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“Pace senza armi e senza frontiere”. Mosca e Kiev unite dalla nonviolenza

Avvenire, 14 aprile 2022

di Riccardo Michelucci

L’UCRAINO YURII SHELYAZHENKO

“Duro essere obiettori. Siamo minacciati e definiti traditori”

Un filo rosso continua a unire i russi e gli ucraini. Un legame forte che resiste anche di fronte agli orrori della guerra: è quello del pacifismo e della nonviolenza. Da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina per gli attivisti di entrambi i Paesi la strada si è fatta ancora più in salita, tra minacce, intimidazioni e arresti. Ma la fiducia in un percorso comune alternativo alle armi non è venuta meno.

Yurii Sheliazhenko, docente alla Krok University di Kiev, è il leader del movimento pacifista ucraino. Vive ancora nella capitale ucraina e afferma di sentirsi abbastanza al sicuro perché ha cibo, acqua, elettricità e medicine a sufficienza, oltre all’accesso a internet.                                                                         

Quanto è difficile essere un attivista per la pace in questo momento?

Difficilissimo, perché ci considerano dei traditori. Se chiediamo la riduzione dell’escalation militare e la salvaguardia del diritto all’obiezione di coscienza ci rispondono con insulti e minacce. Quando ho criticato la leggere marziale che impone il divieto di espatrio per tutti gli uomini dai 18 ai 60 anni sono stato sommerso di telefonate e messaggi con foto di soldati morti. Un divieto che riguarda ovviamente anche noi pacifisti e ha suscitato molti dubbi di natura giuridica.

Le Chiese del vostro Paese vi stanno aiutando?                                                                                                         

No, il Consiglio delle chiese ucraine chiede armi alla Nato ignorando i rischi di guerra nucleare. Eppure il quinto comandamento è “non uccidere” e se tutti lo seguissero, resistendo in modo nonviolento all’ingiustizia, come hanno già fatto alcuni soldati, questa guerra cesserebbe subito. Ma purtroppo gran parte del clero post-sovietico crede più nelle armi che nella preghiera.

Molti paesi europei hanno deciso di inviare armi e attrezzature belliche all’Ucraina.

È una pessima idea. Invece delle armi, avremmo bisogno di sforzi negoziali. Coloro che inviano materiale bellico in Ucraina e impongono sanzioni alla Russia scoraggiano sia il governo ucraino che quello russo a negoziare la pace.

Gli ucraini credono ai colloqui di pace come via d’uscita dal conflitto?

Sempre di più. Fino a tre settimane fa, secondo i sondaggi di opinione della Ong indipendente Rating group il 64% degli intervistati auspicava un compromesso attraverso colloqui diretti tra Zelenskyy e Putin. Di recente tale percentuale è salita al 74%.

Che legami avete con i movimenti russi per la pace e il disarmo?

Lavoriamo insieme da tempo all’interno dell’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza. Lì ho molti amici che provengono dalla Russia e applaudo i coraggiosi pacifisti russi e bielorussi che protestano contro la guerra di Putin  rifiutandosi di combattere. L’Europa dovrebbe fornire asilo agli obiettori di coscienza provenienti da tutti i nostri Paesi.

IL RUSSO ALEXANDER BELIK

“Arresti e multe non fermano la nostra protesta”

In Russia il clima continua a essere molto pesante per chi protesta contro l’attacco all’Ucraina. Le migliaia di arresti e la censura dell’informazione non hanno fermato la resistenza nonviolenta ma molti attivisti sono stati costretti a lasciare il Paese per motivi di sicurezza. Come Alexander Belik, avvocato di San Pietroburgo e membro dell’esecutivo del Movimento degli obiettori di coscienza russi, che ci ha concesso questa intervista via Telegram.

Quando ha deciso di lasciare la Russia?

Alcune settimane fa. Adesso mi trovo in Estonia, a Tallin. È meglio che parli io perché la nostra coordinatrice, Elena Popova, si trova in Russia e ha già subito un arresto all’inizio di marzo mentre distribuiva volantini che incitavano le madri a non mandare i propri figli in guerra.

Che ne è di coloro che vengono arrestati per aver protestato contro la guerra?

Elena è stata rilasciata un paio di giorni dopo l’arresto ma subisce continue perquisizioni nel suo appartamento, spesso nelle prime ore del mattino. La polizia le ha sequestrato computer e telefoni cellulari per impedirle di svolgere il suo lavoro di attivista. Molti altri vengono trattenuti nelle stazioni di polizia anche per 10-15 giorni, e sono costretti a pagare multe salate.

State facendo qualcosa per difendere gli arrestati?

Si sono costituiti gruppi di avvocati che si battono contro le limitazioni alla libertà di espressione. Difendono i diritti di chi viene portato in caserma e schedato e degli studenti che dopo l’arresto vengono espulsi dalle università.

Siete a conoscenza di proteste o di atti di diserzione nell’esercito russo?

Stiamo lavorando a un rapporto dettagliato che documenta numerosi casi di diserzione all’interno delle forze armate del nostro Paese. Ma non è semplice raccogliere informazioni perché il clima di intimidazione è sempre più pesante. Ai soldati è proibito l’uso di cellulari con connessione a internet. A molti di loro non è mai stato detto chiaramente che li avrebbero mandati a combattere in Ucraina e sono stati costretti a partire per il fronte con la minaccia di essere condannati ad anni di carcere per diserzione, o persino di essere ammazzati. Inoltre il ministero della Difesa di Mosca nasconde qualsiasi informazione relativa alle truppe e da anni vige il divieto assoluto di informare sulle perdite all’interno dell’esercito russo.

Siete in contatto con i pacifisti ucraini?

Ora più che mai siamo al fianco degli amici ucraini e continueremo a combattere insieme questa battaglia per la pace perché siamo convinti che sia l’unica strada percorribile.