerea e la no fly zone voluta dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU per “difendere” la popolazione libica dall’ira del rais è un mistero. Ma la guerra è guerra, inutile porsi domande o scrupoli di sorta, specie quando essa rappresenta un’occasione irripetibile per sperimentare armi e tecnologie sempre più distruttive in una Sicilia trasformata ormai in una vera e propria piattaforma militare al centro del Mediterraneo. I velivoli da pattugliamento P-3C “Orion”, ad esempio, un gioiello dell’intelligence navale, sono stati convertiti in aerei d’attacco anti-nave. Per la US Navy, il 28 marzo 2011 è una data storica: l’“Orion”, armato per la prima volta di missili AGM-65 “Maverick”, è stato dirottato sul porto di Misurata per distruggere l’unità della Guardia coste “Vittoria” e due piccole imbarcazioni militari libiche. A individuare gli obiettivi e dirigere le operazioni ci pensano, dall’alto, i “Global Hawk” (falco globale), temibili aerei senza pilota UAV con un’apertura alare uguale a quella dei grandi velivoli passeggeri. Con un’autonomia di volo superiore alle 30 ore, i “Global Hawk” sono in grado di raggiungere i 60.000 piedi di altezza, in qualsiasi condizione meteorologica. Sono i “grandi fratelli” che spiano ogni movimento sospetto in aree che si estendono per migliaia di chilometri quadrati, teleguidati da terra, anelli chiave delle catene di controllo e comando delle guerre del XXI secolo, quelle a costo zero – in termini di vittime – per gli eserciti che le scatenano, e dove restano invisibili i morti, civili e militari, dei paesi che le subiscono.
C’è una cosa che accomuna “Thunderbolt”, “Orion” e “Global Hawk”: la condivisione degli stessi hangar e delle piste di volo. Gli angeli sterminatori della nuova crociata atterrano e decollano da Sigonella, la grande stazione aeronavale USA e NATO che sorge nella piana di Catania, negli ultimi quarant’anni trampolino di lancio degli attacchi contro una miriade di obiettivi planetari. I caccia e i pattugliatori ci stazionano permanentemente. I “falchi globali”, invece, sono al loro esordio bellico nel Mediterraneo: il primo di essi è giunto segretamente a Sigonella solo nell’ottobre dello scorso anno, ma la base è destinata a divenire la “capitale internazionale” di questi UAV utilizzati per lo spionaggio e la direzione degli attacchi, convenzionali e nucleari, contro ogni possibile obiettivo nemico in Europa, Asia ed Africa.
La base siciliana funziona da vero e proprio hub per la movimentazione di uomini, mezzi e sistemi d’arma destinati agli scacchieri di guerra in Africa, Medio oriente e sud-est asiatico. Per il conflitto libico sta offrendo il supporto tecnico-logistico agli aerei a decollo verticale V-22 “Ospreys” agli elicotteri CH-46 “Sea Knight” e CH-53E “Super Stallion” del Corpo dei marines, e alle decine di cacciabombardieri F-15 ed F-16 che l’US Air Force ha trasferito nel Canale di Sicilia.

Scalo di dimensioni più ridotte ma di uguale importanza strategica per la guerra alla Libia è quello di Trapani-Birgi. La riluttanza USA a concedere agli alleati le infrastrutture di Sigonella, unitamente a misteriosi motivi di “sicurezza” addotti dal ministero della difesa italiano, hanno determinato che la “coalizione dei volenterosi” a guida NATO concentrasse nello scalo occidentale buona parte del dispositivo aereo impegnato nelle operazioni anti-Gheddafi. Così, oltre a quattro cacciabombardieri F-18 delle forze armate del Canada, sulla base aerea di Trapani Birgi sono stati fatti confluire i “gioielli” di morte dell’Aeronautica italiana: i cacciabombardieri Eurofigher 2000 e Tornado.

Tutti i velivoli impegnati in quella che è stata denominata “Missione Unified Protector” utilizzano inoltre l’aeroporto dell’isola di Pantelleria, la postazione più avanzata per i raid contro la Libia. L’infrastruttura è dotata di un mega-hangar ricavato all’interno di una collina, capace di ospitare sino ad una cinquantina di aerei da guerra. Grazie ai recenti lavori di ampliamento delle due piste, Pantelleria ha pure assunto un ruolo chiave nelle attività di controllo del Canale di Sicilia da parte dei velivoli delle forze amate italiane destinate al “contenimento” degli sbarchi di migranti.

Ad assicurare le operazioni di rifornimento delle navi da guerra e dei sottomarini statunitensi, italiani e dei paesi partner è la base navale di Augusta (Siracusa), posta in una delle aree a più alto rischio ambientale d’Italia per la presenza di raffinerie, industrie chimiche, depositi di armi, ecc..
Con la guerra alla Libia il via vai delle unità militari si è fatto ancora più intenso ed è sempre meno raro osservare nel golfo le minacciose sagome dei sottomarini nucleari che mettono ancora più a rischio la sicurezza e la salute della popolazione locale, ignara di trovarsi di fronte a mezzi che imbarcano reattori del tutto simili a quelli della famigerata centrale di Chernobyl.
(fonte Antonio Mazzeo)