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II e III parte del documento della Rete sinodale nazionale “Uscire dal sistema di guerra”

Mandiamo la seconda e terza parte del documento elaborato dalla Rete nazionale sinodale, inviato ai vescovi per il Sinodo, intitolato “Uscire dal sistema di guerra. La nonviolenza in azione per pace, giustizia e cura della casa comune”. La prima prospettava sei “uscite” sul tema della pace-disarmo.  Ora si possono leggere operativamente  le altre “uscite” sui temi della giustizia e della casa comune. La terza parte è intitolata Chiamata alla pace (s.p.).  

PER LA GIUSTIZIA

7. Uscire dal precariato e dalle discriminazioni, anche di genere

Nei rapporti di lavoro, di qualunque natura, stabiliti con chiunque, diocesi, parrocchie, istituti religiosi, associazioni e imprese di ispirazione religiosa devono rispettare tutte le norme sul lavoro e sulla prevenzione degli infortuni, uscire dalla precarizzazione del lavoro con regolari contratti, anche per le collaboratrici e i collaboratori. Devono in particolar modo assicurare la dignità di lavoratori e lavoratrici, la libertà di pensiero e di espressione, i principi di non discriminazione (genere, nazionalità, religione). Particolare attenzione sia data alle lavoratrici madri. Si faccia la Chiesa italiana promotrice al proprio interno di un sistema di lavoro e di sicurezza sociale realmente di giustizia.

8- Uscire dal sistema della violenza e degli abusi sessuali

La violenza, le molestie e gli abusi sessuali contro chiunque, non solo contro le donne e i minori, e da chiunque perpetrati nell’ambito di realtà comunque affidate ad autorità religiose non devono essere in alcun modo tollerati. La denuncia, la collaborazione attiva per assicurare giustizia alle vittime, la prevenzione della violenza e degli abusi devono diventare una priorità assoluta.

Si sottolinea in particolar modo la necessità della prevenzione, uscendo senza esitazioni da una cultura, da un linguaggio, da una narrazione di carattere sessuofobico che ledono la dignità e l’integrità delle persone. La formazione e la creazione di ambiti e stili di vita non discriminanti sul piano del genere e dell’orientamento sessuale costituiscono percorsi necessari e urgenti.

9. Uscire dai sistemi discriminanti secondo il genere e l’orientamento sessuale

L’uguaglianza e la pari dignità delle persone siano finalmente assunti come riferimento per le attività, gli stili di vita, le elaborazioni teoriche. Un’attenzione fondamentale sia data alle famiglie, a tutte le famiglie comunque fondate sull’amore, sul rispetto e la dignità di tutte le persone che la compongono. Non si pongano in essere pensieri, atti e culture che discriminano i minori in funzione delle famiglie in cui sono accuditi e vivono.

10. Uscire dal sistema degli scarti di religiosi e religiose che hanno abbandonato

L’accoglienza venga sempre assicurata a coloro, presbiteri, religiosi e religiose, che per i motivi più diversi hanno lasciato il ministero o la congregazione ma non la fede. Si esca dal sistema di norme ecclesiali che ledono il senso di dignità e l’accoglienza che il messaggio evangelico assicura a tutti e a tutte. Si tenga conto delle loro difficoltà esistenziali ed economiche. La Chiesa non può più predicare l’accoglienza verso l’esterno, se non è in primo luogo accogliente verso i suoi stessi membri, anche quelli che l’hanno lasciata. In primo luogo non si tagli fuori dalle relazioni ecclesiali chi è in uscita, ignorando totalmente il suo percorso e la sua attività a servizio del popolo di Dio. L’accompagnamento, il sostentamento di chi ha lasciato non venga affidato unicamente alla discrezionalità dei vescovi. Il patrimonio di studi, di esperienza e di servizio sia riconosciuto anche socialmente ed economicamente. Si sottolinea in modo particolare la particolare criticità delle persone di nazionalità straniera che in caso di uscita si trovano ad affrontare difficoltà ancora maggiori. La Chiesa non può essere all’origine di scarti umani.

11. Uscire dal clericalismo

Alla luce dell’esperienza di tante comunità cristiane, la figura del “sacerdote”, cioè del presbitero, va ripensata alla luce dei bisogni spirituali delle comunità cristiane. Non di autorità, ma di figure di esperienze e di accompagnamento hanno bisogno queste comunità. Il clericalismo che affida “potere” alla figura del “sacerdote” va superato con figure al servizio delle comunità scelte senza discriminazione di genere e di orientamento sessuale.

LA CURA DELLA CASA COMUNE

12. Uscire da attività non sostenibili per l’ambiente

Diocesi, parrocchie, istituti religiosi, associazioni e imprese di ispirazione religiosa devono rispettare la Casa comune nello svolgere le proprie attività di qualunque natura. Ciò non vale solo per le attività produttive, si pensi in generale ai trasporti (quali mezzi vengono usati relativamente all’emissione di CO2?), alle produzione e gestione dei rifiuti, alle energie utilizzate e ai loro consumi, ai prodotti chimici utilizzati per i terreni coltivabili.

13. Uscire dal consumo dei suoli e dall’abbandono dei terreni coltivabili

Le diverse entità religiose considerino attentamente il consumo dei suoli, di nuovi terreni, poiché altera l’equilibrio climatico e ambientale. Si valorizzino il più possibile gli edifici esistenti. Il patrimonio immobiliare delle diverse entità religiose sia gestito e mantenuto con criteri sostenibili per l’ambiente.Diverse proprietà delle entità religiose comprendono terreni coltivabili. La diminuzione delle vocazioni e del personale si traduce nella difficoltà di continuare a coltivare terreni agricoli. In alternativa alla vendita ad entità con scopro di lucro si promuovano forme comunitarie e cooperative di coltivazione dei terreni agricoli, con particolare attenzione a metodi sostenibili.

14. Uscire dalla dismissione commerciale del patrimonio immobiliare

Per far fronte a difficoltà economiche, talune entità religiose ricorrono all’alienazione di un patrimonio immobiliare costituito nel tempo grazie alla generosità delle comunità di credenti. Questi immobili, talvolta di pregio, siano sottratti alla speculazione del mercato e trovino opportune destinazioni, sostenibili per l’ambiente e la società, attraverso il coinvolgimento della comunità. Si pensi in particolare alla destinazione per uso sociale, ricreativo, culturale. Si pensi, per gli edifici destinati al culto, ai bisogni di comunità religiose non cattoliche, a spazi ecumenici e interreligiosi.

15. Uscire dal dominio patriarcale e predatorio sui corpi, sulle coscienze e sui beni comuni

La conversione alla nonviolenza trasforma la politica come cura delle relazioni. Per attuarla occorre un impegno coerente per la trasformazione del “maschile”, indispensabile per una nuova civiltà delle relazioni contraria alla competizione per il potere e per l’accaparramento delle ricchezze, al dominio escludente e predatorio su corpi, coscienze e beni comuni. Tutto questo è “il creato”, composto da esseri viventi e da tutti e tutte noi, esseri umani. Giustizia e pace sono, devono essere, le forme del nostro prendercene cura.

Questa pratica ci può mettere in rete con tutti e tutte coloro che la sentono come proprio dovere umano, con realtà come l’Associazione Laudato sì, con le Comunità Laudato sì, con tante altre e con i movimenti giovanili per il clima. In particolare, riteniamo importante aderire, ognuno con la sua identità e con ampia varietà di apporti, al progetto PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA che sembra raccordare i temi di cui ci stiamo occupando: nonviolenza attiva, obiezione di coscienza, gestione nonviolenta dei conflitti, disarmo nucleare e tradizionale, riconversione dell’industria bellica, superamento dei cappellani militari e di vecchie e nuove pratiche patriarcali. Per questo è necessario fare rete a livello globale, cominciando dal Sinodo nazionale e da quello mondiale, dal contributo di tutte le chiese e di tutte le religioni.

CHIAMATA ALLA PACE

La pace va preparata, curata, sperimentata, organizzata. Davanti alla guerra in Ucraina oggi i credenti in Italia sembrano più attivi sui temi della pace ma riteniamo necessario esprimere alcune preoccupazioni.

Salvo eccezioni, la pace è collocata nel registro dell’edificazione personale, della tranquillità interiore o dell’esortazione generica. Non in quello della conversione al cuore del Vangelo e alla nonviolenza come forza profonda della nostra inedita umanità. Nelle conversazioni sinodali, purtroppo, la pace è ai margini. Nonostante un grande magistero pontificio, sviluppatosi nell’arco dell’ultimo secolo, fino a papa Francesco, e tante  testimonianze di operatrici e operatori di pace, molti credenti con i loro pastori sembrano incerti o distratti, forse indirettamente complici del sistema violento, o pronti a delegare il tema al papa. A livello istituzionale non esiste, ad esempio, un pronunciamento episcopale solenne contro le armi nucleari o contro il riarmo in atto, mentre l’ultimo documento dei vescovi italiani sulla pace risale al 1998 (Nota pastorale Educare alla pace). L’ecumenismo istituzionale sembra ancora impaurito, legato a logiche nazionalistiche e a vecchie teologie sulla “guerra giusta”. Sfugge la stretta connessione tra guerre, ingiustizia socio-economica e devastazione del pianeta.

La forza della nonviolenza

Davanti alla corsa mondiale agli armamenti, alle culture del nemico, alla crescita delle ingiustizie e alla distruzione ambientale, riteniamo necessario assumere la forza della nonviolenza come “bussola strategica” del nostro comportamento. E’ il programma delle BeatitudiniE’ la vita di Gesù Cristo che, schiaffeggiato, chiede conto del male ricevuto, denuncia ciò che è ingiusto, cerca di vincere il male col bene donando se stesso. Gesù praticava e predicava la politica delle relazioni, della solidarietà, della condivisione. Il messaggio dell’ultima cena è proprio l’invito a fare come lui, a spezzare il nostro corpo, la nostra vita, per condividerla con chi ha bisogno di gesti di solidarietà e di amore, di giustizia e di pace. La nonviolenza è una forza inclusiva e conviviale. E’ una forza storica sperimentata in molte occasioni e che ha prodotto più trasformazioni positive della forza armata (cfr. la bibliografia sulle lotte nonviolente del Centro Sereno Regis). Riteniamo necessario testimoniarla con attività di formazione, pratiche di riconciliazione, iniziative di gestione dei conflitti e di difesa nonviolenta, azioni di giustizia e di verità, atti d’amore.

Con questo spirito partecipiamo in vari modi al percorso sinodale fiduciosi nella possibilità di maturare come Chiesa un orientamento disarmante, un pensiero nonviolento, una pedagogia conviviale, pratiche di riconciliazione con la forza della verità, con la fame-sete di giustizia, con la passione della libertà e con il potere dell’amore. Per questo, alimentati da un’intensa preghiera, chiediamo allo Spirito di illuminare le menti, riscaldare i cuori, dare forza alle mani e di aiutarci a risuscitare un’alba di speranza.