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don PUGLISI. senza paura

puglisi
 
 
Il miracolo di padre Pino Puglisi? «Lui dice di ascoltare, di osservare, di non avere paura di fare».
Eccolo il miracolo, in quel presente: «Dice». Vent’anni dopo la sua morte, Domenico De Lisi
racconta la sua adolescenza a Brancaccio con padre Puglisi come se lui parlasse ancora, come se
fosse lì. È così per lui che lo incontra in quel quartiere nel pieno dell’adolescenza, a 16 anni:
«Conoscere un futuro Santo da adolescente è qualcosa che non mi sarei certo aspettato, meno che
mai lì». Eppure va così, in un quartiere che dà il suo nome a un clan mafioso, quello di Brancaccio
appunto. Lì dove «certo non c’erano riferimenti di alcun tipo – continua De Lisi – soltanto lui. Sono
entrato in parrocchia e mi ha detto, “benvenuto, ora rimboccati la maniche”, s’è capito subito che
c’era da lavorare». E il lavoro da fare? «Non essere indifferenti. Lui dice, lo Stato è indifferente?
Gli uomini di Dio non possono esserlo, la Chiesa non può essere indifferente al bisogno».
E continua, al presente: «Lui dice no a una festa patronale in pompa magna, perché c’è gente che
muore di fame e per giorni nessuno se ne accorge, in quella terra di nessuno come la chiama lui, che
festa fai…». Così dice, «i suoi no hanno dato fastidio. Quando ha iniziato a ricevere minacce a noi
ragazzi l’ha nascosto, ma poi vedevamo le porte incendiate delle persone a lui vicine. Alcuni di noi
venivano fermati per portargli il messaggio che doveva smettere. A quell’età la paura la percepisci
in un modo ancora superficiale, ma quando l’hanno ammazzato ho avuto paura, si. Poi mi sono
detto: lui s’è fatto ammazzare e devo avere paura io? E ho continuato al Centro Padre Nostro, con
tutti gli altri. Non so che vita avrei avuto se non lo avessi incontrato a quell’età, forse mi sarei perso,
forse ne avrei avuta una normale. Ma so che ora ho la vita che voglio. E non so se mi farei
ammazzare, ma so che oggi viviamo un giorno di grande gioia, importantissimo per cristiani e non.
Un segnale che spero dia unità e coraggio. Con lui ho vissuto una rivoluzione culturale in una
comunità che non era abituata alla minima apertura sociale: camminare per strada, incontrare la
gente. E con lui continuo, per testimoniare impegno, legalità, ascolto».
E cosa sia davvero questo «ascolto», lo racconta Ivana Mannone: «Ero in un momento particolare
della mia vita, in cui mi sentivo persa. Andai a messa da lui, e le sue parole mi smossero qualcosa
dentro. Alla fine della messa, io ero seduta in fondo, mi misi a piangere. Lui venne da me, mi
chiamò per nome, mi disse “Ivana, non sei da sola”. Avevo partecipato a qualche incontro di gruppo
al Centro Padre Nostro, ma non avevo mai parlato ancora con lui, non sapevo conoscesse il mio
nome: mi ha vista». Così da allora, da quando cioè aveva vent’anni, Ivana lavora al Centro: «L’ho
conosciuto il luglio prima che lo ammazzassero. Ho iniziato nei campi di servizio, così li chiamava
lui. Sono dei campi scuola, me lui diceva che noi siamo a servizio degli ultimi. Il suo omicidio mi
tolse il respiro, dovevo incontrarlo poco dopo ma non c’era più. Siamo ancora con lui, adesso. E
oggi sono emozionata, per la prima volta viene riconosciuta una missione evangelica contro la
mafia, è un giorno meraviglioso».
Perché oggi si fa Santo un uomo: «Era molto umile, molto semplice, pure timido. Per questo ci è
sembrato incredibile che un uomo così potesse aver infastidito chicchessìa, addirittura la mafia»,
racconta Gabriella Candido, allieva di don Puglisi al liceo Vittorio Emanuele II, nel 1983.«Era
molto esile, aveva grandi orecchie e mani, e lui scherzava: “È per ascoltarvi meglio e per
abbracciarvi meglio”. Era pure un insegnante molto atipico. Un po’ come ne l’Attimo fuggente. Ci
portava sul tetto della chiesa dietro il liceo, qualche volta ci faceva lezione da lì, da dove si vede
tutta la città. È in una scena del film su di lui: non è inventata, succedeva davvero». E continua: «Ci
faceva leggere il vangelo secondo Marco, cioè quello che esalta l’umanità di Cristo, che guarda a
Gesù come a un uomo». E un uomo, che si è ribellato alla mafia, oggi sarà beato a Palermo, davanti a centomila persone.
di Manuela Modica
in “l’Unità” del 25 maggio 2015