Il presidente Draghi aveva fama di uomo pragmatico e competente, ma anche di solidi ideali. Dopo la visita in Turchia e l’incontro con il presidente Erdogan, rifulge il pragmatismo, si appanna la percezione di un’adeguata competenza in materia di migrazioni e politiche migratorie, appassisce purtroppo il profilo ideale. Il nostro premier ha pubblicamente abbracciato la retorica di un’Italia sottoposta a un afflusso insopportabile di persone in cerca di asilo, e di conseguenza pressoché obbligato a chiedere aiuto all’’amico’ Erdogan per contenerli. L’esternalizzazione dei confini della Ue verso la Turchia non è né nuova, né attribuibile a Mario Draghi, ma è stata caricata di un’enfasi non certo giustificata né dalle dimensioni del fenomeno, né dagli arrivi in Italia attraverso la Turchia, né dall’influenza che Ankara ha conquistato in Libia soccorrendo il fragile governo di Tripoli. L’aspetto paradossale di questa posizione è la delega dell’accoglienza dei rifugiati internazionali alla Turchia, che da anni capeggia la classifica internazionale per numero di persone accolte (3,8 milioni), con un’incidenza di un rifugiato ogni 23 abitanti. In Italia a fine 2021 erano accolti (rapporto Unhcr) 200.000 rifugiati, a cui si sono aggiunti in questo 2022 140.000 profughi ucraini ben accetti e accolti con significativi sostegni e 27.000 persone tratte in salvo o arrivate dal mare. In tutto, meno di 370.000, uno ogni 162 abitanti.
Per di più, la Turchia versa in una profonda crisi economica che sta trascinando la sua moneta in una svalutazione apparentemente inarrestabile e incrina seriamente la tenuta dei suoi conti pubblici. Anche
per questa ragione si è vieppiù aggravata la già precaria situazione dei profughi, provenienti soprattutto dalla Siria e sradicati da una guerra non meno tragica di quella in atto in Ucraina. L’accesso al mercato del lavoro regolare, all’istruzione per i minori e ai principali servizi sociali è sempre più compromesso. Una realtà che contribuisce a spiegare perché molti rifugiati vorrebbero lasciare quel grande Paese euroasiatico: per poter dare un’istruzione ai figli, per esempio.
Per di più i rifugiati sono concentrati soprattutto nel Sud-Est della Turchia, prevalentemente curdo e più povero del resto del Paese. Da tempo circola il sospetto che il regime di Erdogan se ne serva per mettere in difficoltà le regioni a lui più ostili, modificando la composizione della popolazione e alimentando conflitti tra poveri. Il caloroso sostegno di Draghi alla collaborazione con il sultano di Ankara, in funzione anti- rifugiati, ha comprensibili ragioni diplomatiche e, probabilmente, molto a che fare con l’esigenza di compattare la sua traballante maggioranza. Mettendosi altresì in sintonia con una parte non piccola di un’opinione pubblica che ha subìto anni di martellamento sul presunto ‘tsunami umano’ proveniente dalle sponde sud-orientali del Mediterraneo. Forse, poi, la collaborazione turca serve su altri dossier, come la mediazione tra Russia e Ucraina o il contenimento dei conflitti africani. Ma resta l’amarezza di un pragmatismo che sacrifica, anche a parole, i diritti umani e la protezione dei rifugiati sulla base di una percezione infondata delle dimensioni del fenomeno e di una distribuzione schizofrenica della solidarietà: molta, giustamente, per gli ucraini, poca o nulla per siriani, afghani, iracheni e vittime di altre guerre a parte momentanee emozioni.
Fonte Avvenire, 7 Luglio 2022