Si muore di un male silenzioso nelle piantagioni di canna da zucchero del Centroamerica.
Nel caldo umido del sole di dicembre, con temperature che superano i trenta gradi, la ¨zafra¨, la raccolta della canna da zucchero si fa ancora in forma tradizionale. Gli uomini, chini e sudati, strappano a colpi di machete le piante alla terra e stanno lì per ore, da mattina a sera, perchè qui non si riceve uno stipendio, ma una paga in relazione alla quantità di canna tagliata. L’attività è febbrile, perchè come in tutti i lavori agricoli, si lotta contro il tempo. Poche settimane per immagazzinare migliaia di tonnellate da inviare alle raffinerie o ai porti, per l’esportazione. El Salvador e il Nicaragua sono i principali produttori di zucchero della regione: quasi un milione di tonnellate dirette all’estero, soprattutto negli Stati Uniti e in Sudamerica. In Europa no, perchè non c’è mercato: le tasse di importazione sono trecento volte più alte del valore del prodotto, un’esagerazione per proteggere le economie delle ex colonie britanniche e francesi.
Il lavoro è duro e pericoloso: i giornalieri devono sapersi districare tra le insidie che occultano le piante (serpenti, tarantole, insetti velenosi) e la costante esposizione all’insolazione o alla disidratazione. Chi si dedica a questa occupazione, conosce benissimo questi rischi, che impara a prevenire. Da qualche anno, però, esiste un pericolo che non si può evitare e che agisce subdolo, che attacca i reni ed i sistemi di difesa dell’organismo. Uno studio dell’Organizzazione mondiale per la salute ha reso infine ufficiale quello che nelle piantagioni già sapevano, che esiste un nemico silenzioso che uccide dopo mesi di dolenze ai reni. Migliaia di persone (una stima parla di 3000, altre portano i decessi fino a diecimila) sono morte in Centroamerica tra il 2005 ed il 2009 per insufficienza renale: tutti uomini e tutti giornalieri della zafra. La coincidenza è emersa dai dati offerti dagli ospedali, che sono stati i primi ad avvisare la relazione di quella che in pochi anni è diventata una delle maggiori cause di decessi di tutta la regione (nel Salvador la Irc è addirittura al secondo posto).
Gli esperti non sanno o non vogliono dare una risposta sicura all’emergenza. Qualcuno dà la colpa ad una tossina sconosciuta, altri semplicemente alla fatica, ma non si scarta nemmeno l’uso indiscriminato di pesticidi, della cui origine i lavoratori sono all’oscuro. La tragedia del Nemagon, che per decenni venne irrorato sulle piantagioni di banane avvelenando la terra e la salute di migliaia di agricoltori e contadini è ancora viva nella memoria ed è una ferita che non si è rimarginata, che ha dimostrato alla gente delle campagne come gli interessi delle compagnie risultino più importanti di ogni altra cosa. Ed è proprio la diffidenza a dividere le opinioni dei lavoratori, che puntano l’indice contro le compagnie e queste, che invece, rifiutano ogni addebito ed ordinano studi e ricerche alle università per liberarsi dalle accuse.
La malattia colpisce indistintamente uomini di tutte le età, adulti e ragazzi poco più che adolescenti, che si presentano alla raccolta sani e ne escono con i reni a pezzi ed i giorni contati. Differenti relazioni degli ospedali nicaraguensi hanno attribuito in passato la malattia all’esposizione ai pesticidi, ma non si è stati ancora in grado di determinare con esattezza cosa stia succedendo nei campi, tra gli alti ed agili fusti della canna da zucchero. Proprio in Nicaragua, già nell’ottobre di tre anni fa la Anairc (Asociación Nicaraguense de Afectados por Insuficiencia Renal Crónica) aveva portato il potente gruppo Pellas -proprietario delle principali piantagioni di canna da zucchero del paese- in tribunale senza troppa fortuna.
Resta infatti da definire come lavoratori di differenti imprese situate in differenti paesi, a centinaia di chilometri di distanza tra loro, presentino gli stessi sintomi. A Liberia, capoluogo del Guanacaste, una delle zone agricole della Costa Rica, l’ospedale ha dovuto inaugurare recentemente un reparto di dialisi per poter attendere le decine di richieste per lenire le sofferenze dell’insufficienza renale. Tra Liberia e Chichigalpa -cuore della zafra nicaraguense- ci sono almeno 500 chilometri ed altri cinquecento ce ne sono per giungere a La Libertad e alle coltivazioni salvadoregne. Sorge così la teoria di un mix di cause: le alte temperature (fino a 35 gradi), le lunghe ore sotto il sole, la disidratazione, i pesticidi, così come l’etilismo frequente tra i lavoratori della canna, tutti fattori di alto rischio che, se sommati insieme, conducono i reni al collasso. Risposte, insomma, al momento non ce ne sono: resta solo il silenzio che fa crescere l’angoscia ed il dramma.
Maurizio Campisi 17/12/2011 Peace Reporter