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Cosa pensa la Chiesa delle ferite di Reggio? Io, cattolico, non lo so

di SAVERIO PAZZANO – Quando non si sa che dire, meglio tacere. L’assunto va sempre bene, nel rischio di inanellare magre figure. E però ci sono momenti in cui si ha il dovere di sapere cosa dire; momenti in cui il silenzio rischia di avere il sapore dell’ignavia. Da cattolico che un po’ sta in giro e un po’ ne vede, mi capita di sentirmi chiedere -e di domandare io stesso- quale sia la posizione della Chiesa reggina in merito allo scioglimento del Comune.

Non lo so. Quale posizione abbia preso in merito alla denuncia di una contiguità che è un problema che interpella, prima che gli amministratori, la coscienza di ogni singolo cittadino. Non lo so. Quale parola abbia speso per le famiglie, i lavoratori, i precari che aspettano salari da mesi, a seguito di una superficiale (solo perché l’aggettivo sciagurata è abusato) gestione del bene pubblico. Non lo so. Quale voce abbia alzato contro un “sistema di peccato” che genera clientela, disoccupazione, paura, sfiducia, divisione, asservimento. Non lo so. Cosa ha detto, al di là di una pilatesca esortazione all’unità e alla legalità. Non lo so. E comunque neanche questo.

Non si tratta di attendere una posizione “ partitica”. Ma politica. E quindi non un giudizio su questa o quell’altra amministrazione, ma di rivelare coraggio nell’attimo in cui una comunità intera ha ricevuto la diagnosi del proprio male e desidera guarire, tutta e insieme, senza distinzioni ideologiche. Ora ogni istituzione -l’abbiamo già scritto- è chiamata a fare più di ciò che pro forma le compete. Ma a Reggio i poteri si legittimano l’un l’altro, non si spiega altrimenti il disastro camuffato sotto un maquillage di perbenismo contiguo.

Mi chiedo quando e come sarà che l’area grigia smetterà di perpetuare sé stessa. Quando e come, se, anche nella realtà cattolica reggina, la risposta continuerà a essere di singoli individui o di sparute associazioni parrocchiali. Ancora una volta: in quale luogo i giovani reggini formano la propria coscienza politica? Ovvero: dove la passione per la bellezza che non ha paura di restare intruppata in beghe di partitelli o negli equilibri della più silenziosa classe dirigente degli ultimi centocinquantanni? Non è teologia, né omiletica spicciola, ma puro spirito di osservazione: benedire la bellezza significa difenderla, anche a costo di risultare sgraditi a qualcuno. Niente di più, niente di meno.

A Reggio continua tutto come prima, come niente fosse. Perché niente è stato. E l’occasione di una città intera di riflettere seriamente sul proprio futuro sarà invece occasione per ripetere geremiadi e accanimenti. Pretesti che valgono migliaia di voti e preparano posti in parlamento. Ma non fanno guadagnare nulla alla città. In situazioni così delicate tacere ha un preciso significato di parte. Anche la mancata esternazione di vicinanza e solidarietà alla amministrazione sciolta può avere un suo senso, ma non è certo da queste cavillose analisi che può venire un cambiamento per Reggio. Pare che qui agisca un calcolo ancora più affidabile di quello gattopardesco. Per non rischiare, qui nulla cambia perché niente cambi.

Non è vano aspettare di sapere cosa pensi la Chiesa reggina di quanto accade in città. Né attendere una voce per le molte, troppe e insopportabili, ferite del territorio. E non con le tante e ottime iniziative di assistenza, ma con parole in grado di creare dibattito, di aggregare, di rompere l’indifferenza. Prima che Reggio si abitui al silenzio e lo consideri d’oro. Silenzio che arricchisce i già ricchi e impoverisce i già poveri. Prima che una città intera, sfiduciata, abbassi la testa e così sia. Nei secoli dei secoli.