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La pace è disarmo e giustizia, riconciliazione e fraternità

Dal 31 gennaio al 5 febbraio il papa si è recato nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan in “pellegrinaggio ecumenico di pace” assieme a esponenti della Chiesa anglicana e prebiteriana. Di seguito vengono brani legati al tema pace-disarmo- riconciliazione, ricavati da numerosi incontri e costellati da tanti basta e mai più. Durante il volo di ritorno ribadisce che le armi costituiscono la “peste più grande”, “un fenomeno diabolico”. E’ bene informare anche che è uscita una raccolta di testi del papa con il titolo Conquista la pace, Il Pozzo di Giacobbe, 2023 (s.p.)


Giù le mani dall’Africa

E’ tragico che questi luoghi, e più in generale il Continente africano, soffrano ancora varie forme di sfruttamento. C’è quel motto che esce dall’inconscio di tante culture e tanta gente: “L’Africa va sfruttata”, questo è terribile! Dopo quello politico, si è scatenato infatti un “colonialismo economico”, altrettanto schiavizzante. Così questo Paese, ampiamente depredato, non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono “straniero” ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati. È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca. Ma questo Paese e questo Continente meritano di essere rispettati e ascoltati, meritano spazio e attenzione: giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. L’Africa sia protagonista del suo destino! Il mondo faccia memoria dei disastri compiuti lungo i secoli a danno delle popolazioni locali e non dimentichi questo Paese e questo Continente. L’Africa, sorriso e speranza del mondo, conti di più: se ne parli maggiormente, abbia più peso e rappresentanza tra le Nazioni!


Non possiamo abituarci al sangue versato

Si faccia largo una diplomazia dell’uomo per l’uomo, dei popoli per i popoli, dove al centro non vi siano il controllo delle aree e delle risorse, le mire di espansione e l’aumento dei profitti, ma le opportunità di crescita della gente. Guardando a questo popolo, si ha l’impressione che la Comunità internazionale si sia quasi rassegnata alla violenza che lo divora. Non possiamo abituarci al sangue che in questo Paese scorre ormai da decenni, mietendo milioni di morti all’insaputa di tanti. Si conosca quanto qui accade. I processi di pace in corso, che incoraggio con tutte le forze, siano sostenuti coi fatti e gli impegni siano mantenuti. Grazie a Dio non manca chi contribuisce al bene della popolazione locale e a un reale sviluppo attraverso progetti efficaci: non interventi di mero assistenzialismo, ma piani volti a una crescita integrale. Esprimo tanta gratitudine ai Paesi e alle organizzazioni che forniscono aiuti sostanziali in tal senso, favorendo la lotta alla povertà e alle malattie, sostenendo lo stato di diritto, promuovendo il rispetto dei diritti umani. Esprimo l’auspicio che possano continuare a svolgere pienamente e coraggiosamente questo nobile ruolo….

Le vostre lacrime sono le mie lacrime. Basta col silenzio delle stragi dimenticate

Grazie per il coraggio di queste testimonianze [dell’Est del Congo]. Davanti alla violenza disumana che avete visto con i vostri occhi e provato sulla vostra pelle si resta scioccati. C’è solo da piangere, senza parole, rimanendo in silenzio. Bunia, Beni-Butembo, Goma, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira, luoghi che i media internazionali non menzionano quasi mai: qui e altrove tanti fratelli e sorelle nostri, figli della stessa umanità, vengono presi in ostaggio dall’arbitrarietà del più forte, da chi tiene in mano le armi più potenti, armi che continuano a circolare. Il mio cuore è oggi nell’Est di questo immenso Paese, che non avrà pace finché essa non sarà raggiunta lì, nella sua parte orientale.  A voi, cari abitanti dell’Est, voglio dire: vi sono vicino. Le vostre lacrime sono le mie lacrime, il vostro dolore è il mio dolore. A ogni famiglia in lutto o sfollata a causa di villaggi bruciati e altri crimini di guerra, ai sopravvissuti alle violenze sessuali, a ogni bambino e adulto ferito, dico: sono con voi,vorrei portarvi la carezza di Dio. Il suo sguardo tenero e compassionevole si posa su di voi. Mentre i violenti vi trattano come oggetti, il Padre che è nei cieli vede la vostra dignità e dice a ciascuno di voi: «Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e ti amo» (Is 43,4). Fratelli e sorelle, la Chiesa è e sarà sempre dalla vostra parte. Dio vi ama, non si è scordato di voi, ma pure gli uomini si ricordino di voi!

È in nome suo che, insieme alle vittime e a chi s’impegna per la pace, la giustizia e la fraternità, condanno le violenze armate, i massacri, gli stupri, la distruzione e l’occupazione di villaggi, il saccheggio di campi e di bestiame che continuano a essere perpetrati nella Repubblica Democratica del Congo. E pure il sanguinoso, illegale sfruttamento della ricchezza di questo Paese, così come i tentativi di frammentarlo per poterlo gestire. Riempie di sdegno sapere che l’insicurezza, la violenza e la guerra che tragicamente colpiscono tanta gente sono vergognosamente alimentate non solo da forze esterne, ma anche dall’interno, per trarne interessi e vantaggi….Padre, abbi pietà di noi. Consola le vittime e coloro che soffrono. Converti i cuori di chi compie crudeli atrocità, che gettano infamia sull’umanità intera! E apri gli occhi a coloro che li chiudono o si girano dall’altra parte davanti a questi abomini.

Basta con la violenza in nome di un falso dio

Si tratta di conflitti che costringono milioni di persone a lasciare le proprie case, provocano gravissime violazioni dei diritti umani, disintegrano il tessuto socio-economico, causano ferite difficili da rimarginare. Sono lotte di parte in cui si intrecciano dinamiche etniche, territoriali e di gruppo; conflitti che hanno a che fare con la proprietà terriera, con l’assenza o la debolezza delle istituzioni, odi in cui si infiltra la blasfemia della violenza in nome di un falso dio. Ma è, soprattutto, la guerra scatenata da un’insaziabile avidità di materie prime e di denaro, che alimenta un’economia armata, la quale esige instabilità e corruzione. Che scandalo e che ipocrisia: la gente viene violentata e uccisa mentre gli affari che provocano violenze e morte continuano a prosperare!

Rivolgo un vibrante appello a tutte le persone, a tutte le entità, interne ed esterne, che tirano i fili della guerra nella Repubblica Democratica del Congo, depredandola, flagellandola e destabilizzandola. Vi arricchite attraverso lo sfruttamento illegale dei beni di questo Paese e il cruento sacrificio di vittime innocenti. Ascoltate il grido del loro sangue (cfr Gen 4,10), prestate orecchio alla voce di Dio, che vi chiama alla conversione, e a quella della vostra coscienza: fate tacere le armi, mettete fine alla guerra. Basta! Basta arricchirsi sulla pelle dei più deboli, basta arricchirsi con risorse e soldi sporchi di sangue!

No alla violenza e alla rassegnazione

Cari fratelli e sorelle, e noi che cosa possiamo fare? Da dove cominciare? Come agire per promuovere la pace? Vorrei umilmente proporvi di ripartire da due “no” e da due “sì”.  Anzitutto no alla violenza, sempre e comunque, senza “se” e senza “ma”.No alla violenza! Amare la propria gente non significa nutrire odio nei riguardi degli altri. Anzi, voler bene al proprio Paese significa rifiutare di lasciarsi coinvolgere da quanti incitano a ricorrere alla forza. È un tragico inganno: l’odio e la violenza non sono mai accettabili, mai giustificabili, mai tollerabili, a maggior ragione per chi è cristiano. L’odio genera solo altro odio e la violenza altra violenza. Un “no” chiaro e forte va poi detto a chi propaga in nome di Dio questa violenza, questo odio. Cari Congolesi, non lasciatevi sedurre da persone o gruppi che incitano alla violenza in suo nome. Dio è Dio della pace e non della guerra. Predicare l’odio è una bestemmia, e l’odio sempre corrode il cuore dell’uomo. Infatti, chi vive di violenza non vive mai bene: pensa di salvarsi la vita e invece viene inghiottito in un gorgo di male che, portandolo a combattere i fratelli e le sorelle con cui è cresciuto e ha vissuto per anni, lo uccide dentro.  Ma per dire davvero “no” alla violenza non basta evitare atti violenti; occorre estirpare le radici della violenza: penso all’avidità, all’invidia e, soprattutto, al rancore. Mentre mi inchino con rispetto davanti alla sofferenza patita da tanti, vorrei chiedere a tutti di comportarsi come ci avete suggerito voi, testimoni coraggiosi, che avete il coraggio di disarmare il cuore. Quello che ci è chiesto, in nome della pace, in nome del Dio della pace, è smilitarizzare il cuore: togliere il veleno, rigettare l’astio, disinnescare l’avidità, cancellare il risentimento; dire “no” a tutto ciò sembra rendere deboli, ma in realtà rende liberi, perché dà pace. Sì, la pace nasce dai cuori, da cuori liberi dal rancore.

…C’è poi un secondo “no” da dire: no alla rassegnazione. La pace chiede di combattere lo scoraggiamento, lo sconforto e la sfiducia che portano a credere che sia meglio diffidare di tutti, vivere separati e distanti piuttosto che tendersi la mano e camminare insieme. Ancora, in nome di Dio, rinnovo l’invito perché quanti vivono nella Repubblica Democratica del Congo non si lascino cadere le braccia, ma si impegnino per costruire un futuro migliore. Un avvenire di pace non pioverà dal cielo, ma potrà arrivare se si sgombreranno dai cuori il fatalismo rassegnato e la paura di mettersi in gioco con gli altri. Un futuro diverso verrà se sarà di tutti e non di qualcuno, se sarà per tutti e non contro qualcuno. Un avvenire nuovo verrà se l’altro, tutsi o hutu che sia, non sarà più un avversario o un nemico, ma un fratello e una sorella nel cui cuore bisogna credere che c’è, pur nascosto, lo stesso desiderio di pace. Anche nell’Est la pace è possibile! Crediamoci! Lavoriamoci, senza delegare il cambiamento!…

Si alla riconciliazione e alla speranza

Ed eccoci finalmente ai due “sì” per la pace. Anzitutto, sì alla riconciliazioneAmici, è meraviglioso quanto state per fare. Volete impegnarvi a perdonarvi a vicenda e a ripudiare le guerre e i conflitti per risolvere le distanze e le differenze. E volete farlo pregando insieme, tra poco, stretti attorno all’albero della Croce, sotto il quale, con grande coraggio, desiderate deporre i segni delle violenze che avete visto e subito: uniformi, machete, martelli, asce, coltelli… Anche la croce era uno strumento di dolore e di morte, il più terribile ai tempi di Gesù, ma, attraversato dal suo amore, è diventato strumento universale di riconciliazione, albero di vita.

Vorrei dirvi: siate anche voi alberi di vita. Fate come gli alberi, che assorbono inquinamento e restituiscono ossigeno. O, come dice un proverbio: “Nella vita fai come la palma: riceve sassi, restituisce datteri”. Questa è profezia cristiana: rispondere al male con il bene, all’odio con l’amore, alla divisione con la riconciliazione. La fede porta con sé una nuova idea di giustizia, che non si accontenta di punire e rinuncia a vendicare, ma vuole riconciliare, disinnescare nuovi conflitti, estinguere l’astio, perdonare. E tutto questo è più potente del male….

Poi l’ultimo “sì”, decisivo: sì alla speranza. Se può rappresentare la riconciliazione come un albero, come una palma che dà frutto, la speranza è l’acqua che la rende florida. Questa speranza ha una sorgente e questa sorgente ha un nome, che voglio proclamare qui insieme a voi: Gesù! Gesù: con Lui il male non ha più l’ultima parola sulla vita; con Lui, che ha fatto di un sepolcro, capolinea del tragitto umano, l’inizio di una storia nuova, si aprono sempre nuove possibilità. Con Lui ogni tomba può trasformarsi in una culla, ogni calvario in un giardino pasquale. Con Gesù nasce e rinasce la speranza: per chi ha subito il male e persino per chi lo ha commesso. Fratelli e sorelle dell’Est del Paese, questa speranza è per voi, ne avete diritto. Ma è anche un diritto da conquistare. Come? Seminandola ogni giorno, con pazienza. Torno all’immagine della palma. Un proverbio dice: «Quando mangi la noce, vedi la palma, ma chi l’ha piantata è tornato alla terra molto tempo fa». In altre parole, per conquistare i frutti sperati, bisogna lavorare con lo stesso spirito dei piantatori di palme, pensando alle generazioni future e non ai risultati immediati. Seminare il bene fa bene: libera dalla logica angusta del guadagno personale e regala a ogni giorno il suo perché: porta nella vita il respiro della gratuità e ci rende più simili a Dio, seminatore paziente che sparge speranza senza stancarsi mai.

La forza del perdono

… Nelle nostre fragilità, nelle crisi qual è la forza che ci fa andare avanti?Il perdono. Perché perdonare vuol dire saper ricominciare. Perdonare non significa dimenticare il passato, ma non rassegnarsi al fatto che si ripeta. È cambiare il corso della storia. È rialzare chi è caduto. È accettare l’idea che nessuno è perfetto e che non solo io, ma tutti quanti, hanno il diritto di poter ripartire.  Amici, per creare un futuro nuovo abbiamo bisogno di dare e ricevere perdono. Questo fa il cristiano: non ama solo quelli che lo amano, ma sa arrestare con il perdono la spirale delle vendette personali e tribali….Chi perdona porta Gesù anche dove non viene accolto, immette amore dove l’amore è rifiutato. Chi perdona costruisce il futuro. Ma come diventare capaci di perdono? Lasciandoci perdonare da Dio. Ogni volta che ci confessiamo riceviamo in noi per primi quella forza che cambia la storia. Da Dio veniamo sempre perdonati, sempre e gratuitamente! E anche a noi viene detto, come nel Vangelo: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37). Vai avanti senza più rancore, senza veleno, senza odio. Vai avanti facendo tuo lo stile di Dio, l’unico che rinnova la storia. Vai avanti e credi che con Dio si può sempre ricominciare, si può sempre ripartire, si può sempre perdonare!

La profezia: sradicare e demolire, edificare e piantare

… Al profeta Geremia il Signore dice: «Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. Vedi, oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare» (Ger 1,9-10). Sono verbi forti: dapprima sradicare e demolire, per poter infine edificare e piantare. Si tratta di collaborare a una storia nuova che Dio desidera costruire in mezzo a un mondo di perversione e di ingiustizia. Anche voi, allora, siete chiamati a continuare a far sentire la vostra voce profetica, perché le coscienze si sentano interpellate e ciascuno possa diventare protagonista e responsabile di un futuro diverso. Bisogna, dunque, sradicare le piante velenose dell’odio e dell’egoismo, del rancore e della violenza; demolire gli altari consacrati al denaro e alla corruzione; edificare una convivenza fondata sulla giustizia, sulla verità e sulla pace; e, infine, piantare semi di rinascita, perché il Congo di domani sia davvero quello che il Signore sogna: una terra benedetta e felice, mai più violentata, oppressa e insanguinata.

Facciamo però attenzione: non si tratta di un’azione politica. La profezia cristiana si incarna in tante azioni politiche e sociali, ma il compito dei Vescovi e dei Pastori in generale non è questo. È quello dell’annuncio della Parola per risvegliare le coscienze, per denunciare il male, per rincuorare coloro che sono affranti e senza speranza. “Consola, consola il mio popolo”: quel motto che torna, torna, è un invito del Signore: consolare il popolo. “Consola, consola il mio popolo”. È un annuncio fatto non solo di parole, ma di vicinanza e testimonianza: vicinanza, anzitutto, ai preti – i preti sono i primi prossimi di un vescovo –, ascolto degli operatori pastorali, incoraggiamento allo spirito sinodale per lavorare insieme. E testimonianza, perché i Pastori devono essere credibili per primi e in tutto, e in particolare nel coltivare la comunione, nella vita morale e nell’amministrazione dei beni. È essenziale, in questo senso, saper costruire armonia, senza ergersi su piedistalli, senza asprezze, ma dando il buon esempio nel sostegno e nel perdono vicendevoli, lavorando insieme, come modelli di fraternità, di pace e di semplicità evangelica….

Sorga il tempo della pace

[ In Sud Sudan] La violenza, invece, fa regredire il corso della storia. Lo stesso Erodoto ne rilevava gli sconvolgimenti generazionali, notando come in guerra non sono più i figli a seppellire i padri, ma i padri a seppellire i figli (cfr Storie, I,87). Affinché questa terra non si riduca a un cimitero, ma torni a essere un giardino fiorente, vi prego, con tutto il cuore, di accogliere una parola semplice: non mia, ma di Cristo. Egli la pronunciò proprio in un giardino, nel Getsemani, quando, di fronte a un suo discepolo che aveva sfoderato la spada, disse: «Basta!» (Lc 22,51). Signor Presidente, Signori Vice-Presidenti, in nome di Dio, del Dio che insieme abbiamo pregato a Roma, del Dio mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29) nel quale tanta gente di questo caro Paese crede, è l’ora di dire basta, senza “se” e senza “ma”: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione! Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace!..

Essere repubblica

Torniamo alle sorgenti del fiume, all’acqua che simboleggia la vita. Alle fonti di questo Paese c’è un’altra parola, che designa il corso intrapreso dal popolo sud sudanese il 9 luglio 2011: Repubblica. Ma che cosa vuol dire essere una res publica? Significa riconoscersi come realtà pubblica, affermare, cioè, che lo Stato è di tutti; e dunque che chi, al suo interno, ricopre responsabilità maggiori, presiedendolo o governandolo, non può che porsi al servizio del bene comune. Ecco lo scopo del potere: servire la comunità. La tentazione sempre in agguato è invece di servirsene per i propri interessi. Non basta perciò chiamarsi Repubblica, occorre esserlo, a partire dai beni primari: le abbondanti risorse con cui Dio ha benedetto questa terra non siano riservate a pochi, ma appannaggio di tutti, e ai piani di ripresa economica corrispondano progetti per un’equa distribuzione delle ricchezze.

Fondamentale, per la vita di una Repubblica, è lo sviluppo democratico. Esso tutela la benefica distinzione dei poteri, così che, ad esempio, chi amministra la giustizia possa esercitarla senza condizionamenti da parte di chi legifera o governa. La democrazia presuppone, inoltre, il rispetto dei diritti umani, custoditi dalla legge e dalla sua applicazione, e in particolare la libertà di esprimere le proprie idee. Occorre infatti ricordare che senza giustizia non c’è pace (cfr S. Giovanni Paolo II, 1° gennaio 2002), ma anche che senza libertànon c’è giustizia. Va perciò data a ogni cittadina e cittadino la possibilità di disporre del dono unico e irripetibile dell’esistenza con i mezzi adeguati a realizzarlo: come scriveva Papa Giovanni, «ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita» (S. Giovanni XXIII, Pacem in terris, 6).

E’ tempo di voltare pagina, di un cambio di passo

Il fiume Nilo, lasciate le sorgenti, dopo aver attraversato alcune zone scoscese che creano cascate e rapide, una volta entrato nella pianura sud sudanese, proprio nei pressi di Giuba diventa navigabile, per poi addentrarsi in zone più paludose. Analogamente, auspico che il tragitto di pace della Repubblica non proceda ad alti e bassi, ma, a partire da questa capitale, diventi percorribile, senza rimanere impaludato nell’inerzia. Amici, è tempo di passare dalle parole ai fatti. È tempodi voltare pagina, è il tempo dell’impegno per una trasformazione urgente e necessaria. Il processo di pace e di riconciliazione domanda un nuovo sussulto. Ci si intenda e si porti avanti l’Accordo di pace, come anche la Road Map! In un mondo segnato da divisioni e conflitti, questo Paese ospita un pellegrinaggio ecumenico di pace, che costituisce una rarità; rappresenti un cambio di passo, l’occasione, per il Sud Sudan, di ricominciare a navigare in acque tranquille, riprendendo il dialogo, senza doppiezze e opportunismi. Sia per tutti un’occasione per rilanciare la speranza, non solo per il governo, per tutti: ciascun cittadino possa comprendere che non è più tempo di lasciarsi trasportare dalle acque malsane dell’odio, del tribalismo, del regionalismo e delle differenze etniche. Fratelli e sorelle, è tempo di navigare insieme verso il futuro! Insieme.