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Zarzis e l’immigrazione, visti con gli occhi di una ragazza italiana di passaggio in Tunisia

In questo numero, riporterò il punto di vista di una ragazza italiana, che ha vissuto qualche mese in Tunisia ed avendo viaggiato molto per conoscerla, è rimasta particolarmente colpita da ciò che accaduto a Zarzis ed ha cercato di cogliere il sentire degli abitanti del luogo. Preciso, che questa giovane preferisce rimanere anonima, perché dopo gli accadimenti di Giulio Regeni e Patrick Zaki, mi dice che la prudenza non è mai troppa…e come darle torto!

“Ci sarebbero veramente tante cose di cui parlare e tanti argomenti sui quali si potrebbe discutere ore ed ore sul mondo arabo e di come si “vive” il mondo arabo, ma in questo articolo mi concentrerò su uno dei temi più caldi e accessi qui in Tunisia e soprattutto a Zarzis, culla di questa vicenda, ossia l’emigrazione illegale via mare, denominata el harga (in derja, il dialetto tunisino). Zarzis è uno dei luoghi da cui partono i cosiddetti “barconi”, che arrivano a Lampedusa.

All’ inizio della mia permanenza in Tunisia, non avevo la concezione di  cosa significasse per loro emigrare, sino a quando un giorno durante un’ora di lezione, uno dei miei compagni, in un brainstorming in cui si parlava di viaggiare, disse che il viaggio per lui era da farsi “in estate, per trovare lavoro, verso l’Italia per poi raggiungere la Francia, e soprattutto…con el harga (ossia i viaggiatori clandestini in barca)”.

Sentire quelle affermazioni, mi sorprese profondamente e, se da un lato mi fece sentire distante dai sogni di quei ragazzi come me, che abitavano quest’altra sponda del Mediterraneo, dall’altra mi portò ad avvicinarmi a loro, mettendomi realmente in ascolto, perché avevo bisogno di comprendere. Tutti conoscevano Lampedusa ed ognuno di loro aveva  amici e parenti che erano passati di lì, per poi andare in Francia.

Ebbene sì, andare in Francia, perché della stragrande maggioranza dei tunisini che sbarcano sulle coste italiane, solo una piccola minoranza resta in Italia sperando di apprendere l’italiano e trovare qualche lavoretto, la maggior parte dei migranti aspirano ad arrivare e stabilirsi in Francia, perché conoscono il francese (è la loro seconda lingua) ed è, dunque, più semplice trovare un lavoro.

Il fratello di una mia conoscente del luogo, ha tentato per ben quattro volte la traversata e soltanto quest’anno è stato accolto in Italia, ma la prima cosa che ha fatto è stata raggiungere il fratello a Milano, per poi andare in Francia con la speranza di trovare un lavoro. Storie come questa, qui se ne sentono a decine; la straordinarietà delle notizie urlate nelle tv italiane o sui nostri giornali, qui è una quotidianità con la quale fare i conti tutti i giorni.

Mio malgrado, ho appreso da vicino, che non tutti i viaggi della speranza vanno a finire bene, come quello del 18 settembre 2022, passato alle cronache locali come “Zarzis 18/18”: 18 morti proprio il 18 Settembre.

Quella sera, infatti, molte persone di varie nazionalità avevano preso la via del mare per raggiungere l’Italia, 18 delle quali erano di Zarzis.

La stessa sera, la nave scomparve, ma nei giorni seguenti nessun corpo, né alcun documento fu restituito dal mare, a differenza di quanto già accaduto molte volte prima, quando i corpi, gli effetti personali e soprattutto il denaro avvolto nella plastica, per renderlo impermeabile, giungono sulla sabbia per la clemenza delle onde.

Le famiglie, preoccupate e senza notizie dei loro cari, avvisarono la polizia locale, che non prese provvedimenti contribuendo in tal modo ad alimentare la rabbia dei familiari delle vittime, che cercavano soltanto di conoscere la verità sulla scomparsa dei loro parenti.

In seguito a ciò, l’associazione di pescatori di Zarzis, insieme ai familiari presero le redini della vicenda ed andarono autonomamente, con le loro barche a cercare i corpi.

Dopo aver trovato molti cadaveri, li segnalarono alla polizia che li prese in custodia, ma anziché identificarli li interrò, a Zarzis e a Gabes, in dei cimiteri per sconosciuti.

Nei giorni seguenti, scoppiarono delle proteste a Zarzis, che senza provocare alcun danno al piccolo centro abitato, volevano far giungere il grido disperato di quelle genti ad uno stato che troppe volte si fa sordo alle legittime rivendicazioni dei suoi cittadini.

Soltanto grazie all’aiuto dei pescatori e dei familiari delle vittime, che hanno agito legalmente, dopo il dissotterramento dei corpi, attraverso piccoli indizi si è riusciti a dare un nome ed una degna sepoltura ai cadaveri.

Ancora oggi, purtroppo, la verità resta oscura, anche a causa del silenzio delle autorità pubbliche, che proprio per questa ragione sono ritenute responsabili, insieme alle autorità marittime tunisine, dei fatti accaduti.

Ma giunti a questo punto ha senso porsi una domanda, perché si emigra dalla Tunisia, rischiando tutto questo?

Molto spesso, in Italia si fa l’errore di pensare che le persone che emigrano sono poco raccomandabili oppure poco “evolute”, ma stiamo attenti a non fare di tutta l’erba un fascio!!!.

Stando qui, insieme a loro, posso affermare che la stragrande maggioranza delle persone che emigra lo fa per un semplicissimo motivo: la volontà di avere una vita migliore (basti pensare che la maggior parte sono laureati).

Nei cortei che sono stati organizzati in occasione di questa tristissima vicenda che ho raccontato, le persone hanno ribadito che il problema dell’emigrazione deriva dal desiderio di avere un futuro migliore, e non potendo sperare di averlo nella loro terra, poiché ottenere il visto è quasi impossibile, perché viene sempre rifiutato, la sola possibilità che gli rimane è emigrare illegalmente.

Alla luce di tutto ciò, la considerazione che sento di fare, è che andrebbero accessi i riflettori, su questioni che nei prossimi anni non possono che peggiorare ed assumere dimensioni ancora più tragiche, mettendo da parte i luoghi comuni e aprendoci agli altri. Dovremmo seriamente riflettere su ciò che sono costretti a fare, e che non è detto che non possa capitare anche a noi, ricordiamo infatti, che neanche 100 anni fa gli EMIGRATI in America eravamo proprio noi”.

Parole di Pirandello citate nel testo