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Concilio e missione: è appena l’inizio

Ottobre 2012
Concilio e missione: è appena l’inizio
di: Mario Menin

Mezzo secolo di rivolgimenti mondiali era da poco tramontato, quando papa Giovanni XXIII volle rispondere al “momento favorevole” (kairós) della storia con la celebrazione di un Concilio. Fu come una “nuova Pentecoste” – evocatrice dei “prodigi” della prima, quella di Gerusalemme -, che aiutò la Chiesa a vivere una più fiduciosa “apertura” al mondo e alla storia in uno dei più grandi crocevia della sua vicenda bimillenaria. “È appena l’aurora” (tantum aurora est), dichiarò l’anziano pontefice l’11 ottobre 1962, inaugurando il Vaticano II davanti a 2381 padri conciliari, venuti dal mondo intero. Con il Concilio, papa Giovanni non solo apriva una nuova pagina nella storia della Chiesa, ma l’impegnava a ripensare la sua attività missionaria. Il Vaticano II è stato, infatti, il primo Concilio ad abbozzare una teologia della missione, dedicandovi addirittura un documento, Ad gentes, approvato quasi all’unanimità, con 2394 voti favorevoli e solo 5 contrari. Il punctum saliens del Concilio circa la missione è stato il suo radicamento teologico, il cosiddetto “rimpatrio” trinitario, grazie alla riscoperta della missione di Dio (missio Dei) come origine, centro e forma della missione della Chiesa (missio Ecclesiae). Inoltre, il suo rientro nel cuore della Chiesa, il cosiddetto “rimpatrio” ecclesiologico, che tolse la missione dalla periferia ecclesiale trasformandola nell’essere stesso di ogni cristiano. Grazie a questo ressourcement (ritorno alla sorgente) teologale della missione, il Concilio riuscì a rompere lo specchio colonialistico e imperialistico che l’aveva condizionata nella modernità, riscattando il modello “kenotico” dell’umiltà e della povertà di Cristo quale via necessaria della stessa missione della Chiesa: “Questa missione continua, sviluppando nel corso della storia la missione del Cristo […]; per questo è necessario che la Chiesa, sempre sotto l’influsso dello Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, egli uscì vincitore” (Ad gentes). Per la nostra rivista questo anniversario (1962-2012) è un’occasione davvero speciale per recepire gli impulsi di trasformazione della missione a seguito del Vaticano II e per continuare, in un quadro enormemente mutato rispetto a cinquant’anni fa, quel prezioso servizio di analisi e di riflessione che allora portò il nostro mensile – con il titolo di Fede e Civiltà e sotto la direzione di V.C. Vanzin – a distinguersi nell’accompagnamento del dibattito conciliare, tral’altro pubblicando alcuni memorabili numeri monografici su altrettante tematiche missionarie emergenti. Già nei titoli si percepisce lo spirito di novità, quantomeno di trasformazione in atto della missione: “Il nuovo volto della missione cattolica” (1963), “La salvezza dell’umanità in una prospettiva cosmica” (1964), “L’evangelizzazione delle culture” (1964), “La rivoluzione missionaria della Chiesa” (1964), “Il dialogo della Chiesa con le religioni non cristiane” (1965), “La Chiesa del Concilio: mistero di salvezza del mondo” (1966). A cinquant’anni dall’inizio del Concilio, ci sembra di avere a che fare ancora con una materia abbastanza esplosiva, che interpella la Chiesa e ogni fedele cristiano, affinché realizzino quella prodigiosa “rivoluzione missionaria”, inaugurata dalla prima Pentecoste e ripresa nella nuova, del Vaticano II, grazie all’intuizione profetica di papa Giovanni. È appena l’inizio (tantum aurora est), un nuovo inizio della missione!