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Il silenzio come luogo di incontro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Martedì 25 settembre, presso S.Francesca Romana, si è celebrato il 23° convegno di teologia della pace – 23° come papa giovanni, il papa della pace. Titolo del convegno: “Come voce di silenzio sottile”; tema: la presenza, presso le strutture ospedaliere della nostra provincia, di una “stanza dei culti e del silenzio”.

Come sempre, anche in questa edizione si sono succedute più voci. 

Giorgio Bernardelli, giornalista di avvenire, ha presentato la realtà di Nevè-Shalom-Wathat-Salam, un villaggio nei pressi di Gerusalemme in cui Ebrei e Arabi sperimentano dialogo e convivialità. Analogamente il suo

fondatore, padre Bruno Hussar, portava in sé appartenenza cattolica, eredità ebraica, cittadinanza israeliana e nascita araba. Ivi la riconciliazione tra le diversità è ricercata sia attraverso approfondimenti culturali ed esperienze didattiche, sia gestendo le problematiche e le scelte della quotidianità, con tutti i conflitti che la diversità di storia e di appartenenza può generare. E’ presente anche una stanza di culto, una stanza rotonda, in cui tutte le fedi religiose, tutte allo stesso livello di importanza, possono rivolgersi al trascendente, anche la fede di chi il trascendente lo sta ancora cercando.

Analoga funzione ha la “Stanza del culto e del silenzio” istituita presso gli ospedali della nostra provincia. Essa viene offerta come un vuoto di silenzio in cui tutte le religioni possono trovare un luogo di culto, dove tutte le persone possono esprimere il proprio dolore e le proprie domande, ove i percorsi personali e comunitari possono incontrarsi ed arricchirsi vicendevolmente. Una signora russa ortodossa (?), un rappresentante islamico e due esponenti di chiese evangeliche differenti hanno sottolineato come il silenzio rappresenti un luogo importante, luogo trascurato nella nostra società, in cui si può sostare e riflettere, meditare e pregare, ritrovando così il contatto con se stessi, con Dio e con gli altri. Ogni relatore ha poi evidenziato sfaccettature significative provenienti dal proprio percorso personale e religioso. Chi ha vissuto il socialismo di stato ha raccontato la bellezza di riconquistare la possibilità di professare la propria fede: avere spazi di silenzio, poter parlare della propria interiorità, poter condividere con altri e nella comunità la religiosità. Fede cristiana ed islamica si sono confrontate sul diverso significato che in esse viene attribuito al dolore e sulle domande che conseguentemente ne scaturiscono. Comune è stato il riconoscimento che il silenzio, la preghiera e il dialogo sono le vie più importanti sulle quali la pace può camminare.

Sono anche emerse alcune proposte concrete. Primo: rendere maggiormente nota la presenza della Stanza dei culti, attraverso cartelli esposti in ogni reparto ospedaliero. In secondo luogo è stato suggerito che di questa opportunità dovrebbero avvalersi non solo i pazienti e i loro familiari, ma anche il personale ospedaliero, che tanto ha a che fare con la sofferenza. Infine è stato proposto di utilizzare la Stanza anche per momenti di conoscenza, approfondimento ed incontro, in modo da dare concretezza alla pace.