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Uscire dal sistema di guerra

Di seguito la prima parte del lungo documento sui temi della pace, della giustizia e della cura della casa comune, redatto da uno dei cantieri della Rete sinodale nazionale, di cui facciamo parte, e che raccoglie trenta associazioni e gruppi. La seconda parte riguarderà le proposte di “uscita” per quanto riguarda la giustizia e la cura della casa comune. I testi della Rete (questo è il quarto, dopo gli altri su credenti Lgbt, ecumenismo e il ruolo delle donne nella Chiesa, pubblicate anche dall’agenzia “Adista”) vengono inviati alla segreteria nazionale del Sinodo dei vescovi e alle associazioni che intendiamo coinvolgere. Su questi testi Pax Christi promuoverà uno o più  incontri durante il lungo cammino sinodale che ora sta entrando nella fase “sapienziale” (s.p.). 

Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati

Beati i miti perché erediteranno la terra (Mt. 5, 9.6.5.)

La nonviolenza in azione per pace, giustizia e cura della casa comune

Pace, giustizia e cura della casa comune: sono i beni universali e i grandi obiettivi del movimento ecumenico e interreligioso dal Concilio Vaticano II all’Assemblea di Basilea (1989), dalla Carta ecumenica di Strasburgo (2001) alle iniziative del Consiglio Ecumenico delle Chiese, dai movimenti per “un altro mondo è possibile” a quelli per il futuro della terra, dagli incontri interreligiosi di Assisi (dal 1986) al documento di Abu Dhabi (2019). Molti ci hanno preceduto in questa strada cercando di invertire la direzione di una storia carica di orrori e divisioni ma anche di “sogni diurni” e di speranze. A loro va la nostra gratitudine e il nostro operante pensiero. Ma c’è da assumere “un compito immenso e nobilissimo”, come ha detto Giovanni XXIII nella Pacem in terris (87) da cui, a sessant’anni dalla pubblicazione, papa Francesco propone di ripartire attuando i quattro pilastri della nonviolenza: la forza della verità, la fame di giustizia, l’impegno per la liberazione, il potere dell’amore (9 gennaio 2023). Per questo occorre cambiare paradigma antropologico ed etico, culturale e sociale, economico e politico, teologico ed ecclesiale.Come è possibile essere credibili, come credenti e come cittadini e cittadine, in un mondo ferito, ingiusto e degradato? Come è possibile rendere credibile l’annuncio della nonviolenza evangelica? Com’è possibile oggi, nel pieno di un terribile dramma ecumenico, testimoniare la fede in Cristo “nostra pace” (Ef 2)?. Cosa vuol dire costruire comunità disarmate e disarmanti?. Cosa vuol dire diventare una Chiesa in uscita? 

Proponiamo alcune scelte operative di uscita

La Rete associativa che sta accompagnando il percorso sinodale dei vescovi italiani e di tutta la Chiesa ritiene necessario tradurre la riflessione teorica in alcune scelte operative. Ne elenchiamo quindici.

per la Pace

Uscire da una formazione che ignora la pace e la nonviolenza

Nei seminari, nelle Facoltà di Teologia, nella preparazione dei presbiteri, delle religiose e dei religiosi, in ogni luogo di formazione il tema della pace e della nonviolenza sia messo al centro dell’insegnamento, aperto non solo al messaggio del Vangelo, ma al pensiero e alla pratica dei profeti e delle profetesse della nonviolenza, alle vicende contemporanee, alle esperienze dei movimenti e della società civile in Italia e nel mondo.

Ai catechisti e alle catechiste, ai presbiteri, ai vescovi, a tutti e a tutte proponiamo di sviluppare i momenti ecclesiali e celebrativi, nonché gli itinerari educativi e gli strumenti pedagogici, per condurre ragazzi e ragazze, giovani e adulti, gruppi e famiglie alla maturazione di una coscienza nonviolenta, attiva e creativa, poliedrica e inclusiva.

Uscire da una teologia ripiegata nel privato

A sessant’anni dalla Pacem in terris, nonostante qualche eccezione, non si è realizzato un salto in avanti sul piano teologico del valore della pace alla luce del Vangelo e della vita di Gesù nonviolento. La pace è stata presentata come capitolo della morale personale, non come sostanza e cuore dell’annuncio cristiano. Il discorso non è settoriale. In tale contesto, occorre rinnovare e trasformare tutta la teologia riflettendo sulla possibilità di “una teologia dal volto pubblico” attenta a cogliere i segni dei tempi, ad esercitare lo spirito critico, ad aprire e gestire i conflitti, ad assumere le sfide dell’umanità, a immaginare un futuro ospitale, giusto e nonviolento. La teologia femminista si è rivelata, al riguardo, adatta a rileggere in modo diverso e ampio i testi biblici, a scoprire il ruolo delle donne, a evidenziare i meccanismi palesi od occulti dei dispositivi del potere patriarcale.

Le Facoltà teologiche, le agenzie formative, i seminari, le scuole e le università devono mettersi nelle condizioni di elaborare una nuova teologia. Se il sapere teologico pone al centro la pace del Vangelo, potrà scoprire il valore fecondo del principio e del metodo della nonviolenza capace di promuovere relazioni conviviali.

Uscire da una pastorale paternalista

E’ bene ricordare che nella Chiesa siamo uguali, differenti, conviviali e che è necessario attraversare e gestire in conflitti per maturare assieme una “comunione nelle differenze” (Evangelii gaudium 230). Riteniamo, quindi, necessario accompagnare la riforma delle strutture ecclesiali e le numerose azioni per il disarmo, la giustizia e la cura del creato con percorsi di educazione ai conflitti e a pratiche di riconciliazione, studiando e preparando programmi ecclesiali(diocesani, parrocchiali e territoriali) che facciano della pace nonviolenta la sostanza della pastorale ordinaria e della vita comune. Per integrare la nonviolenza evangelica nella vita ecclesiale, diventa necessario una costante e fresca “parresia” per superare ogni ideologia discriminatoria ed escludente. In tale contesto, sembra significativa l’ipotesi di esplorare forme stanziali o itineranti, singole o a coppie, di “diaconia per la pace” come ministero per il disarmo delle menti, dei cuori e dei territori, da attuare in vari ambiti: celebrativi, oranti, festanti, educativi, testimoniali, esperienziali.

Uscire dalla corsa al riarmo e dal possesso delle armi nucleari

E’ l’ora di una mobilitazione grande e multiforme per il disarmo. Non esistono pronunciamenti ufficiali delle Chiese cristiane contro le politiche di riarmo del proprio paese o a favore delTrattato per l’abolizione delle armi nucleari,approvato dall’ONUnel 2017 e ratificato da una sessantina di paesi all’inizio del 2022. Vari paesi europei, Italia compresa, non solo non hanno aderito al Trattato ma si apprestano ad “aggiornare” le armi nucleari presenti nei loro territori. In Italia esistono circa 60 armi nucleari (B 61) dislocate a Ghedi e Aviano che stanno potenziando le loro strutture per ospitare i cacciabombardieri F-35 (ognuno dal costo di almeno 155 milioni di euro) in grado di trasportare nuovi ordigni atomici più potenti (B 61-12).

I credenti, coerenti con il Vangelo della pace, devono intervenire pubblicamente a tutto campo perbloccare la corsa alle guerre e la distruzione del pianeta, opponendosi sia all’uso che al possesso delle armi nucleari. Per amore della vita, della famiglia umana, della madre terra, del cosmo intero, attenti alle aspirazioni più elementari delle persone e dei popoli, occorre fermare questo macabro regresso di umanitàe sostenere una mobilitazione antinucleare che porti almeno ad aderire al Trattato delle Nazioni Unite.Uscire dal sistema delle banche armateLa CEI, le diocesi, le parrocchie, gli Istituti religiosi, le associazioni di fedeli riconosciuti e i singoli e le singole credenti escano dai rapporti con banche, istituti di credito e dal sistema finanziario in generale che finanziano o comunque sostengono, anche mediante partecipazioni azionarie, industrie, società di ricerca, di produzione e di commercializzazione di armi di qualunque tipo e di sistemi d’arma. Non accettino sponsorizzazioni da questi gruppi economici e di ricerca. E’ importante sostenere la Campagna promossa dalle tre riviste Missione Oggi, Nigrizia e Mosaico di pace. Si può vedere, al riguardo, il sito apposito.

Uscire dal sistema dei cappellani militari

L’assistenza spirituale al personale militare può essere assicurata da cappellani “senza stellette” non inquadrati nelle Forze armate.   Lumen gentium 1: “La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. Gaudium et spes 76: “La Chiesa si serve delle cose temporali nella misura che la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni”. Al Convegno della Chiesa italiana di Firenze (novembre 2015), papa Francesco dichiara: “non dobbiamo essere ossessionati dal ‘potere’ anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso”.

La “terza guerra mondiale a pezzi” dentro il sistema gigantesco di ingiustizia e di complicità ci spinge a vedere gli strumenti bellici e le ipotesi di guerra “con una mentalità completamente nuova” (Gaudium et spes 80) anche in ambito ecclesiale tanto più che il Concilio invita i sacerdoti presenti tra i soldati a operare in ambito diocesano (Christus dominus 43)Il venerabile Tonino Bello, intervistato da “Panorama” il 28 giugno 1992 sui costi economici relativi all’integrazione organica dei sacerdoti nelle strutture militari, si dichiarava sensibile soprattutto ai costi relativi alla credibilità evangelica ed ecclesiale. Per lui, e per noi, è necessario mantenere un servizio “pastorale” distinto dal ruolo militare. “Accade già nelle carceri”, osservava: “non si vede per quale motivo non potrebbe accadere anche nelle forze armate. Cappellani sì, militari no”. E’ arrivata l’ora di una testimonianza evangelica limpida e radicale per superare la presenza strutturata dei sacerdoti nell’esercito, con il gesto unilaterale di uscita dall’attuale sistema dei cappellani militari. 

(continua)