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Curare il cuore malato della democrazia rimettendo al centro la persona

La settimana sociale dei cattolici italiani a Trieste

Antonio De Lellis, Rosetta Placido

L’evento che ha visto 1260 delegati provenienti dalle diocesi, dai movimenti ecclesiali, dagli organismi pastorali e dalle emittenti radio e Tv, è stato importante e necessario perché si colloca in un contesto di grandi mutamenti sociali, politici ed economici, nazionali ed internazionali.

Ogni giornata iniziava con la preghiera e la messa,  al mattino presto, presso le varie chiese della città, per poi proseguire con la riflessione biblica in plenaria, presso il centro congressi, allestito all’interno di una vecchia fonderia dismessa e ristrutturata.

A seguire almeno due brevi relazioni, veramente di alto livello, senza dibattito.

Poi i lavori di gruppo, una quarantina, ciascuno formato da una ventina di persone, distinti per comunanza di esperienze, ma che hanno lavorato, come cerchi concentrici, su argomenti e obiettivi comuni a tutti i gruppi.

Questi ampi spazi di tempo dedicati ai lavori di gruppo, sia al mattino che al pomeriggio, sono stati veri e propri momenti di incontro e confronto.

Sono emerse differenti competenze amministrative, professionali e di servizio all’interno della chiesa particolare e dentro il sociale,  che hanno arricchito, come in un mosaico il cuore della democrazia.

L’Obiettivo  sicuramente, segnato da bellissime riflessioni, è stato chiaro e svelato nell’ultimo giorno dal Papa e dal Cardinale Matteo Zuppi: curare il cuore malato della democrazia significa rimettere al centro la persona.

Già il presidente della Repubblica aveva inaugurato le giornate con un discorso di alto profilo che rimetteva al centro della democrazia la partecipazione e denunciando i limiti di una malintesa democrazia della “maggioranza”.

Nelle piazze della città di Trieste stend di varie realtà ecclesiali e di associazioni portatrici di buone pratiche. In piazza anche uno stend per Pax Christi Italia che, grazie all’aiuto di Giorgio Buggiani e Giuliana, Anna e Nunzia Mastropasqua del punti pace di Catania,  di Elisabetta Tofful e Sonia Zuccolotto del punti pace di Gorizia, hanno promosso la nostra associazione e le tematiche di pace e nonviolenza.

C’è stato anche Norberto Julini, coordinatore nazionale di Pax Christi, invitato ad una tavola rotonda su “Pace e cooperazione internazionale”.

Molto importanti anche i dibattiti in città su varie tematiche politiche, sociali ed economiche.

Ed infine concerti, monologhi teatrali e testimonianze dai vari palchi della città, nelle cosiddette piazze della democrazia.

Una organizzazione impeccabile nel complesso, con un piccolo problema legato alla “Applicazione” e al metodo iniziale in quanto guidava passo dopo passo i lavori di gruppo, ma sminuiva la ricchezza della conoscenza e delle esperienze, soprattutto dello scambio delle competenze.

Le realtà rappresentate all’interno del gruppi di lavoro erano  accomunate dalle loro esperienze nel sociale e rappresentavano servizi nell’ambito del reinserimento lavorativo di soggetti fragili, di centri di Ascolto, nel campo della disabilità e di servizi di mutuo aiuto o nelle povertà economiche e affettive.

Le criticità emerse erano legate:

  • alle difficoltà ad interagire con i poveri, con le famiglie, pur protagoniste di percorsi di crescita;
  • ai diritti mancanti di cui, però le stesse persone non sono consapevoli;
  • al lavoro con anziani soli, vittime del Digital divide per accedere ai servizi sanitari.

Sullo sfondo la necessità per la chiesa locale di interagire sempre di più con le istituzioni e gli Enti del terzo settore. Fare squadra, rete e metterci la faccia sembra un imperativo indispensabile.

Tra le persone coinvolte nel servizio anche quelle ai malati di AIDS e ai tossicodipendenti.

Sullo sfondo la costruzione faticosa di una Welfare comunitario con un nuovo protagonismo dei destinatari, ma al sud le realtà sono caratterizzate anche dalla alleanza tra massoneria deviata e criminalità organizzata che genera povertà, schiavitù e  impoverimento con il 40% delle imprese usurate in alcune zone della Calabria.

I fragili rischiano di non curarsi, di non lavorare e di conseguenza di non partecipare.

La vera sfida, come chiesa, è la formazione all’interno di un cambio di paradigma.

Sono emerse proposte interessanti come quella delle “quote bianche”, che al pari delle “quote rosa”, garantiscano la presenza, a tutti i livelli istituzionali ed ecclesiali, e la partecipazione alla vita sociale e politica dei soggetti fragili (immigrati, disabili, detenuti, dipendenti, anziani e in generale delle persone povere).

Particolarmente limitato l’esperimento di uno degli eventi nelle piazze della città, su “Economia civile: un nuovo modello di sviluppo”. Sono emerse, pur all’interno di un generalizzato dolore sociale, testimonianze di una Agricoltura rigenerativa, di una edilizia come possibile impresa benefit e il desiderio di una felicità sociale. E’ stato messo in rilievo il passaggio generazionale mondiale che sarà completato quando avremo 300 trilioni di risparmi che passeranno alle giovani generazioni, le quali avranno altre modalità di investimento più orientate agli investimenti green ed etici. Questo potrà determinare  un passaggio da una finanza speculativa ad una finanza etica? La risposta è rimasta vaga e soprattutto non sono stati indicati percorsi per il superamento del capitalismo, che pure i giovani di Economy of Francesco, rappresentati all’evento, avevano posto.

Tra gli eventi più significativi quello su “Pace in costruzione: dal disarmo alla riconciliazione”, con interventi di Alessandra Morelli, Nello Scavo, Patrizia Giunti, i quali partendo dal pensiero di La Pira lo attualizzavano alla drammatica situazione internazionale.

Sicuramente problemi di leadership, ma anche sconvolgenti risoluzioni della UE, che stabiliscono aiuti militari all’Ucraina, senza alcuna menzione agli sforzi diplomatici per la pace e il dialogo. Nemmeno un contenuto di auspicio, tutti gli emendamenti in tal senso sono stati bocciati. Da segnalare ulteriore fatto senza precedenti: il parlamento danese a fine febbraio 2023 abolisce l’importante giornata nazionale per la preghiera allo scopo di destinare le somme risparmiate alle spese militari. I segnali negativi sono tanti, ma questi sono particolarmente indicativi.

I concetti importanti espressi:

  • la Pace ostaggio del potere e della prevaricazione;
  • la Pace come zone di umanizzazione dense di cura;
  • le guerre cancellano il volto;
  • necessità di creare spazi dell’incontro, stando nelle periferie ove è possibile ascoltare il grido di dolore;
  • generare incontro delle paure;
  • lavorare con i rifugiati.

Se possiamo bombardare le scuole e gli ospedali, allora abbiamo sancito il principio all’impunità della violenza.  Abbiamo isolato la parola pace. Abbiamo affidato la soluzione dei nostri problemi alle armi e ai reimbarchi.

Oggi le guerre durano 30 anni perché occorre considerare le conseguenze degli sradicamenti.

Occorre gestire il conflitto. Le guerra al cosiddetto “terrorismo” cancellano i villaggi, costringono le persone a migrare. E’ fondamentale il valore umano del riconoscersi fratelli. Accoglienza è vista come togliere qualcosa da me, mentre l’accoglienza è superare la paura e generare dialogo tra soggetti che costruiscono la pace.

In questo è fondamentale il ruolo delle donne. L’identità femminile può contribuire. Il mondo ha bisogno di guardare alle donne per costruire la pace. La risorsa femminile è in grado di placare le vendette perché le donne sanno generare e aprire spazi, gestire l’incognita e promuovere creatività.

L’educazione è un salvavita, è atto dell’umano e promuove l’economia della cura.

Occorre educare all’umanità invece di criminalizzare la solidarietà.

La solidarietà è la postura della pace.

Abbiamo dimenticato o sostituito le parole del vivere civile con “sostituzione etnica” e  “carico residuale”. Oggi i ragazzi non schierati dalla parte della violenza vengono bullizzati.

Camminare insieme è superare la marginalizzazione.

Altro tema proposto: nel cuore dei conflitti quale informazione? Come apprestarci a non intrappolare la pace? Trovarsi a Trieste non è casuale. E’ l’unico capoluogo sul Mare e cerniera con l’oriente. E qui è forte il tema dei profughi di guerre che in questa città giungono e sostano: al mondo sono 100 milioni, 16 milioni sono solo quelli determinati dal conflitto in Ucraina. Gli altri da dove arrivano?

Occorre rendere conto della speranza!

La missione di mons. Matteo Zuppi ha aperto strade per far rilasciare bambini e religiosi. E’ stato come rispondere alla guerra con un abbraccio di pace.

In tutto questo la democrazia può cambiare attraverso la parola.

Di fronte a problemi grandi e complessi qualcuno ha creato il caos per poi gestirlo con la violenza e la crudeltà. Ecco perché occorre entrare nelle contraddizioni.

Per questo il pensiero di La Pira può esserci utile. Ecco alcuni principi fondamentali:

  • diritti umani fondamentali sono il sale della democrazie;
  • il sale  da sapore, ma serve anche per cicatrizzare le ferite;
  • la guerra non finisce con la fine dei combattimenti.

In questa economia di guerra ci guadagnano non solo i produttori di armi, ma anche i trafficanti di droga.

Se pensiamo alle guerre che stiamo seguendo potremmo non avere pace per i prossimi 50 anni, e averla anche in Italia.

Altri concetti espressi in maniera appassionata che come pennellate fosche, aprono squarci di luce:

  • le guerre potrebbero finire domani, ma l’odio no;
  • l’ordine è diventato disordine;
  • dopo la caduta del muro di Berlino si è creata un nuovo disordine mondiale;
  • c’è la necessità di chiedersi cosa è accaduto prima del 24 febbraio 2022;
  • il problema principale è  lo spaesamento a valle e a monte;
  • osserviamo che il messaggio di pace richiede tempo e pertanto sembra impossibile tanto le tecnologie ci hanno abituato alla velocità dei risultati;
  • i tempi dell’uomo hanno bisogno di una radicazione;
  • il gesto di pace ha bisogno di tempo e non possiamo giudicare in base ai risultati immediati;
  • la nostra società ammette la croce degli altri, ma ha paura della propria.

Da dove ripartire? Secondo La Pira, dalla Costituzione e segnatamente dagli articoli 2 , 7 e 11. Ripartiamo dai doveri e dai diritti fondamentali. Perché se da una parte posso esigere uguaglianza, qualcuno, dall’altra parte, deve rispettare la mia uguaglianza. I primi 12 articoli della costituzione, a guardarli bene, non sono altro che doveri.

Ed eccone alcuni:

  • devo tornare a ripudiare la guerra;
  • non deleghiamo la pace ad altri, tocca a noi all’interno del  paradigma della cura;
  • homo economicus lasci spazio alla homo reciprocus;
  • bisogna parlare tra le parti;
  • incontriamoci e generiamo spazi di incontro;
  • usiamo parole che curano;
  • riconoscersi nel campo dell’umano.

In tutto questo prendere spunto dai gesti di cura di Gesù.

Neanche noi siamo riusciti, come cristiani, a fare pace fino in fondo; è il momento di offrire al mondo questo gesto che completi il percorso difficile già iniziato.

L’obiettivo per tutti è uscire dal sistema guerra, costruendo la terzietà e sancire il primato alla neutralità, per produrre giustizia ripartiva.

Dobbiamo essere noi gli artigiani di pace all’interno del paradigma della cura.

Le conclusioni della settimana sociale di Trieste penso possano essere racchiuse in tre interventi che però non dicono l’ultima parola, che spetta al comitato scientifico che entro settembre redigerà un documento finale.

Nelle relazioni, durante l’ultima giornata dei lavori, sembrava emergere un itinerario tracciato dal prof. Filippo Pizzolato dell’università di Padova che riassumo perché autenticamente pedagogico.

 Al cuore della democrazia il metodo per:

  1. contribuire tutti e tutte;
  2. ascoltare che è come abbottonare lo stesso abito democratico;
  3. tessere insieme;
  4. proporre un metodo del consenso che non spacchi, ma che è allenamento;
  5. accompagnare i percorsi di partecipazione.

La partecipazione si impara facendola attraverso i luoghi, la cura dei beni comuni, la discussione politica, che è gestione dei conflitti, attraverso le buone pratiche e promuovendo luoghi e spazi di confronto e discernimento per passare dal patteggiare al partecipare.

Mons. Zuppi è stato chiaro: La guerra è la cancellazione del socialità. Come cristiani siamo dalla parte della persona. E’ essere parte di una identità comune.

La democrazia, dice il Papa, non gode di buona salute, perché il cuore è infartuato, ma può essere disarmato e curato affinché la fraternità, che è il pensarsi come popolo, possa risanarlo e sognare un futuro collettivo. Non bisogna curare solo gli effetti, ma affrontare le cause. Il politico deve avere il fiuto del popolo, trovarsi davanti per guidarlo, nel mezzo per conoscerlo, e dietro per spronarlo. Occorre organizzare la speranza. Il tempo, che avvia processi e percorsi, è più importante dello spazio, che è assumere ruoli, amministrare il presente, ma non costruire futuro. La prossima settimana sociale potrebbe essere, secondo un auspicio di quanti hanno partecipato all’arena 2024, il risultato di una contaminazione reciproca delle due metodologie seguite a Trieste e a Verona. Parafrasando Alessandro Manzoni potremmo dire che, dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, potrebbe essere proprio di una chiesa che si accompagna ai movimenti popolari per aprirsi e condividere  il sogno di una umanità rinnovata che sogna la pace, che costruisce la pace e che vive in pace.