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Sul progetto di legge sulla Difesa Alternativa

(Sulla proposta di Legge di Iniziativa Popolare “Istituzione e modalità di finanziamento del Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta”, promossa dalla campagna nazionale “Un’altra difesa è possibile”).

Antonino Drago

E’ positivo che in questi tempi di difficoltà oggettive a capire come reagire a sempre più guerre “intrattabili”, il movimento per la pace si sia dato un’iniziativa nazionale.

E’ positivo che in tempi in cui leaderismo e politica improvvisata dall’alto imperano nella vita pubblica, questa iniziativa sia di tipo non solo mobilitante, ma anche indirizzata ad un obiettivo di lunga durata, cioè indichi una strategia, che così diventa chiara ad ogni militante.

E’ positivo che l’obiettivo sia di tipo istituzionale, cioè punti ad interagire con le istituzioni, perché la vita associata è fatta, ci piaccia o no, anche di istituzioni; e a meno di obiettare ad alcune di esse (come nel caso dell’esercito e del’industria militare), con esse dobbiamo interagire.

E’ positivo che l’obiettivo punti in particolare sul Parlamento, il massimo organo della politica nazionale. Quando nel 1979 proposi il primo progetto di legge sulla difesa alternativa molti contestarono la mossa perché vedevano le istituzioni come sinonimi di compromissioni. E’ questo stesso atteggiamento che prevale nei movimenti per la pace degli altri Paesi, dove poi qualche gruppo ha cercato colloqui diretti con il sistema militare (ricevendone anche finanziamenti, vedi il caso della Francia) o si è buttato a fare referendum estemporanei (ad es. “Svizzera senza armi” del 1990) nel tentativo ingenuo di abolire l’esercito una volta per tutte.

E’ positivo che sull’obiettivo di una difesa alternativa si siano unificate molte iniziative nazionali che di solito operano in ordine sparso e magari concorrente. Non è detto che per tutti questi gruppi la difesa alternativa sia l’obiettivo principale, ma almeno questo progetto ha un valore unificante.

E’ positivo che si usi la formula del progetto di legge, che obbliga ad usare il linguaggio giuridico, che da duemila anni esprime con chiarezza quello che si vuole e quello che non si vuole.

E’ positivo che si usi la formula della iniziativa di legge popolare, la quale richiede decine di migliaia di firme. La richiesta di firme à di per sé una mobilitazione, crea una attesa, prepara altre iniziative a sostegno del percorso giuridico della iniziativa.

E’ positivo che sin da ora alcuni deputati siano disposti a sostenere questo percorso giuridico.

Ma non si capisce perché non si è lanciato ad ampio raggio il dibattito per formulare questo progetto, né chi di fatto ha partorito questo progetto, né quali esperti lo abbiano revisionato dal punto di vista giuridico. Poi, chiedere pareri in rete, come si è fatto, è una pratica garantista minima, che però avviene a cose sostanzialmente fatte e lascia ai promotori la decisione di ammettere o no le modifiche. Un convegno nazionale sarebbe stato a mio parere necessario, anche per capire chi sostiene che.

In merito. L’art. 1 pone giustamente l’art. 11 a fondamento di tutto il progetto; poi gli art. 2 e 52. Ma anteponendo l’art. 2 al 52 si lascia spazio alla interpretazione corrente di molti Enti di SC: prima viene la solidarietà sociale, la quale assorbe il dovere dell’art. 52. La dizione “difesa civile non armata e nonviolenta”, uscita dalla mozione della Ass. straordinaria di Bologna della Campagna di obiezione fiscale (ott. 1985) così rischia sempre di più di essere riferita ad attività senza conflitti, di semplice generosità (giovanile), di gente estranea alle guerre. E’ quanto anche oggi si sta cercando di ottenere con la famosa questione della immissione degli stranieri nel servizio civile (finora impedito dall’aver la Corte Costituzionale concepito il SC come parte della difesa nazionale in senso forte e conflittuale); la Cassazione, qualificando il SC come sola solidarietà, ha chiesto alla Corte Costituzionale di ammettere gli stranieri nel SC. Per cui dopo aver avuto nel 2010 la (inaspettata e inavvertita dalle nostre Associazioni) abrogazione della legge che, prima nel mondo, introduceva la parola “nonviolenza” in giurisprudenza (art. 8 della l. 120/1998 sulla obiezione di coscienza, riguardante appunto questo tipo di difesa alternativa), ora si tenta di cancellare il principio giuridico che oggi prevede una difesa nazionale e un intervento internazionale in aree di conflitto mediante azioni non violente. Benché sia chiaro che il SC degli stranieri è solo un pretestuoso grimaldello, perché chi conosce un minimo i concetti di difesa popolare nonviolenta e di interventi popolari di pace sa benissimo che la collaborazione internazionale è tipica di ambedue. (La presenza di stranieri nella resistenza italiana, armata e anche anche nonviolenta, lo ha insegnato ampiamente); quindi nulla osta a che stranieri vengano inclusi in un SC che faccia azioni collettive di quel tipo. Basterebbe un giurista a smontare questa manovra; ma non ne vedo all’orizzonte.

E’ vero che il “diritto alla pace” è ancora da introdurre formalmente, ma è accettato da molti giuristi a seguito dell’art. 11 della Costituzione. Un cenno ad esso non avrebbe guastato affatto.

Che si chiede? Un apposito dipartimento per questo tipo di difesa. In sostanza, la spaccatura della Difeasa nazionale aggiungendo al Ministero della Difesa attuale un Dipartimento per la difesa alternativa. L’obiettivo è allettante, ma è nelle nostre possibilità o è un passo più lungo della gamba? Questa domanda rimanda ai rapporti di forza politici che possono instaurare questo obiettivo. E quindi rimanda a quanto si fa oggi per mantenere le conquiste politiche già ottenute. Quanto detto prima indica che mentre si chiede un obiettivo superiore, si rischia di perdere senza neanche combattere i risultati inferiori che ne sono la base.

Perché non si spende una parola sull’Ufficio Nazionale del Servizio Civile, che pure è stato istituito dalla legge 230/1998 per organizzare il SC alla finalità della difesa non armata e nonviolenta? L’UNSC è la prima istituzione di difesa statale alternativa che la Campagna OSM-DPN aveva chiesto ed ottenuto (e mantenuto con la l. 64/2001). Perché separare le lotte precedenti da quelle attuali?

In questo momento si discute della riforma del Terzo settore nel quale è stata pretestuosamente inserita la riforma del SC per ridurlo a sola solidarietà a corto raggio. Che fanno a questo proposito i promotori del progetto? Che dicono per mantenere il SC come espressione della difesa della Patria, sentenziata una diecina di volte dalla Corte Costituzionale?

Infine una nota giuridica: Lo Stato non può essere strabico. Il Capo di Stato non può essere il capo delle FF.AA e poi avere all’interno del suo Stato un organismo alternativo a queste. Lui allora dovrebbe essere indicato come Capo anche delle forze non armate. Lo stesso vale per il Consiglio Supremo della Difesa (che già prevede la figura di esperti, che potrebbero essere sulla difesa alternativa. Perché non aver inserito questi punti?

Lascio da parte la richiesta di un Istituto di ricerche per la Pace e il Disarmo. Già esso esiste a livello Europeo e a livello Federale degli USA. Il primo si è già qualificato come operazione di puro vertice semi-militare. Il secondo ha trascinato a sé tutti gli Istituti di ricerca, che da indipendenti ora sono diventati sottoposti alla politiche statali. E noi in Italia, dove quasi non ci sono professori legati al disarmo e alla nonviolenza, che istituto indipendente vorremmo creare? Siamo sicuri che in Italia questo istituto, costruito dal mondo universitario attuale, ribalterebbe quel significato di pace che oggi i militari danno alle loro operazioni belliche?