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Diventare primavera di pace

(01/04/2015)

Tra 2015 e 2016 si realizzeranno eventi ecclesiali che ci vedranno in vario modo coinvolti: l’Enciclica sulla custodia del creato (maggio), il viaggio a Sarajevo (giugno), in Sud America, in Africa e negli Stati Uniti; il Sinodo sulla famiglia (ottobre), il Convegno della Chiesa italiana a Firenze “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” (novembre),l’avvio del Giubileo della misericordia (dicembre). Cercheremo di seguire, sia pure in forma ridotta, alcuni interventi di Francesco.

Nel mese di marzo, parlando ai teologi argentini e a CL, il papa si rivolge a tutti i credenti (quindi anche a Pax Christi) proponendo un cammino di fede basato su: uscire, decentrarsi, vivere la misericordia, diventare fiore di mandorlo, cioè primavera di pace.

(S.P.)

 

Lettera alla Pontificia Università cattolica argentina, 16.3.2015

…La teologia che elaborate sia dunque radicata e fondata sulla Rivelazione, sulla Tradizione, ma anche accompagni i processi culturali e sociali, in particolare le transizioni difficili. In questo tempo la teologia deve farsi carico anche dei conflitti: non solamente quelli che sperimentiamo dentro la Chiesa, ma a anche quelli che riguardano il mondo intero e che si vivono lungo le strade dell’America Latina. Non accontentatevi di una teologia da tavolino. Il vostro luogo di riflessione siano le frontiere. E non cadete nella tentazione di verniciarle, di profumarle, di aggiustarle un po’ e di addomesticarle. Anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini.

…La misericordia non è solo un atteggiamento pastorale ma è la sostanza stessa del Vangelo di Gesù… Senza la misericordia la nostra teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia, che di natura sua vuole addomesticare il mistero. Comprendere la teologia è comprendere Dio, che è Amore… Il teologo sia una persona capace di costruire attorno a sé umanità, di trasmettere la divina verità cristiana in dimensione veramente umana, e non un intellettuale senza talento, un eticista senza bontà o un burocrate del sacro.

 

Al movimento Comunione e Liberazione, 7.3.2015

… La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico, di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sorta di sfida solitaria di fronte al mondo. No. Questa non è la morale cristiana, è un’altra cosa. La morale cristiana è risposta, è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura “ingiusta” secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me, attende da me. La morale cristiana non è non cadere mai, ma alzarsi sempre, grazie alla sua mano che ci prende. E la strada della Chiesa è anche questa: lasciare che si manifesti la grande misericordia di Dio. …Anche la Chiesa deve sentire l’impulso gioioso di diventare fiore di mandorlo, cioè primavera come Gesù, per tutta l’umanità…

Ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”: al centro c’è solo il Signore!…

E poi il carisma non si conserva in una bottiglia di acqua distillata! Fedeltà al carisma non vuol dire “pietrificarlo” – è il diavolo quello che “pietrifica”, non dimenticare! Fedeltà al carisma non vuol dire scriverlo su una pergamena e metterlo in un quadro… fedeltà alla tradizione – diceva Mahler – “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”. Così, centrati in Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”. La strada della Chiesa è uscire per andare a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo. “Uscire” significa anche respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme, significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera. Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una “spiritualità di etichetta”… E poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e a trasformarci in meri impresari di una ONG.