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Criminalità organizzata al nord

”La criminalità organizzata al Nord, ovvero qual è il ruolo che le Associazioni, gli Enti Locali, e il Sindacato possono attivare contro l’omertà, e per attivare la legalità”. E’ questo il tema di un convegno che la Lega SPI-Cgil di Paderno d’Adda ha organizzato per le 15.00 di domenica 22 maggio a Cascina Maria, centro culturale del Comune rivierasco. Patrocinato dalla stessa amministrazione comunale, l’incontro ha visto la partecipazione di Sergio Pomari, segretario dello SPI Cgil di Lecco. Relatore è stato il dottor Carlo Cecchetti, giudice presso il Tribunale di Como. All’incontro sono intervenuti anche Virginio Brivio sindaco di Lecco, il vicesindaco di Paderno d’Adda, Renata Menaballi del Punto pace Pax Christi di Lecco e padre Angelo Cupini della Comunità lecchese di via Gaggio. Dopo le denunce dei mesi scorsi sulla criminalità organizzata in Lombardia, lo Spi Cgil lecchese ha voluto organizzare un convegno proprio su questo, invitando peraltro un giudice, due sindaci e gli operatori del volontariato sul territorio.
Di seguito alcuni tra i passaggi più significativi della relazione di Cecchetti:

L’origine della presenza degli affiliati alla ‘ndrangheta nelle regioni del centro e del nord Italia è legata, principalmente, ad un errore di valutazione della politica dello Stato in materia di criminalità; il fenomeno nasce negli anni ‘50, subito dopo la guerra, quando lo Stato utilizza il cosiddetto “confino di polizia” per allontanare i focolai di criminalità dalle regioni del sud; il soggiorno obbligatorio nel centro o nel nord Italia, utilizzato in un’epoca di rapidissimo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, diventa involontariamente un modo per trapiantare l’organizzazione criminale in contesti geografici nuovi: se, infatti, il confinato aveva l’obbligo di non spostarsi dalla sede assegnata, non c’era nulla che vietasse che fossero gli altri a raggiungerlo nelle sedi del soggiorno obbligatorio.
Questa fu soltanto l’origine storica del fenomeno ma, successivamente, la ‘ndrangheta diede vita ad un vero e proprio fenomeno di “colonizzazione”, nel senso proprio del termine (cioè di formare colonie “culturalmente” legate alla madrepatria ma per il resto autonome e autorganizzate).
La riserva economica era stata costituita con i capitali provenienti dai sequestri di persona o dagli omicidi su commissione; la nuova prospettiva “imprenditoriale” era costituita dai lucrosi affari che il controllo a tutti i livelli di comunità ricche ma eticamente deboli poteva offrire.
Tra gli elementi che è più interessante ricordare come uno di quegli elementi che favorì fortemente le organizzazioni criminali, vi è una scelta miope e stupida delle comunità locali del nord Italia in campo sociale ed urbanistico: gli amministratori locali del Nord, fortemente spinti a ciò dai propri cittadini, concentrarono i “profughi” del sud nelle periferie delle grandi città, dove è stato facile per gli esponenti trapiantati delle ‘ndrine (cioè delle “colonie – figlie” della ‘ndrangheta calabrese) ricreare il clima, i rituali e le gerarchie esistenti nei paesi di origine.
Grazie a questa scelta sociale ed urbanistica rivelatasi insulsa, persone normali che si erano spostate esclusivamente in cerca di lavoro e di nuove prospettive divennero facili prede di reclutamento dell’organizzazione criminale (chissà che questo ci faccia riflettere sulla necessità di integrare diversamente i nuovi profughi del 2000).
L’esempio più clamoroso è costituito dal comune di Bardonecchia, in Liguria, dove il mercato del lavoro e la comunità sociale sono state così fortemente condizionate dall’organizzazione criminale al punto che la ‘ndrangheta è riuscita ad impadronirsi anche delle strutture civili e politiche; Bardonecchia, insieme con la a noi vicinissima Desio, ha il triste primato di essere stato il primo consiglio comunale del Nord Italia ad essere sciolto per infiltrazioni mafiose;

per completare il quadro occorre ricordare l’uso diffuso e massiccio delle armi e della conseguente intimidazione utile a far rispettare il potere dell’organizzazione e, da ultimo – quanto alla dinamica economica – il discorso del riciclaggio di denaro sporco.
Il riciclaggio di denaro sporco serve principalmente per due ragioni: in primo luogo perché il denaro immediatamente riconducibile all’attività criminale è molto più facilmente soggetto alla confisca da parte delle Forze dell’ordine: occorre quindi ripulirlo in un capitale non immediatamente riconducibile all’attività criminale; in secondo luogo perché il denaro risultato di attività criminale, se ben gestito, può fruttare molto di più.
Questa seconda ragione spiega perché la ‘ndrangheta, come una specie di tumore, si sia capillarmente diffusa nelle nostre attività imprenditoriali ed economiche più presenti sul territorio: in particolare i negozi e la ristorazione, le attività per il tempo libero in generale (discoteche, palestre etc.).
In tempi di crisi economica la facilità dell’organizzazione criminale di impadronirsi di queste attività imprenditoriali è stata estrema; la ‘ndrangheta ha potuto far leva su due grandi punti di forza: la disponibilità di capitali da non retribuire (mentre, invece, un normale imprenditore deve pagare gli interessi alle banche); la gestione non a norma dell’attività imprenditoriale: evasione dei contributi e delle tasse, sfruttamento del lavoro con retribuzioni ben al di sotto dei minimi sindacali, mancato rispetto degli standard di qualità e di sicurezza (con conseguenti costi di gestione molto competitivi); a questo proposito è significativo fare un richiamo a quell’origine storica della ‘ndrangheta che nasce per sostituirsi ad uno Stato assente e/o prepotente, offrendo quel lavoro che la collettività ordinaria non era in grado di offrire: la ‘ndrangheta recupera questo patrimonio storico perché lo stesso risulta drammaticamente attuale anche ai nostri giorni.
Ovviamente attività imprenditoriali gestite con queste modalità sono attività fragili e che fondano la loro capacità di fare concorrenza sul mercato soltanto su un’origine drogata, senza essere capaci, tuttavia, di gestire la propria affermazione e la propria permanenza sul mercato stesso: ci siamo mai chiesti come mai tanti negozi, tante pizzerie, tanti bar, tanti ristoranti, alberghi, palestre e discoteche nascono e muoiono come funghi nelle nostre città??
Mentre le altre organizzazioni criminali, come ad esempio Cosa nostra, si stabiliscono al Nord Italia esclusivamente per il tempo necessario per condurre in porto un determinato affare, la ‘ndrangheta, attraverso le proprie “colonie” territoriali dette ‘ndrine, si stabilisce in maniera permanente e strutturata al Nord Italia.
Il primo “capobastone” che arriva e si stabilisce al Nord Italia (siamo nel ’54) vive per un periodo a Gallarate e poi a Buguggiate, nel Varesotto; negli anni ‘80 la ‘ndrangheta comincia controllare il traffico dell’eroina: sono gli anni di Giuseppe Flachi e Franco Coco Trovato, quest’ultimo a noi ben noto per la presenza massiccia nel territorio lecchese e di cui tanto si è parlato a partire dall’operazione denominata “Wall Street”, proprio con riferimento al nome di un ristorante pizzeria poco distante dal centro di Lecco e acquistato da Coco Trovato e da lui utilizzato anche come centrale per l’organizzazione dei suoi traffici illeciti (quel Coco Trovato di cui la popolazione lecchese sembra quasi non essersi mai accorta e che ha confessato appena 57 omicidi!).
Gli anni ‘90 rappresentano gli anni di un’ulteriore evoluzione della ‘ndrangheta: i soldi dei sequestri sono stati capitalizzati nel traffico di droga; i soldi del traffico di droga sono stati capitalizzati nel riciclaggio di denaro sporco e nello svuotamento dall’interno delle nostre attività imprenditoriali; il nuovo traguardo degli anni ‘90 e 2000 sono i lucrosi affari della Pubblica Amministrazione: gli appalti in generale e, specificamente, il lucroso settore dello smaltimento dei rifiuti; il mezzo per mettere le mani su questi ambiti è necessariamente il controllo delle amministrazioni pubbliche locali (e qualche approfondimento si potrebbe fare sulla presenza della spazzatura del nord nei terreni del Sud italia).
Questi discorsi evocano, inevitabilmente, il problema del rapporto tra ‘ndrangheta e potere politico; si tratta di un argomento che potrebbe portarci via intere giornate di studio e di riflessione; mi limito, invece, a qualche breve spunto per una successiva riflessione personale: la ‘ndrangheta non ha colore politico: aggredisce e si impadronisce dall’interno di qualsiasi potere politico si mostri sufficientemente debole da lasciarglielo fare; in secondo luogo, vi propongo una suggestione giornalistica, tanto per ricordarci che non possiamo dare nulla per scontato e che è sempre necessario porci nuove domande:

Mi fermo con questa provocazione quanto all’analisi del fenomeno ‘ndrangheta e criminalità organizzata in genere nel Nord Italia.
La seconda e conclusiva parte della mia riflessione dovrebbe riguardare il ruolo che le associazioni, gli enti locali e il sindacato possono svolgere contro l’omertà e per favorire la legalità.
In realtà credo che l’aver messo in luce i punti di forza della criminalità organizzata ha messo in luce, contemporaneamente, i punti deboli del nostro tessuto sociale e civile e, conseguentemente, il contributo che le associazioni, gli enti locali e il sindacato possono e devono offrire per assicurare la sopravvivenza di una società civile. Ho già ampiamente ricordato di come la ‘ndrangheta storicamente e anche ai nostri giorni utilizza acutamente i vuoti dello Stato per sostituirsi ad esso e per gestire la vita dei cittadini; abbiamo visto come la possibilità di impadronirsi di tantissime attività imprenditoriali locali dipende, oltre che dalla disponibilità di fondi neri di provenienza criminale, anche dalla possibilità di arruolare lavoratori in nero, gestirli sottocosto e senza contributi, risparmiare omettendo i controlli di qualità e di sicurezza.
Abbiamo visto come scelte miopi come quella di confinare in ghetti “i diversi da noi” costituisca un’ottima occasione per ricreare ambienti di sfruttamento e di asservimento dei derelitti alla criminalità organizzata.
Il livello più recente di condizionamento e di infiltrazione è proprio incentrato sul controllo della politica e delle amministrazioni locali: non si tratta soltanto di intimidire – con la violenza e con le armi – alcuni amministratori; si tratta più direttamente di far eleggere i propri amministratori; per fare questo occorre un’ampia base elettorale sufficientemente distratta e disponibile o a vendere il proprio voto per favori piccoli o grandi o, molto più banalmente è molto più diffusamente, ad orientare il proprio voto in maniera irresponsabile; assecondando proposte grossolane e populistiche che consentono, poi a personaggi collusi con la criminalità di sedere nelle aule dei nostri consigli.
Associazioni, enti locali e sindacato: ogni attività che ha come fine soltanto la coltivazione del proprio “orticello”, soltanto la garanzia della sopravvivenza ad ogni costo, soltanto il mantenimento del proprio piccolo-grande potere è un pezzo di vita ceduto in bianco alla criminalità organizzata.
Ogni sforzo di coerenza, di impegno al servizio di un nuovo umanesimo, di una rinnovata unità e consapevolezza del bene comune contrapposto all’egoismo particolare, ogni impegno per vivere secondo le regole contrapposto al “faccio quello che mi pare” è un pezzo di vita riconquistato dalla criminalità organizzata.
Questa è la nostra personale sfida di tutti i giorni.