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La guerra di carta

15 Marzo 2022Giulio Marcon

C’è chi, quando arriva la guerra (vera), si diletta nella sua attività preferita, la guerra di carta. Ad arruolarsi sono (alcuni) intellettuali, giornalisti, opinionisti che usando giornali e trasmissioni TV- si prodigano nell’assalto del dileggio sdegnato e dello scherno moralistico: dei pacifisti. Spesso non possono fare altro che scrivere e parlare perché la guerra la fanno per procura (armiamoci e partite), mentre la popolazione civile viene sterminata dalla logica infernale delle armi e della sopraffazione militare.

E’ quello che succede anche con la guerra in Ucraina.

Per il solo fatto di avere detto che è sbagliato inviare le armi In Ucraina e che questo prolunga la guerra i pacifisti, additati ormai nelle liste di proscrizione televisive, sono considerati, nell’ordine: complici, cinici, ipocriti e interessati più che dalle sorti della povera popolazioni dalle bollette del gas. Per dirla con Benito Mussolini: panciafichisti.

Uno che in questi ultimi giorni si è scatenato, con un certo assillo, contro i pacifisti dalle colonne del Corriere della Sera, dalla trasmissione TV Piazza Pulita e dall’Huffington Post è Paolo Mieli. Strano però che l’ex direttore del Corriere della Sera si sia dimenticando di prendersela con il cinismo di Israele, che non intende imporre sanzioni economiche alla Russia. Strano che non se la sia presa con il cinismo del governo italiano che continua a mandare soldi a Mosca comprandogli il gas. Strano che non se la sia presa con il cinismo delle oltre 400 imprese italiane che continuano a fare affari con la Russia e hanno i loro manager ancora oggi a Mosca. I principi morali qui si inchinano alla realpolitik.

Ai pacifisti si rimprovera l’incoerenza e gli si ricorda i precedenti del Vietnam e della guerra di Spagna: non gli avreste mandato le armi, non dovevamo mandargliele, e non dobbiamo allora fare lo stesso con l’Ucraina ? Mieli, nella versione di storico pur non accademico, dovrebbe sapere che i pacifisti (pur sostenendoli con passione) non chiesero mai di mandare le armi né al Vietnam del Nord né ai palestinesi oppressi dal governo di Israele. Ha ricordato anni fa Aldo Natoli che quando incontrò, con una delegazione del PCI, i rappresentanti del Vietnam del nord questi gli dissero: “non ci servono armi, ma che intensifichiate le manifestazioni per la pace”. E’ quello che i pacifisti hanno sempre fatto. Erano cinici e ipocriti? E, riguardo alla guerra di Spagna, va ricordato che il Servizio civile internazionale (organizzazione pacifista nata nel 1920, di cui ho fatto parte) che sostenne la resistenza repubblicana non organizzò l’invio delle armi, ma affiancò i combattenti con attività civili come l’organizzazione dei campi per i rifugiati e l’aiuto alle vittime. E anche durante la guerra, Aldo Capitini (e Lidia Menapace e molti altri) -licenziato da Segretario generale della Normale di Pisa perché rifiutò la tessera del partito fascista- partecipò alle Resistenza in modo nonviolento, senza imbracciare un’arma, senza chiedere armi. Erano anche loro cinici e ipocriti verso la causa antifascista?

C’è chi passando dalla gioventù alla maturità è trasmigrato dagli eserciti proletari a quelli della NATO, dalla lotta armata di classe a quella dell’occidente, dal potere operaio al potere delle armi, ma se si vuole difendere e salvare la popolazione ucraina gli eserciti e la lotta armata vanno fermate: la guerra non sarà sconfitta da un’altra guerra, la popolazione ucraina non sarà salvata trasformando l’Ucraina in un nuovo Afghanistan, l’Europa non si stabilizzerà portando la NATO sotto le porte di Mosca.

Che sia cinismo quello di chi dice di non inviare le armi, perché -secondo i nostri fustigatori- così si costringerebbe gli ucraini della resa, è tutto da vedere. E’ sicuramente cinismo invece quello di chi vuole inviargli le armi perché -per salvare la propria coscienza- espone gli ucraini ad un massacro in una guerra che non può mai essere vinta. Si vuole fare la guerra a Putin o salvare la popolazione ucraina? Non bisogna concentrarsi sulle armi, ma sulla strada del negoziato.

Putin non la vincerà questa guerra, come non l’hanno vinta gli americani in Afghanistan e in Iraq (c’è forse pace in Medio Oriente?) o gli occidentali in Libia. Le guerre si sono dimostrate in questi anni fallimentari, quelle della NATO; e così sarà per quella di Putin. Il nostro interesse è salvare la popolazione ucraina con l’unico modo possibile: un cessate il fuoco che preluda ad un vero negoziato che porti ad una soluzione condivisa. Tutto il resto – dalla chiamata alle armi alle mobilitazioni degli eserciti – non è altro che un modo retorico e ipocrita per portare avanti la propria guerra di carta, ma più concretamente un modo pericolosissimo per avvalorare l’allargamento della guerra e porre le condizioni di esiti drammatici.